
© Caterina Cedolini
Chiudi gli occhi. Sdraiati. Il nero ti avvolge: un nero caldo, denso, cosmico; sembra il ventre materno. Apri gli occhi, una ciglia alla volta: si apre il sipario delle palpebre e comincia lo spettacolo. La luce si fa spazio dentro di te, calda, avvolgente, ti accarezza la pelle. Ti ritrovi capovolta, sottosopra: il sole sei tu, sei tu l’immenso che illumina il mondo, la folla, la spiaggia. È il mondo a essere rovesciato o sei tu? L’immagine è quella di una comunità distesa sopra di te, una folla spiaggiata in un ecosistema ribollente che sembra sciogliersi nella sabbia. Tu guardi loro, loro guardano te, in un rimando continuo, un gioco di sguardi che pulsa come la luce che sale e scende seguendo il ritmo del respiro. Avanzi verso piccole tele appese a un drappo nero che avvolge tutto, finestre che si aprono sulla bellezza minuscola di frammenti di pelle, di occhi, di volti che si schermano dal sole. E, a un certo punto, nel tuo vagare tra buio e luce, in fondo alla sala, appare una piccola meraviglia: un osso di seppia che brilla nella sabbia. Minuscolo tesoro, sineddoche dell’immensità del mare, un resto lucido e levigato che racchiude dentro di sé la vastità dell’acqua, della memoria e della vita.


Con un progetto espositivo concepito appositamente per il Mart di Rovereto e visitabile fino al 22 marzo 2026, Vittorio Marella (Venezia, 1997) prosegue la sua riflessione sul rapporto tra esseri umani e ambiente, tema che negli ultimi anni ha guidato cicli pittorici di grande formato e che ritorna ora nella serie “Under the weight of a heavy sun (Sotto il peso di un sole opprimente)”. Il percorso, da un’idea di Vittorio Sgarbi, a cura di Denis Isaia e Giovanna Zabotti, in collaborazione con Associazione Cultura 360, si apre con tele di piccolo formato, veri e propri close-up cinematografici che mostrano volti protetti da mani levate contro la luce. Questi dettagli costituiscono un’anticipazione inquieta e suggestiva della grande pittura della sala successiva, dove otto grandi teleri veneziani compongono un soffitto dipinto di oltre 10 metri, sul quale alcuni ragazzi e ragazze giacciono sotto un sole cocente. La scena, pur ordinaria, appare priva di indizi: mancano contesto, stagioni, orizzonti. Gli abiti sono incoerenti, lo sfondo è desertico, il tempo sospeso. La luce domina tutto, insieme all’età giovane dei soggetti.
Marella racconta che il progetto si è man mano definito cambiando nel tempo e che spera che il pubblico guardando la sua opera percepisca una folla, mentre in realtà: “siamo io e la mia ragazza ripetuti in momenti diversi della nostra ricerca”. La genesi del progetto è infatti avvenuta quasi per caso, in uno dei luoghi che più ama, al Faro del Lido, dove abita: “in quel punto del Lido ci sono dei blocchi di cemento dove salgo: è lì che ho deciso di fare delle foto della mia ragazza dall’alto, e poi ho pensato che sarebbe stato bello poter dipingere una folla di persone viste nello stesso modo”. Da quell’altezza nasce l’intuizione di uno sguardo ribaltato, che il Mart ha reso possibile anche grazie all’inedita installazione a soffitto: un formato che nella struttura museale non era stato mai impiegato in questa scala.
Il tema dello sguardo rivolto verso l’alto si intreccia con la formazione dell’artista, che prima di dedicarsi alla pittura studiava astrofisica: “Io non ho studiato arte all’Accademia, ho fatto astronomia, volevo fare astrofisica. Questo aspetto della scienza e degli spazi c’è tantissimo dentro di me. Quando sono a casa da solo, non penso mai alla pittura, penso all’astronomia”. Guardare in su, dunque, non è solo una scelta installativa ma anche una dichiarazione identitaria: una tensione verso il cielo che ritornerà, dice, nei progetti futuri dedicati alle stelle.
Sotto il sole è dunque un progetto che ci chiede di alzare lo sguardo e capovolgere la nostra posizione per vedere meglio ciò che di solito sta davanti ai nostri occhi ma rischia di accecare. Un’esperienza che mette in dialogo astronomia e pittura, sabbia e pelle, prossimità e immensità. Una riflessione sul nostro tempo, sulla sua luce e sulle sue promesse, sul peso di un sole che può nutrire ma anche consumare. E, nel suo minuscolo, l’osso di seppia che brilla è un invito silenzioso a prenderci cura del mare che ci sostiene, anche quando non lo vediamo.