A Bergamo, l'arte svela i paradossi sociali, climatici e tecnologici dello sport bianco

@ Laura Millard "Lac des Arcs" Fuoripista
Mentre il Nord Italia si prepara ad accogliere i Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026, Bergamo - futura Capitale Europea dello Sport 2027 - si afferma come inedito baricentro culturale, scegliendo di non celebrare ma di indagare. Lo fa con la penna acuta della mostra "Fuoripista: arte, sport e inverno", presentata da gres art 671 e curata da 2050+. Quella inaugurata lo scorso 12 novembre, e che rimarrà allestita fino all'8 febbraio 2026 negli spazi bergamashi di via San Bernardino, non è la consueta passerella "in salsa olimpica" ma una profonda e intensa riflessione sul legame viscerale, tecnologico e talvolta brutale che intercorre tra l'essere umano, il paesaggio nevoso e l'ambizione atletica.


È, come spiega Francesca Acquati, general manager di gres art 671, "un viaggio che attraversa secoli e geografia nell’immaginario dello sport e dell’inverno. L’idea di neve si muove da una dimensione romantica ottocentesca a quella altamente tecnologica e artificiale della contemporaneità". L'esposizione, un corpus multidisciplinare che spazia tra arte, design e ricerca, si snoda attraverso cinque nervosi capitoli - da "Olympics +" alla "Criosfera" - smantellando la retorica della performance per svelare l'inverno come un "campo in trasformazione, sospeso tra l’ambizione sportiva, il turismo, le mutazioni climatiche e le percezioni culturali del paesaggio alpino".

Il cuore pulsante e "croccante" della mostra risiede nel capitolo "Micro-storie", dove la prospettiva si allontana dalle vette standard per tracciare un atlante alternativo della neve. I curatori, Ippolito Pestellini Laparelli ed Erica Petrillo, portano al centro narrazioni "non canoniche, solitamente escluse dalle narrazioni ufficiali". Ed ecco l'incredibile costellazione di voci: l'epopea delle "Cholitas Escaladoras", donne indigene Aymara che riscrivono l'alpinismo sulle Ande boliviane; l'avventura della squadra giamaicana di bob; la testimonianza di Zahra Lari, la prima pattinatrice emiratina a competere con l'hijab; fino al rovesciamento dell'immaginario eurocentrico dello sci con le foto di Kari Medig all'AfriSki Mountain Resort, in Lesotho.

In questo caleidoscopio di gesti si inseriscono in modo tagliente due capolavori che fanno da ponte tra storia e presente: la medievale "Trappola per uccelli" di Pieter Brueghel il Giovane, una glaciale allegoria dell'incertezza del destino immersa in una scena di vita su ghiaccio, e la fotografia monumentale "Eisläufer" (2021) di Andreas Gursky, visione totale e disincantata della collettività sul ghiaccio durante un lockdown, specchio della nostra condizione contemporanea.


Un capitolo di particolare rilievo è quello dedicato alle tre nuove produzioni commissionate da gres art 671, che investono con onestà intellettuale nel sistema dell’arte contemporanea per forgiare nuove narrazioni. La video-installazione "The Wanderer" di Masbedo trasfigura il percorso dell'alpinista pluriamputato Andrea Lanfri in un viaggio simbolico e interiore, affrontando il tema dell'inclusione nello sport con forza poetica. Il loro è un invito alla resistenza che risuona con un'intensità quasi mistica: "Trasforma la ferita in direzione, le cicatrici in graffiti sacri. La montagna infonde forza nel tuo petto".

Studio Folder, con "A Cartography in 25 Movements", compie un gesto geniale e analitico: traduce i dati spaziali, ambientali e statistici dei Giochi in una coreografia di pattinaggio di figura, svelando in modo acuto il paradosso moderno per cui la crescita esponenziale dell'evento è ormai subordinata a una dipendenza sempre maggiore dalla neve artificiale. Un’indagine sul corpo in movimento che trova la sua chiusura in "Numechi.studio" (Giulia Bertolazzi e Cosimo Maffione), i quali, lavorando sul vicino centro di eccellenza IceLab, trasformano il gesto della campionessa altoatesina Carolina Kostner in un'esperienza immersiva, misurando la tensione fisica tra il corpo, reso rosso dalla termocamera, e il blu del ghiaccio.
Infine, nella sezione "Criosfera", il percorso non teme di confrontarsi con la fragilità del futuro. L'installazione "Void" di The Invisible Mountain espone un frammento di geotessile: il telo di plastica usato per rallentare lo scioglimento di ghiacciai a rischio estinzione quali il Presena, offrendo l'eco spettrale e poetica di una montagna in assenza. In un mondo in cui il freddo stesso è diventato tecnologia e l'esperienza della neve una simulazione, "Fuoripista" si impone come un invito urgente a relazionarsi e a sentirsi, ancora di più, parte di un paesaggio montano che è ora più che mai luogo di relazione, adattamento e immaginazione condivisa.
