Music
December 9, 2011
Damo Suzuki’s Network, la visione di Xabier e Manuel
Marco Bassetti
Per provare a capire un po’ meglio cosa succederà questa sera (9 dicembre) all’Halle28 con l’esibizione del Damo Suzuki’s Network, avevamo voluto registrare la visione di Damo Suzuki. Ma non contenti, abbiamo voluto sentire anche il punto di vista di Xabier. Il quale, poi, ci ha passato anche Manuel. Stiamo parlando, naturalmente, di Xabier Iriondo e Manuel Agnelli, chitarra e voce degli Afterhours. Questo è quello che franz ha raccolto.
Come è nato questo network e che tipo di esperienza ricercate con questo progetto?
Xabier Io ho conosciuto Damo circa 9 anni fa attraverso Olivier Manchion, che suonava negli Ulan Bator, e Massimo Pupillo degli Zu. Organizzarono il primo tour di Damo in Italia e suonammo insieme a svariati musicisti per cinque date. Da allora, al di là della musica, siamo diventati amici e ho suonato con Damo molte volte sia in Italia che all’estero, sempre con differenti formazioni. Nell’autunno dell’anno scorso ho deciso di organizzare un giro un po’ diverso: Manuel Agnelli al pianoforte e synth, Enrico Gabrielli ai fiati, Cristiano Calcagnile alla batteria , io alle chitarre preparate e Damo alla voce. Ci siamo trovati subito molte bene con questa formazione e abbiamo deciso anche di registrare alcuni concerti. Dal concerto che abbiamo fatto a Roma, alla fine di gennaio, è uscito in questi giorni un disco. Disco che presentiamo con questo nuovo tour. La musica che facciamo è veramente trasversale, completamente improvvisata senza nessun canovaccio provato prima. Navighiamo letteralmente fra rock, il free jazz, l’elettronica, la melodia, in nonsense, il noise…
Manuel Per me è un’esperienza molto liberatoria, proprio a livello mentale. Con gli Afterhours secondo me siamo stati bravi a non cedere nel voler mettere all’interno di uno stesso progetto tutto quello che ci piace, col rischio di renderlo un’accozzaglia di suoni non bene definiti. Gli Afterhours sono un gruppo di rock’n’roll, hanno una personalità molto definita da questo punto di vista e rimarranno un gruppo di rock’n’roll. Però sono tantissime altre le cose che ci piacciono, a me e agli altri componenti del gruppo, dalla musica classica al jazz. Questo tour è per me un’occasione meravigliosa per fare improvvisazione radicale con persone che lo fanno da anni o addirittura, nel caso di Damo, l’hanno inventata in ambito rock. Non necessariamente le cose che facciamo al di fuori degli After hanno una risonanza sui giornali, lo facciamo soprattutto per noi stessi.
Ho provato ad affrontare il tema con Damo, ma senza successo: lui vive nel presente, anzi forse sta già nel futuro. Voi, invece, avete voglia di raccontarci che rapporto avete con i Can e, più in generale, con la musica generata quarant’anni fa dalla scena krautrock?
