Culture + Arts > Architecture

January 19, 2016

Centrale Fies, l’attrazione. Parte III.
Carte de tendre

Luca Ruali

Centrale Fies [1] è un centro dedicato all’arte contemporanea che lavora in una centrale idroelettrica abbandonata fino al 2000 e poi riconvertita dalla Cooperativa Il Gaviale con il supporto della Provincia Autonoma di Trento e Hydro Dolomiti Enel.

Mi sono occupato di Centrale Fies in un testo pubblicato l’estate scorsa [2], registrando le relazioni tra le persone, l’edificio in cui lavorano e la natura attorno. Studiando il lavoro di Centrale Fies viene voglia di vederla superare i limiti consueti di una struttura simile, arrivando a prevaricare gli attori tradizionali in ambito strategico.

Questo testo sollecita Centrale Fies e altri soggetti culturali a una azione disinibita che occupi spazi nuovi in cui esportare le attitudini costruite in un campo specifico, senza l’obbligo di presentarsi come soggetti affidabili, se non riguardo il mantenimento della propria qualità produttiva. Questo testo è un breviario di aggressività operativa sul territorio che descrive i sintomi di una azione mai vista prima, che coinvolgerà edifici, ragazze, paesaggio, progetto.

A settembre del 2015 è riapparso un dispositivo narrativo che tiene assieme questi soggetti. Edifici, ragazze, paesaggio, progetto. Prima della sfilata di Alessandro Michele allo Scalo Farini a Milano, è stata distribuita agli invitati una Carte de tendre. La Carte è una mappa allegorica che descrive le tappe di una relazione galante e compare in un romanzo della metà del seicento di Madeleine de Scudéry. Nel caso di una sfilata Gucci Donna Primavera Estate, la Carte alludeva al percorso culturale prodotto dal desiderio di raggiungere alcuni oggetti seducenti, di ispirazione per la collezione.

Andrea Batilla ha amplificato la Carte di Gucci con una sua personale su PIZZA Digitale, mettendo assieme le fascinazioni e gli spostamenti necessari a soddisfarle.

Cos’è che vorrebbe farci sdraiare sulla moquette del lindissimo ufficio del notaio, appoggiando la testa sui cuscini di velluto jacquard? Cosa ci spinge a mettere la testa fuori dal finestrino respirando aria fredda su un’auto lanciata a 200 chilometri all’ora? Ma anche cosa ci spinge a percorrere quel sottopasso male illuminato, perché troviamo affascinanti i parchi giochi abbandonati, perché ci nutriamo di serie televisive horror? [3]

L’ex-scalo che ha accolto la sfilata fa parte di un progetto di riqualificazione delle aree ferroviarie milanesi Farini, Greco-Breda, Lambrate, Porta Genova, Porta Romana, Rogoredo e San Cristoforo che attualmente dichiara 676mila mq edificabili e strategie riassumibili nell’espressione:in linea con le più avanzate sperimentazioni internazionali”. Chiaro che nessuno allestirà più uno show nell’housing previsto dal piano, ma nessuna amministrazione ancora considera gli spazi degli edifici abbandonati come un capitale narrativo da non esaurire e che gli interventi sull’abbandono devono riprenderne il carattere irrisolto.

Quando un edificio viene abbandonato, finiscono le storie delle persone che lo hanno abitato, ma non finisce la storia dell’edificio, per il quale cicli di uso differente sono naturali. Arrivano invece piante e animali, che spostano la narrativa di queste case rotte verso la favola.

Ho già cercato un senso all’aggressività e sensualità delle persone che lavorano ora a Centrale Fies, una ex centrale elettrica abbandonata fino al 2000. “L’abbandono di un edificio invita la natura a partecipare al processo di corrosione e rovina delle mura. Questo passaggio stabilisce un nuovo accordo tra le case e le piante. Una armonia che viene mantenuta anche dopo il recupero, accordando un nuovo potere ad alberi e animali. E definendo un nuovo carattere per chi torna ad abitare quelle strutture. Persone che mordono, hanno una confidenza nuova col bosco e le rocce. Provano nuovi istinti da predatore, secondo la loro natura”.

2

Gucci Primavera Estate 2016, foto da Youtube

La passerella decorata a serpenti di Gucci non tentava qualche malizia. Gli animali e le piante sistemate lungo la banchina centravano il carattere fiabesco dell’abbandono edilizio. La collezione neppure poteva essere definita sensuale. Se il nude look era frequente, era meno chiaro l’atteggiamento scelto per le modelle, che non sembravano il tipo attualmente standard di ragazzina concentrata, quanto quella che gioca col guardaroba dei genitori. Era comunque più sensuale l’abuso di raffinatezza, l’eccesso delle citazioni.

Lo show alludeva ad un ruolo femminile non consueto e la Carte de tendre è stata prodotta da un salotto che – nel 1650 – non dava per scontata la superiorità maschile. Dalla Carte di Gucci: “l’esplorazione del mondo si traduce in una mappatura tenera in cui la dimensione estetica è strettamente compenetrata a quella politica. La Carte de tendre celebrava una rivolta contro le convenzioni: una rivolta basata sul riconoscimento del mondo interiore delle donne”.

La Carte accenna alla possibilità di uno strumento di interpretazione culturale basato su una particolare sensibilità femminile, ma ne andrebbe testata la possibilità contemporanea. SANAA, lo studio di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, ha curato nel 2000 il padiglione giapponese alla Biennale Architettura di Venezia, usando lavori di Kosuke Tsumura, Hellen van Meene, Yayoi Deki [4].

Sejima a Venezia ha montato tre sensibilità femminili, in un dispositivo che leggeva il momento emotivo del Giappone dopo il terremoto di Kobe. Le dimensioni del trauma in Giappone si rivelarono nel dibattito parlamentare sulla necessità di spostare la capitale da Tokyo a Gifu, passando da una megalopoli a un piccolo centro, esaltando il tema della sopravvivenza legata al rapporto con la natura.

Kosuke Tsumura produceva abiti guscio da indossare come rifugio dalle catastrofi possibili nell’esperienza urbana giapponese. Tsumura sentiva la necessità di riduzione della vita ai soli ambienti rassicuranti. Era il momento in cui si iniziava a parlare di questo milione di giovani hikikomori che si infliggono periodi di reclusione nella propria stanza anche di anni, rifiutando ogni contatto non mediato da telefoni o Internet: una classe sociale fluttuante con l’unica esigenza di ricevere intrattenimento.

Le adolescenti goffe o sovraccariche di bigiotteria nei lavori di Hellen van Meene e Yayoi Deki avevano ancora a che fare in modi diversi con la versione urbana di questa attrazione verso la natura.

L’allestimento di SANAA – la città delle ragazze – è stato un episodio misterioso e fragile. Per la sua natura temporanea, neppure SANAA ne ha mantenuto un archivio fotografico decente e per avere provato questo filtro femminile di interrogazione della realtà.

Nominata dieci anni dopo, come curatrice della Biennale Architettura Sejima ripropone lo schema, disponendo attorno a se la sua playlist di autori, tra cui Luisa Lambri, una fotografa innamorata dei suoi edifici:

Sejima ha un’innocenza che la protegge molto. È bello che in un mondo così difficile e maschile ci sia lei che usa le margherite. E mi piace anche che le sue margherite abbiano un tale potere. Il suo pensiero architettonico è sensibile, generoso, va oltre l’architettura, e raggiunge il cuore delle persone. Lo spazio che ne deriva non le appartiene più. Diventa degli altri. Ha permesso anche a me di trovarne uno mio. Adoro Sejima. Per lei farei qualsiasi cosa[5]

Tornando alla Carte di Gucci/Alessandro Michele: “questi indizi si depositano sugli abiti della collezione a formare palinsesti eclettici ricchi di rimandi eterogenei.”

La citazione è un desiderio di appropriazione. Il movimento e l’occupazione del territorio necessarie a soddisfarlo sono attività predatorie, come la sensazione di un diritto all’appropriazione stabilito dalla qualità del proprio lavoro. Un comportamento feroce nei confronti di possibilità culturali e strategiche è proprio quello che questo testo vuole innescare.

La cattura di ispirazioni distanti tra loro non è una azione delicata. La campionatura di Alessandro Michele – come quella di Sejima – non è tenera. Rispetto alla tenerezza – è più attraente la scorrettezza verso i sistemi culturali che hanno generato i singoli oggetti attraenti. Confusa dietro una apparente malinconia c’è la rimozione spietata di ogni intellettualismo.

