Wunderkammer City. A Urban Collection

La città come museo vivente: tracce, memorie e relazioni in una camera delle meraviglie contemporanea

© Lorenzo Danieli

Ci sono città che nascondono le loro meraviglie sotto il velo dell’abitudine. Basta poco per sollevarlo: uno sguardo laterale, un gesto collettivo, una domanda imprevista. Da oltre dieci anni, il collettivo Museo Wunderkammer (MWK) prova a sollevare quel velo. Lo fa con azioni urbane, installazioni, performance, archivi partecipati. Lo fa ascoltando i margini, restituendo valore all’ordinario, alle tracce di ciò che è stato vissuto e poi dimenticato.

Ora tutto questo prende forma in una mostra: “Wunderkammer City. A Urban Collection”, curata da Marco Scotini e Andris Brinkmanis, ospitata a Le Gallerie – Fondazione Museo storico del Trentino sarà visitabile fino al 21 settembre. Non si tratta di una semplice esposizione, ma di un gesto collettivo e affettivo, un invito a rileggere la città come museo vivente, a osservare ciò che normalmente sfugge, a riconoscere le meraviglie nell’eterogeneo, nel frammentario, nel vicino.

“Wunderkammer City” non raccoglie oggetti preziosi, ma relazioni. Non espone rarità, ma sguardi. È una camera delle meraviglie contemporanea, dove ciò che conta non è il possesso ma la connessione tra storie, persone e luoghi. Un’occasione per riattivare la memoria urbana e per lasciarsi interrogare dal potenziale trasformativo dell’arte pubblica.

© Lorenzo Danieli

Per conoscere al meglio la mostra, ne parliamo con Luca Bertoldi e Giusi Campisi, ideatori di MWH.

Luca e Giusi, in che modo la mostra sovverte o reinterpreta il concetto tradizionale di Wunderkammer? Se nel Seicento le camere delle meraviglie raccoglievano oggetti rari ed esotici, qui si espone l’ordinario: quali implicazioni politiche e poetiche ha questa scelta?

About the authorStefania Santoni Sono nata nel cuore di una fredda notte di gennaio, tra il bagliore della luna piena e il [...] More
Il collettivo Museo Wunderkammer nella mostra, propone una riflessione sul concetto tradizionale di Wunderkammer intesa come proto museo, trasformandolo da spazio chiuso e proprietario a dispositivo collettivo e situato. Se le camere delle meraviglie del XVI e XVII secolo erano luoghi privati, in cui il collezionista esercitava il proprio potere accumulando oggetti rari ed esotici provenienti da mondi lontani, qui si espone l’ordinario, il frammentario, ciò che è vicino, vissuto e spesso invisibile. Non c’è più il gesto di dominare il mondo attraverso la raccolta, ma quello di condividerne le tracce e riattivarne il significato. Museo Wunderkammer nasce come risposta critica alla museificazione del mondo, che rischia di neutralizzare i luoghi e svuotarne l’esperienza viva. Il collettivo quindi agisce per una demuseificazione, restituendo al museo una funzione dinamica, partecipata, aperta alla contaminazione con i saperi, i desideri e le memorie dei contesti. La camera delle meraviglie, nella sua riconfigurazione contemporanea, diventa così la città stessa: eterogenea, sfuggente, attraversata da conflitti, memorie rimosse e immaginari soggettivi. È un’operazione che sovverte le gerarchie tra ciò che è degno di essere raccolto ed esposto e ciò che normalmente viene escluso. In questa nuova collezione urbana, il valore non è dato dalla rarità, ma dalla relazione: tra persone e spazi, tra storie e forme, tra istituzioni e comunità.

 

© Lorenzo Danieli

Che tipo di relazioni si sono create, in questi undici anni di attività, tra il collettivo Museo Wunderkammer e le cittadine e i cittadini di Trento? È possibile parlare di una vera e propria co-curatela urbana?

In questi undici anni di attività, Museo Wunderkammer ha costruito con le cittadine e i cittadini di Trento un rapporto non strumentale, ma costitutivo. L’atto fondativo del progetto – la Collezione di Immaginari Urbani del 2014 – ne è la prima manifestazione concreta: una call pubblica che ha invitato le persone a donare elementi della città portatori di senso affettivo, soggettivo, relazionale. Museo Wunderkammer nasce come progetto collettivo, non mira a rappresentare identità già date, ma attiva processi in cui le soggettività si costituiscono nella relazione, nel linguaggio e nell’immaginario. È un collettivo che si costruisce nell’attraversamento di ruoli e nella porosità tra pratiche artistiche, urbane, discorsive e politiche. La partecipazione non è una fase accessoria del progetto, ma un campo di riflessione continua.  Esperienze come Utopia (2015) – realizzata in un quartiere di Riva del Garda – mostra quest’attitudine a innescare un cortocircuito tra realtà istituzionali e immaginari individuali, tra memoria urbana e conflitto sociale. In Utopia il dispositivo della progettazione partecipata – solitamente utilizzato per produrre consenso – viene decostruito e riconsegnato alla cittadinanza come forma di azione critica e performativa. Il gruppo di lavoro che ha costruito quella performance includeva soggetti attivi nel territorio, restituendo l’idea che l’opera fosse il processo stesso. Le opere di MWK non documentano un contesto, ma lo interrogano, lo trasformano, lo mettono in scena. La mostra Wunderkammer City offre una restituzione plurale, in cui le voci, i corpi e le memorie della città trovano forma nell’arte come pratica discorsiva e le relazioni costruite nel tempo emergono come materia stessa del museo, inteso come dispositivo nomade, relazionale e critico.

© Lorenzo Danieli

La mostra si muove su tre assi: città, museo e archivio. In che modo questi tre luoghi simbolici dialogano tra loro e con il pubblico, all’interno del percorso espositivo?

Il curatore Marco Scotini, con Andris Brinkmanis, ha scelto di esplicitare in mostra tre assi - città, museo e archivio – che si compenetrano e si rispecchiano. Cartografie dell’urbano racconta eventi, immaginari e luoghi intesi come spazi vissuti, che sono anche scena e materia della ricerca; Wunderkammer, come riflessione sull’istituzione culturale nella società contemporanea, sul suo ruolo coercitivo e di produzione di retoriche capaci di mettere a valore la città e i suoi abitanti; infine l’Archivio presenta alcuni casi di memorie rimosse reinserendole criticamente nel discorso presente. In mostra, queste tre dimensioni si intrecciano attraverso stratificazioni di senso e dispositivi narrativi, documentazioni fotografiche e testuali.

© