Fotografare le Alpi #21. Intervista a Francesco Taurisano
@ Francesco Taurisano
La luce tagliente delle Alpi, il silenzio rotto solo dal vento, la grandezza imponente delle vette che si stagliano contro cieli infiniti. È in questo scenario che si muove Francesco Taurisano, fotografo capace di cogliere l'anima più recondita della montagna e di svelarne la fragilità e la forza attraverso un obiettivo che non si limita a registrare ma interpreta, denuncia, accarezza. La sua è una storia di ritorno, un viaggio che lo ha riportato tra le braccia delle Dolomiti dopo anni trascorsi lontano, in ambienti lavorativi e metropolitani che non gli appartenevano più. Nato a Gattinara, in provincia di Vercelli, e ora residente a Biella, Taurisano ha un percorso che, come le vie alpine, non è stato sempre lineare. Dopo un'esperienza in una grande corporation a Dublino, all'università in Irlanda ha incontrato la fotografia: un incontro lontano dalle patinature commerciali, più vicino a un’idea di documentazione che affonda le radici nella fotografia italiana degli anni '70 e '80, quella di Ghirri, Guidi, Basilico, e nelle esplorazioni del paesaggio americano di Stephen Shore.
Dal rientro in Italia nel 2018 ha collaborato con Google Arts & Culture; un'esperienza che ha affinato il suo occhio documentaristico e lo ha allontanato da approcci edulcorati. Quindi l'incontro con l'Oasi Zegna, un progetto che lo ha immerso completamente nella natura alpina tra malgari e pastori, vecchi mestieri e vita montana. Ma è un progetto più recente, ancora senza nome, a catturare la sua attenzione in modo totale: la documentazione del massiccio del Monte Rosa e del Monte Bianco con focus sui ghiacciai, testimoni silenziosi e fragili di un cambiamento climatico inarrestabile. Francesco Taurisano è oggi un narratore che, con la sua "penna" di luce, invita a guardare, a riflettere, a sentire il battito di un ambiente che chiede rispetto e attenzione. Le sue immagini sono un monito e, al tempo stesso, un inno alla bellezza imperitura delle Alpi; un invito a riscoprire quella connessione profonda con la natura che, forse, abbiamo smarrito.
Francesco, come nasce questo progetto fotografico?
Nasce dall'esigenza di sensibilizzare le persone su un tema che molti demonizzano o sottovalutano, mentre lo stato dei ghiacciai è sempre più critico. L'intento è sociale, educativo e formativo: vorrei coinvolgere anche i ricercatori, per assisterli sul campo e condividere il materiale scattato a fini informativi e di studio.
Come si declina il tuo progetto alpino?
Per ora scatto solo in digitale, per praticità, tuttavia non escludo di tornare alla pellicola e al medio formato. Prediligo le ore del mattino, l'alba, ma il tempo in quota è imprevedibile: a volte parto che è ancora notte, e verso metà mattina, arrivano le nuvole. Posso restare in rifugio aspettando il tramonto o tornare a casa. Fa parte della montagna, non è un problema: accetto il "pacchetto completo".
Quali le due immagini più “estreme”, i due poli agli antipodi che lo racchiudono?
La prima potrebbe essere il ghiacciaio del Liskamm. Mostra un ritiro impressionante: 2.000 metri più sotto si notano crepacci dove un tempo c'era solo ghiaccio e, in cresta, una riduzione di più del 30% rispetto alla versione originale che eravamo abituati a conoscere. È un'immagine orizzontale, emblematica del "ghiacciaio che non c'è più". La seconda foto, invece, è in realtà una serie di tre-quattro immagini di un crollo: un grosso blocco di ghiaccio grande come un condominio che si stacca e si disfa, trasformandosi in una cascata. Ho scattato queste foto sempre sotto il Liskamm, a fine giugno, in concomitanza con lo zero termico registrato oltre i 5.200 metri: sono foto verticali, a colori, che mostrano il Rosa rossastro, quasi desertico, passando da uno stato glaciale a un deserto.
Cosa rende riconoscibile il tuo stile fotografico?
Credo l'uso del colore e della luce; o, almeno, questi sono i feedback che ricevo. La qualità della luce in ogni momento della giornata influenza la resa cromatica: si tratta di fortuna, ma anche di attesa e di partire presto per cogliere la luce migliore. Faccio poca post-produzione, calibro per restare il più fedele possibile alla realtà evitando effetti che rendono le immagini finte.
Cosa hai scoperto in questa tua indagine fotografica?
Ho scoperto persone molto belle in montagna, dai pastori ai gestori di rifugi. C'è molta accoglienza. E ho colmato una lacuna: i rifugi spesso non hanno cartoline aggiornate, così ho iniziato a lavorare con loro per fornire stampe e cartoline di qualità, fatte su carta cotone baritata e da vendere a costi popolari.
Com’è, oggi, il tuo rapporto con la montagna?
Molto buono, mi sento a mio agio. È fatto di rispetto reciproco: non cerco mai di strafare né di mettermi in pericolo, perché la montagna non perdona. È un ambiente congeniale per me, dove posso pensare, prendere appunti e programmare le prossime sessioni. Affrontare le vie da solo con l'attrezzatura è impegnativo, ma necessario per la documentazione. Però valuto sempre la situazione e i miei limiti; meglio tornare indietro, se il tempo peggiora drasticamente.
Quale consideri il tuo scatto migliore?
È il ritratto di un falegname. Catturando quell'immagine ho capito di voler usare il medio formato e la pellicola, per la profondità di campo e la resa cromatica. Il falegname guarda in camera, con colori ben calibrati e uno sfondo di assi e neve. Quella foto l'ho scattata vicino a casa, in una falegnameria. Credo che mi piacerebbe realizzare una serie di ritratti di persone che vivono e lavorano in montagna, con quel taglio formale da galleria, sull'impronta della scuola tedesca anni '70-'80.
Senti il desiderio di catturare un’immagine ancora mai scattata?
Sì, ogni volta che esco cerco di fare qualcosa di unico. Mi interessa soprattutto tornare a casa con un'immagine che abbia criteri validi per la fotografia contemporanea. È raro e a volte nemmeno io capisco appieno se li rispetto, senza un art director. Sicuramente vorrei tornare sul Liskamm e fotografarlo dall'alto, dalla cresta, per cogliere una visuale totalmente differente, sebbene comporti tutti i rischi del caso.