Xabier Io sono un fautore del krautrock sin dall’adolescenza e sono da sempre stato innamorato innanzitutto dei Can, in particolare del periodo Damo Suzuki. Stiamo parlando di una scena molto vivace, inizio anni ’70, un giro di artisti, musicisti, freakettoni che si trovano alle feste, si conoscevano un po’ tutti, suonavano, qualcuno registrava… Damo mi ha racontato che ha jammato più volte con Ralf e Florian dei Kraftwerk, ma anche con Klaus Dinger dei Neu!. Sono diversi gli elementi che hanno reso unica quella particolare scena, trovo comunque che l’idea ritmica-ossessiva, l’idea dell’uomo-macchina, sia una componente centrale che traspare nella musica di molte di queste formazioni, credo sia uno dei cardini principali del segno che hanno laciato nelle generazioni di musicisti successive. Sicuramente la ricerca, la sperimentazione, l’utilizzo dei filtri, dei field recording, queste sono caratteristiche sicuramente peculiari e uniche. Sicuramente nel caso dei Can la forza straordinaria e unica, oltre ai processi di montaggio compositivi di Czukay e Schmidt, è stata proprio la voce di Damo. I dischi con Damo Suzuki hanno lasciato un segno più grande nel pubblico e nell’immaginario rock, rispetto agli altri. Il fatto è che lui, alla fine, canta delle canzoni, con una musica che non sono delle canzoni. E questa cosa è straordinaria, Damo ha un senso melodico pazzesco e qualsiasi cosa gli succeda intorno ancora oggi, un combo rock o due laptop, lui canta. Damo non canta in tedesco, inglese, giapponese, ma canta. Una strana specie di litania laica, vestita di volta in volta e ogni sera in maniera diversa.
Manuel Definire tutto quello krautrock è molto limitante. I gruppi erano molti diversi tra loro, non solo musicalmente ma anche proprio come attitudine. Quello che mi fa preferire i Can e quello che mi fa piacere così tanto suonare con Damo è che il suo modo di improvvisare non è free jazz, non è la semplice espressione della propria personalità e dei propri sentimenti smanettando sullo strumento in un assolo infinito… Damo costruisce dei pezzi, è improvvisazione estemporanea, radicale quanto vuoi, ma è sempre composizione. Quello che cerchiamo di fare noi, e quello che facevano i Can a differenza di molti gruppi dell’epoca, è costruire dei pezzi. Costruire dei pezzi con delle improvvisazioni estemporanee. Se tu riascolti i dischi dei Can oggi apprezzi certo l’innovazione, la sonorità, la ricerca, ma sotto scopri una grande scrittura. Scrittura improvvisata ma scrittura, con delle strutture e dei nodi molto saldi.
Manuel, siamo abituati a vederti come frontman, animale da palcoscenico e cantante di razza. Qui ti troviamo invece dietro alle tastiere e a vari macchinari… Come senti questa cosa?
Manuel Non avere la pressione addosso è meraviglioso. Il fatto di non cantare mi permette di godermi la giornata in maniera diversa… Sai quando fai un tour e hai quarantacinque anni devi stare molto attento (Manuel ride)… Attento a non prendere colpi d’aria, una roba molto triste (ride di gusto) ma è vero. Invece andare in giro a suonare e non avere su di me la responsabilità del progetto mi fa godere di più, con maggior leggerezza, le cose che stiamo facendo. Non è la prima volta che faccio il “sideman”, ho suonato con Mark Lanegan, con Greg Dulli, con John Parish, tutti progetti in cui suonavo le tastiere e avevo un ruolo per me importante, ma non certo centrale. Io sono galvanizzato da questa esperienza con Damo Suzuki perché il mio ruolo, in quanto tastierista, è quello di collante armonico.
Xabier Da quando io e Manuel ci siamo riavvicinati e abbiamo ricominciato a fare musica insieme, io ho notato in lui un bisogno di esplorare anche altri territori, cosa che comunque stava già facendo. Proporgli di suonare con un improvvisatore radicale, con una formula così bizzarra che veniva montata apposta, per me è stata un’occasione piuttosto ghiotta. Trovo che Manuel non solo si sia amalgamato bene, ma sia anche uno dei fulcri determinanti del sound di questo network. È un grande pianista e utilizza anche le macchine in maniera molto interessante. Trovo fantastico che un cantante di razza come lui si metta in secondo piano per affrontare un percorso di questo genere, mettendosi in gioco e imparando anche cose nuove, spingendo dove può servire e ritraendosi seguendo il gioco dell’improvvisazione. Ogni esibizione è diversa, alcune volte si tocca il sublime altre volte no, questo è il rischio che si corre quando si sceglie di non avere delle certezze, delle scarpe comode con le quali muoversi.
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