Un museo a cielo aperto celebra 40 anni di epica ladina e Coppe del Mondo

© Freddy Planinschek
C’è un luogo, incastonato tra le Dolomiti, in cui il tempo sembra farsi più denso, più intimo: la Gran Risa, un pendio vertiginoso solcato dall'impronta di quarant'anni di coraggio, di visioni tenaci e di una dedizione comunitaria che non ha eguali. Qui ogni vittoria, ogni caduta, ogni record è una pagina della storia locale, frutto della fatica e della passione di un'intera valle. Oggi celebrare il suo quarantesimo anniversario non è solo ricordare l'impresa sportiva, ma onorare la memoria collettiva che ha trasformato un sogno visionario in una leggenda globale.

Sulla Gran Risa, ogni curva è un capitolo di storia. E proprio in occasione di un traguardo storico, i 40 anni della FIS Ski World Cup Alta Badia, nata nel 1985, la valle ladina non si limita a riaprire le sue piste ma inaugura un’esperienza culturale profondamente alpina: una mostra fotografica diffusa, sci ai piedi, per celebrare l’epica di una delle discese più temute e amate del circo bianco.



Con l’apertura ufficiale del comprensorio Movimënt il prossimo 4 dicembre, e fino al 7 aprile 2026, l’Alta Badia si trasforma in una galleria d’arte a cielo aperto. La mostra “Gran Risa - The Champion’s Slope” è un percorso espositivo composto da 21 pannelli iconici disseminati lungo le piste, un vero e proprio museo da vivere con gli sci ai piedi. A firmare gli scatti è il fotografo ladino Freddy Planinschek, nato e cresciuto in valle, che da oltre vent’anni documenta gli eventi di Coppa del Mondo. Il suo sguardo, autentico e potente, restituisce la magia di un luogo dove sport, natura e tradizione convivono in armonia.

"Ho avuto il privilegio di fotografare generazioni di atleti che qui hanno dato il meglio di sé - racconta Planinschek -. Ogni gara, ogni curva, ogni vittoria custodisce un’emozione diversa. Con questa mostra l’Alta Badia racconta non solo la storia dello sci, ma anche il legame profondo tra questa pista e la nostra valle". Il percorso emozionale in quota intreccia memoria e bellezza dolomitica, onorando un pendio che, sottolinea Alessandro Huber di Skicarosello/Movimënt, "non è semplicemente una pista, ma un vero e proprio patrimonio sportivo e culturale che appartiene a tutta l’Alta Badia".



La Gran Risa, che in ladino significa "apertura nella foresta", taglia il bosco fino a valle per raggiungere l'abitato di La Villa. È un colosso: 1.255 metri di lunghezza per un dislivello di 448 metri e una pendenza massima che sfiora il 63%. Quasi completamente in ombra, è nota per il suo fondo "duro come il marmo"; una sfida tecnica che consacra solo i migliori. Tuttavia il vero segreto del suo successo quarantennale non risiede solo nelle sue pendenze "spaccagambe" o nelle celebri gobbe del Giat, introdotte dall'ingegnere Sergio Tiezza, che la rendono omologata anche per lo slalom speciale, ma nello spirito della comunità che la sostiene.
Il sogno di ospitare la Coppa del Mondo nacque da un’intuizione di Marcello Varallo, ex atleta e all'epoca presidente dell’Associazione Turistica. Fin dal primo Giant Slalom del 1985, vinto da Ingemar Stenmark, l'impegno collettivo fu travolgente. Questa pista non perdona e ha consacrato atleti di pura potenza e precisione. Il suo albo d’oro è una galleria di leggende: dalle quattro vittorie indimenticabili di Alberto Tomba, che nel 1991 strappò una porta e tagliò il traguardo alla cieca tra il boato di quarantamila persone, alle sei vittorie di Marcel Hirscher, fino ai successi di Max Blardone, Ted Ligety e Marco Odermatt. Anche l'idolo locale Roberto Erlacher è entrato nella storia, salendo sul podio, terzo, nella primissima edizione del 1985.