C’è comunque il rischio che la selezione di cose preziose sia una azione fredda. Un rischio legato anche alla qualità di queste campionature, che gli elementi isolati in questo modo siano così nitidi da essere poco reali e che il loro montaggio astratto possa produrre – restando a Gucci – una sorta di meta moda, una moda della moda.

È impegnativo calibrare il giusto approccio alla registrazione/selezione. Tra un sampling grezzo ed uno distaccato si muove tutta una psicologia. I risultati di una eccessiva pulizia nel processo di campionamento/citazione si possono valutare proprio paragonandolo al campo grafico cui si riferisce e dove un progetto costruito da parti così definite non sarebbe convincente. Serve una campionatura sporca e sul campo.

Quanto abbandono serve per passare dalla scelta di un ricamo da un libro a lasciarsi andare da un edificio rotto all’altro in un bosco? La Carte di Gucci – come l’originale – forzano a passare dalla citazione intellettuale a un uso ambiguo dei luoghi.4

Cima da Conegliano, Natività con Santi, 1509

L’abbandono amoroso al paesaggio trova posto in una tradizione letteraria picaresca dominata dall’Hypnerotomachia Poliphili (1499): una processione ipnotica tra strutture e giardini, capace di entrare in risonanza con qualsiasi tentativo contemporaneo di sottrarsi alle classificazioni di genere. Appena pochi altri esempi di questa linea, tra santorali, Jacopo da Varazze (1260) e la Vita di Benvenuto Cellini (1558) e si arriva subito alla storia di un burattino di Collodi.

Pinocchio mette in sequenza episodi oscuri e debolmente connessi, rifiuta qualsiasi accordo a priori col lettore e ogni schema narrativo. Nel libro accade una cosa dietro l’altra senza mai sapere cosa aspettarsi. Un movimento per scenari imposto – più che da una ricerca di citazioni grafiche – da attrazioni successive verso il ponte, il pozzo, la fiera, i covoni, l’albero, il teatro, le radure, i campi.

Queste strutture, specie se in rovina, hanno da sempre il ruolo di provocare storie. La quadreria medievale raramente ambienta i suoi fatti nelle città, che restano sullo sfondo, “mostra invece una Storia avvenuta tra strani edifici crollanti, porzioni di architettura che sanno di abbandono e di margine. Il fascino di questi luoghi sta nel loro essere spazi aperti all’interpretazione, spazi del possibile. Portano tracce e segni cui ciascuno potrebbe agganciarsi per riscrivere la propria Storia. [6]

Pinocchio ricorda anche il ruolo femminile e non rassicurante di guida a questo uso selvaggio del territorio.  «Una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto», fa la sua prima apparizione nel capitolo XV alla finestra della sua casa nel bosco e dice al burattino che erano tutti morti in quella casa, compresa lei, e che aspettava la bara per essere portata via.

Farsi usare dal paesaggio. Muoversi da una struttura a un’altra, aprirsi a sequenze di desideri successivi. Abbandonare la sicurezza di essere autori. Rinunciare ai formati sociali della comunicazione umana è la condizione per produrre contenuti mai visti.5

Cima da Conegliano, Madonna dell’arancio, 1496 

Nel 2015 Milano riceve la più potente emanazione territoriale di un marchio immaginabile, quando Prada sceglie la ex distilleria Società Italiana Spiriti per attivare un fantasmagorico meccanismo di condivisione dall’alto.

L’abbandono del territorio rurale e dei margini urbani è stato anche l’abbandono di ciò che rifiutava di essere semplificato. Il recupero, come la riappropriazione capricciosa, devono passare allora attraverso contenuti incerti ed ambigui.

Perché invece allora la concentrazione urbana, la dimensione e i costi di questo episodio coincidono in parte con quelli di modelli istituzionali?

Perché Fondazione Prada si comunica attraverso una grafica formato famiglia? Perché sceglie una attitudine rassicurante e aperta? Perché rinuncia all’elusività assumendo in parte i toni dell’espiazione di un successo commerciale? Le premesse di una azione positivamente devastante c’erano, nella storia di Miuccia Prada come nell’aggressività urbanistica dimostrata.

