Il centenario di un artista totale tra pittura, design e architettura

Riccardo Schweizer esegue l’affresco Storia dell’Istituto Trentino di Cultura, Trento, 1986
lo ho sempre pensato la forma umana molto vicina a quella delle grandi pietre della Val Noana, valle selvaggia che sale verso le Vette Feltrine e che ora è metà sepolta da una diga (...). Vi si accede per un sentiero scosceso e pericoloso. Qui ci sono questi sassi arrotondati dai secoli nei quali ho sempre visto delle figure umane. Ho immaginato dei paesaggi di montagna che diventano figure, dei sassi che si trasformano in nuvole.
Ricorderò la mostra “Riccardo Schweizer. 100 anni di colore, forma e libertà” per due incontri importanti, avvenuti nella sala più bella dell’esposizione: quella dedicata allo Schweizer designer e progettista. Il primo incontro è stato appunto con lo Schweizer artista totale, completo e poliedrico; il secondo con i ricordi di Barbara, figlia dell’artista. Siamo circondate dagli oggetti di design ideati e realizzati da Schweizer e, mentre osserviamo loro, e noi stesse, in uno specchio quasi magico in cui i confini si mescolano, è come fare un tuffo nel passato: rivedo la piccola Barbara negli spazi della ditta Ceramiche Pagnossin di Treviso. La immagino orgogliosa e felice come non mai, con in mano la sua tazza da decorare, mentre il padre lavora al fianco di Giulio, proprietario dell’azienda: ciascuno impegnato a dare forma, colore e consistenza reale ai propri sogni e alle proprie idee.

La mostra ci accompagna nel mondo coloratissimo e letteralmente fantastico di uno degli artisti più eclettici del Novecento italiano. Nel centenario dalla nascita di Riccardo Schweizer, nato a Mezzano di Primiero nel 1925, il Mart torna a Palazzo delle Albere, appena riaperto dopo un importante restauro, per dedicargli una grande retrospettiva. Dal 29 novembre 2025 al 1° marzo 2026, la mostra a cura di Margherita de Pilati e Denise Bernabé, ripercorre la carriera di un autore capace di muoversi con naturalezza tra pittura, scultura, architettura, design e arti applicate, mantenendo sempre un tratto personale inconfondibile.
Schweizer nasce tra le montagne del Primiero, in una valle appartata, ma il suo destino è quello di un nomade inquieto. Amava dire di portare dentro di sé “le montagne e il mare della Costa Azzurra, la neve e il sole”: due anime che si incontrano e si scontrano, generando una poetica sospesa tra radici alpine e orizzonti mediterranei. È questo doppio respiro, locale e internazionale, a guidarlo da Venezia alla Costa Azzurra, dalle aule dell’Istituto d’arte dei Carmini all’Accademia di Belle Arti accanto a Bruno Saetti fino agli atelier di Vallauris, dove incontra Picasso, Chagall, ceramisti e architetti che segneranno per sempre il suo sguardo.

La mostra del Mart, nata su richiesta della Provincia per celebrare i cento anni dalla nascita, non ha la pretesa di essere esaustiva: migliaia sono infatti le opere prodotte dall’artista trentino, oltre a un archivio ricchissimo tra disegni, fotografie, appunti e chilometri di pellicola di un inedito Schweizer documentarista. L’impresa più complessa, raccontano le curatrici, non è stata riempire le sale ma selezionare, scremare, rinunciare: i collezionisti continuavano ad arrivare con “i loro Schweizer” anche a selezione chiusa. Il risultato è un percorso di circa cento opere provenienti da collezioni pubbliche e private, organizzato per macro-temi che permettono di seguire in modo chiaro l’evoluzione del linguaggio dell’artista.
Il pubblico è accolto, all’ingresso, da una biografia per immagini che riprende il motivo a quadrati colorati del Palais des Festivals et des Congrès di Cannes, uno degli interventi architettonici più importanti di Schweizer. È un omaggio non solo a un lavoro-chiave, ma a una visione: quella dell’arte come Gesamtkunstwerk, progetto totale, capace di investire pavimenti, scale, pareti, luce, fino a trasformare un edificio in un organismo unitario. L’allestimento, pensato insieme agli architetti Andrea Cremonesi e Maurizio Bertolini di SpaceA, rispecchia questa idea di continuità tra pittura, progetto e spazio, scandendo la mostra come un racconto in capitoli.


