
© ph Mart Rovereto, Jacopo Salvi
L’arte mi ha insegnato la bellezza del mondo. […] Chiudo dietro di me la porta della mia casa solitaria e la mia storia è finita.
A sessant’anni dalla morte e a quarant’anni dalla storica mostra curata da Gabriella Belli nel 1985 a Palazzo delle Albere, il Mart di Rovereto torna a dedicare un’ampia retrospettiva a Luigi Bonazza (Arco, 1877 - Trento, 1965), figura chiave del passaggio fra Impero austro-ungarico e Italia, fra Secessione viennese e gusto Déco. La mostra “Luigi Bonazza. Tra Secessione e Déco”, che appunto così si intitola per omaggiarne il suo ruolo di traghettatore tra stili, luoghi ed epoche, è curata da Alessandra Tiddia e resterà aperta fino al 3 maggio 2026. L’esposizione riunisce circa 300 opere, tra dipinti, disegni, incisioni, oggetti e documenti, articolate in dieci sezioni tematiche che ripercorrono l’intero arco della sua vicenda artistica e umana. Ne emerge un artista colto, rigoroso e “raffinato ed esigente”, per usare le parole della direttrice Micol Forti, che incarna nel proprio percorso “i fermenti culturali maturati a cavallo tra XIX e XX secolo nel territorio trentino, palcoscenico e crocevia di radicali trasformazioni politiche, sociali e artistiche”.

Ho sempre amato il suo modo di dipingere, il suo essere sempre fuori dal tempo seppur ancorato al suo tempo, quel suo essere un “Orfeo moderno”, un poeta e cantore di storie mitiche e sognanti attraverso la punta del suo pennello, una pittura sempre pronta a ricordare i suoi maestri, rielaborarli e mai dimenticarli, a omaggiare quello che Vienna gli aveva insegnato e farlo sempre trapelare tra le righe della sua pittura, una pittura che ci traghetta in mondi popolati da esseri alati, incredibilmente forti e al contempo leggeri come piume, dai sogni e dalla bellezza. Una pittura altresì abitata dalle persone, dai paesaggi, dai sogni e dai miti del suo tempo, pur essendone sempre un passo fuori, un passo indietro, un passo avanti, segnato da una doppia appartenenza: “un austro-ungarico” che declina temi profondamente italiani, “eroe solitario che non teme la solitudine” come lo descrive D’Annunzio.

Nel suo intervento all’apertura della mostra, la neodirettrice del Mart Micol Forti ha sottolineato anche il valore simbolico di questa esposizione come inizio del suo mandato alla guida del museo: “È una bellissima emozione essere qui oggi all’inaugurazione di questa importante mostra: è il mio quinto giorno al Mart, non ho ancora chiuso una settimana e già inauguriamo”. Forti ha ricordato come Bonazza sia “uno dei protagonisti della cultura trentina e non solo” e come, nonostante il calibro internazionale e la raffinatezza della sua formazione, resti ancora oggi “una figura poco nota al grande pubblico”. Da qui la necessità di un nuovo grande progetto scientifico ed espositivo, a distanza di decenni dal lavoro pionieristico di Gabriella Belli nel 1985, per “ricostruire la complessità di questa figura estremamente eclettica, molto raffinata e anche rigorosa nel suo processo di produzione”.



La curatrice Alessandra Tiddia ha sintetizzato così questa identificazione fra vita e mito “Bonazza è un Orfeo moderno”: attorno alla figura di Orfeo ruota infatti non solo il celebre trittico “La leggenda di Orfeo”, capolavoro del 1905, esposto alle secessioni di Vienna e Monaco e poi divenuto fulcro di Villa Bonazza, ma un intero immaginario: l’artista costruisce la sua casa “a misura” del dipinto, predisponendo pareti e luce per accoglierlo, e popola gli ambienti di rimandi ad Apollo, alle Muse, ai miti antichi filtrati dalla sensibilità simbolista.
Il percorso espositivo è introdotto da una vera e propria “galleria viennese” che restituisce il clima artistico in cui Bonazza si è formato per arrivare poi con un solo colpo d’occhio al suo celebre Orfeo: riproduzioni dell’Album Heller dedicato a Gustav Klimt, opere e documenti provenienti dal Belvedere, dal MAK e dalla Klimt-Foundation, lavori di Franz von Matsch, Georg Klimt, Ludwig Heinrich Jungnickel, Franz Jaschke, Rudolf Junk e Ferdinand Hodler.

Tiddia, durante la visita inaugurale, ha spiegato come i dodici anni viennesi (1897–1911) siano stati decisivi: non un semplice soggiorno di studio, ma un vero inserimento nel tessuto artistico e produttivo della capitale asburgica. Spinto dalla madre a proseguire gli studi dopo la scuola Elisabettina di Rovereto, Bonazza sceglie la Kunstgewerbeschule (scuola di arti applicate) invece dell’Accademia. Lì apprende un’idea di bellezza “applicata alla quotidianità”, mediata da maestri e compagni che gravitano attorno alla Secessione del 1898.
Nella scelta del lungo corridoio “alto” del Mart, dove scorrono riproduzioni e disegni viennesi, Tiddia ha visto un omaggio al Fregio di Beethoven di Klimt, pensato per correre sopra lo sguardo dello spettatore, e un modo per preparare l’occhio del visitatore all’incontro con l’Orfeo di Bonazza, con le sue citazioni puntuali: dalle placchette in rame di Georg Klimt ai ritmi ascensionali che rimandano alle grandi tele per l’Università di Vienna.


Un elemento particolarmente interessante del progetto espositivo è il legame continuo con Villa Bonazza. Dodici opere – fra cui "Notturno", "La nascita del giorno", "Acqua zampillante", "Sirene", "Deposizione", "Aurora", studi, paesaggi e le acqueforti dedicate a Dante e D’Annunzio – provengono direttamente dalla casa, rimasta intatta dopo la morte dell’artista. Grazie alla collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler, il Mart rende oggi accessibile al pubblico una visita virtuale in 3D, che consente di “entrare” nello studio, nella biblioteca e negli ambienti decorati, seguendo i rimandi fra le pareti domestiche e le opere esposte in sala.
La letteratura su Bonazza è ancora sorprendentemente esigua se rapportata all’ampiezza e alla qualità della sua produzione. La mostra e il catalogo, frutto di un lavoro corale che coinvolge numerosi studiosi e istituzioni, intendono colmare almeno in parte questa lacuna, offrendo una nuova base per gli studi e restituendo al pubblico una figura segnata, come ricordato in apertura, da una doppia appartenenza: un “austro-ungarico” che declina temi profondamente italiani, un secessionista che attraversa il Novecento italiano senza rinnegare le proprie radici mitteleuropee. Proprio questa identità duplice lo ha reso spesso un artista “non semplice”, ma anche per questo straordinariamente ricco di aspetti da scoprire e approfondire: un Orfeo moderno, i cui “canti” ancora troppo poco noti vengono oggi rivelati e ascoltati insieme al pubblico.