La Relazione sulla responsabilità sociale 2014 del gruppo, punta su comunità e territorio come fonte ricchissima d’ispirazioni, ma poi si allinea subito su una terminologia che inibisce: ‘per questo li rispettiamo e proteggiamo cercando di operare sempre in armonia con lo spirito dei luoghi’.

Ma chi vuole che Prada sia educata lavorando a scala strategica? Chi può desiderare che operi in armonia con lo spirito dei luoghi? È Prada lo spirito dei luoghi, per il solo fatto di averli scelti. Prada i luoghi deve stravolgerli fondando nuove tradizioni anche effimere e l’unica armonia che deve mantenere è quella con la propria ricerca. 

3Gucci Primavera Estate 2016, foto da Youtube

La Carte condurrebbe a una scala e un ritmo intimi e diversi. Agendo emotivamente si accettano tempi sospesi e scarti, sostenere un palinsesto continuo comunicato da una grafica impeccabilmente noiosa è impossibile. Il piacere del perdersi deve essere una ossessione che implica scelte decise e il rischio di conseguenze imprevedibili [7].

Certo la Carte era lì allo Scalo Farini per offrire riferimenti agli addetti, in un processo codificato di comunicazione. Ma a prenderla sul serio e a forzarne le sue conseguenze, Alessandro Michele avrebbe dovuto stamparla non su un abito ma su una nazione. Se l’obiettivo è quello della distanza da formati e contenuti standard, lavorare esclusivamente nei centri della produzione culturale non ha senso. Il prossimo passo è una tattica di interventi evocativi sparsi sul territorio.

In questa transizione verso i margini, c’è un ruolo-guida femminile evidente negli argomenti introdotti disordinatamente finora e che sarà il tema dell’ultimo di questi saggi brevi.

Mi ero interessato alla sfilata di Gucci allo Scalo Farini perché in queste settimane lavoro al recupero di una stazione ferroviaria abbandonata sulla Messina – Palermo che è stata un set de l’Avventura di Antonioni, un film in cui le ragazze vengono affascinate dalla natura e scelgono di perdersi. C’è più di un momento dedicato a questa tensione, Lea Massari quando si tuffa per raggiungere Lisca Bianca dove poi scomparirà e ancora Monica Vitti a Noto, quando si separa da Gabriele Ferzetti incerta se non farsi più trovare, andando via tra gli uomini o tra le case.

Assecondando questi inviti a scomparire, si può abusare di un abbandono che coinvolge tutto il paese e non solo gli scali ferroviari milanesi. Più aggressivamente che non limitandosi a virgolettare una citazione, si possono predare paesi, storie, manufatti. Si possono costruire episodi culturali anche incompleti e limitati nel tempo, decisi assecondando una emozione.

Se l’abbandono è un passaggio naturale della storia degli edifici, anche il recupero può essere istintivo e senza futuro. Nei processi urbanistici e territoriali devono entrare soggetti inaffidabili, qualificati solo dalla loro incapacità di adeguarsi all’uniformità di desideri e comportamenti. Devono progettare una geografia politica e culturale sovrapposta e sbagliata rispetto a quella di vendita degli store, di esposizione delle gallerie, degli show nei teatri. Azioni sparse, decise da curatele geometriche attorno architetture equivoche per generare nuovi contenuti e nuovi oggetti enigmatici che superano la moda, le arti performative, qualsiasi scenario di partenza.

www.lucaruali.net


[3] www.pizzadigitale.it/main/gucci-estate-2016

[4] Luca Ruali e Mariella Tesse, SANAA Kazuyo Sejima+Ryue Nishizawa. Bellezza Disarmante, Marsilio, 2006

[6] Actant Visuelle, Luca Ruali, Riti per una nuova era, progetti per Matera 2019

[7] Mario Lupano, Lo-Fi Architecture, architecture as curatorial practice, Marsilio, 2010

Immagini: Luca Ruali

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There is one comment for this article.
  • Anita Rostelli · 

    Ma ti sei riletto? Credi che i lettori siano deficienti e l’unico criterio di valutazione dei tuoi scritti sia il legame d’amicizia che ti lega a chi apre questa pagina? Non sarebbe il caso di smettere di giocare al secchione in un consesso di semianalfabeti?