Nella prima sezione, Confronti, emergono i dialoghi con i grandi maestri del Novecento: Picasso innanzitutto, scoperto alla Biennale del 1948 e inseguito fino a Vallauris nel 1950, ben prima che in Italia l’opera del genio spagnolo diventasse patrimonio condiviso. Ma anche Léger, Campigli, Cocteau, Gorky, Chagall, Le Corbusier, Scarpa. Schweizer assorbe, rielabora, dichiara senza imbarazzo, anzi con orgoglio, le proprie fonti: la sua non è imitazione, ma appropriazione intelligente di una “civiltà figurativa” che diventa terreno di libertà. La scomposizione cubista si fonde con cromie accese di matrice mediterranea, con il realismo onirico del Surrealismo e con un continuo richiamo alla memoria trentina, ai miti e alle figure della sua valle.
Da qui il percorso conduce alla sezione dedicata al Bianco e nero: disegni e dipinti dei primi anni Cinquanta in cui l’artista “fa scultura col pennello”, come lui stesso scrive. Seguono le sale dedicate alla scultura, con opere degli anni Cinquanta e Sessanta in mattoni forati, cemento, legno, ferro: materiali poveri e insieme potentissimi, lavorati come se fossero un’estensione naturale della pittura. Poi la grande sezione delle Donne, dove la figura femminile, che rappresenta quasi la totalità della sua produzione grafica, appare in una varietà inesauribile di posture e atmosfere.


Ma, come detto in apertura, la vera sorpresa della mostra, e il suo cuore più innovativo, è un’altra: la sezione dedicata al design e all’architettura. È qui che emerge con particolare forza il genio dello Schweizer progettista, spesso oscurato dall’immagine più nota del pittore. Negli anni Settanta, la collaborazione con le Ceramiche Pagnossin di Treviso segna l’ingresso di Schweizer nel design industriale. Per l’azienda – e, in parte, per la successiva Bosa, che ancora oggi produce alcuni suoi modelli – l’artista disegna servizi da tavola e oggetti d’uso che sono al tempo stesso utensili e micro-sculture. In mostra, seppur in forma di “assaggio”, si possono vedere alcuni dei pezzi più significativi: il servizio Romeo e Giulietta, studiato per una coppia, dove piatti e componenti si incastrano fino a formare una sfera perfetta, simbolo dell’unione affettiva; il sistema Tartaruga, servizio di piatti raccolti in un unico volume-contestitore; il Cubo Bibita, struttura compatta di bicchieri e brocche che, una volta richiusa, diventa un solido minimale e rigoroso.
In questi progetti, il design non è mai puro esercizio formale. Schweizer, che amava affermare che di ogni progetto lo interessava “solo l’aspetto estetico”, in realtà coniuga in modo esemplare uso e bellezza: la funzionalità quotidiana non è sacrificata, ma elevata a esperienza estetica. La geometria pura, l’incastro, la modularità sono sempre pensati in relazione alla mano, al gesto, alla tavola come teatro di relazioni.





“Riccardo Schweizer. 100 anni di colore, forma e libertà” non è solo un omaggio celebrativo. È soprattutto l’avvio di un possibile nuovo sguardo sull’artista: meno concentrato esclusivamente sul pittore e più attento al progettista, al designer, all’architetto di ambienti e di oggetti. La sezione dedicata al design e all’architettura, la più sorprendente della mostra, suggerisce quanto ancora resti da studiare e raccontare di questa produzione: servizi non entrati in produzione, pezzi unici, interni sopravvissuti, architetture pubbliche che attendono un’indagine sistematica. Perché è forse lì, tra un tavolo pensato per due innamorati e una facciata scolpita nella pietra, che il suo genio trova oggi la sua espressione più viva e attuale.