© Giorgia Pallaoro
Poesia è un atteggiamento, una pratica di relazione con il mondo che consente alle cose, alle persone, agli eventi, di mostrarsi a noi, come se nascessero ogni volta. La poesia può essere in tutto, nella felicità come nel dolore. Se la poesia iniziasse a essere vista come un modus vivendi, come un accadere delle cose stesse, come una vibrazione che abita la vita, forse ci aggireremmo nel mondo con occhi diversi.
C’è un gesto silenzioso e costante che ci accompagna da sempre. Non fa rumore, ma segna ogni nostro istante. È il respiro. Un andare e venire, come l’onda, come la luce, come la vita. Inspirare, espirare. Entrare e uscire. Un continuo passaggio tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, tra il visibile e l’invisibile, tra l’Io e il mondo.
Abitare il mondo poeticamente significa accorgersi di quel gesto. Riconoscere che nel ritmo del respiro si cela una sapienza antica che ogni volta ci ricollega alla nostra parte più vera. In un tempo che corre, che spinge, che comprime, il respiro è un atto di resistenza gentile. Ci insegna a rallentare, a sentire, a guardare con occhi nuovi anche ciò che vediamo ogni giorno.
È da qui che parte il lavoro di Giorgia Pallaoro, artista trentina classe 1991, con la mostra In/Out presso la Galleria Contempo di Pergine e visitabile fino al 27 agosto. Un progetto intimo e universale, dove il respiro diventa chiave di lettura del mondo, postura creativa, filosofia quotidiana.
«Il titolo In/Out nasce da un gesto che ci appartiene fin dal primo istante e che ci accompagna fino all’ultimo: il respiro. È il movimento più semplice e profondo che esista; ed è proprio da lì che sono partita. Mi sono chiesta cosa, al di fuori di me, ha il potere di tenermi in vita, di nutrirmi, di darmi sollievo. E da questo ascolto, da questa ricerca sottile, sono nate le immagini e le forme che compongono la mostra».
Respirare, per Giorgia, è anche un atto di fiducia. Un modo per accogliere ciò che ci consola, che ci salva. E la poesia — intesa non come genere letterario, ma come sguardo, come vibrazione — è la sostanza stessa di questo respiro.
«Mi sono resa conto che tutto ciò che mi fa sentire viva ha a che fare con la poesia. Ma non parlo solo di poesia scritta: parlo di quella che ci circonda, che vive nelle piccole cose, nei dettagli di ogni giorno. Riuscire a coglierla — o anche solo accorgersi che esiste — è, per me, un modo per restare integra a livello dell’anima. Non lo considero un lavoro, ma una vocazione: una necessità profonda di mantenere vivo lo sguardo».
Nel lavoro di Giorgia la poesia è una scelta, una postura, una forma di presenza. Si manifesta nei gesti più quotidiani, in ciò che si attraversa mille volte eppure ogni volta può meravigliare.
«Molte delle opere in mostra raffigurano il mio tragitto quotidiano da casa al lavoro. Paesaggi che vedo tutti i giorni e che proprio per questo diventano ancora più preziosi. Perché anche nella ripetizione c’è qualcosa di sorprendente. Basta un cambio di luce, una foglia che cade, un’ombra diversa… e tutto si trasforma. Ogni giorno, anche il più banale, può offrirci qualcosa di meraviglioso. Basta restare in ascolto».
In mostra il dentro e il fuori si toccano, si confondono, si specchiano. Opere su carta e ceramica danno forma a scorci familiari, ad atmosfere intime, a presenze affettuose. Ci sono ritratti di persone care — amici, familiari — realizzati come “involucri”, corpi-memoria che diventano nutrimento emotivo.
«Anche le persone che ci sono vicine fanno parte di quel nutrimento di cui parlavo. Ho realizzato una serie di ritratti in ceramica dedicati a loro perché la relazione affettuosa è una forma di respiro: ci sostiene, ci ricorda chi siamo, ci accompagna».
Accanto a questo universo relazionale c’è il legame profondo con la natura. Una necessità quotidiana, quasi biologica per Giorgia. La natura non è solo presenza, ma maestra di vita. L’orto, in particolare, è simbolo della trasformazione costante che attraversa ogni esistenza.
«Ho bisogno della natura ogni giorno. Senza quel contatto mi sembra di soffocare. In mostra c’è anche un’opera che nasce dal mio orto, o meglio, dalle sue erbacce. Quelle piante che a volte estirpo per fare spazio. Le ho raccolte e onorate. Perché anche ciò che va lasciato andare merita riconoscimento. Quelle erbacce per me rappresentano la morte, ma anche ciò che rende possibile la rinascita. Lasciare spazio non significa dimenticare, ma creare le condizioni per qualcosa di nuovo».
Ogni gesto, ogni forma, ogni supporto scelto da Giorgia racconta una relazione. Con la terra, con le persone, con il tempo. Nel lavoro ceramico l’idea dell’involucro si fa centrale: non solo nei ritratti, ma anche in una serie di piastrelle che riproducono i suoi vestiti lasciati sul letto, come tracce di passaggi umani.
«Si tratta di gusci, di forme vuote che parlano. Come le conchiglie. L’idea è di sviluppare questo progetto aggiungendo un audio a ciascun ‘guscio’: una specie di diario sonoro della giornata vissuta con quei vestiti. Mi piace pensare che, come da bambini mettevamo all’orecchio la conchiglia per sentire il mare, così si possa ascoltare la memoria di un giorno attraverso la forma che lo ha accolto».
C’è tenerezza in questa mostra. C’è attenzione, c’è cura. In/Out è un progetto che ci ricorda quanto sia prezioso il gesto di trattenere il fiato e guardare. Quanto valore abbiano le presenze silenziose, i paesaggi interiori, la materia che porta traccia.
È un invito a respirare con più consapevolezza, a non temere il cambiamento, a portare poesia anche nei gesti più ordinari. Perché — come sussurra Giorgia, tra un’opera e l’altra — “quello che ci tiene in vita è davvero buono. E spesso è più vicino di quanto pensiamo”.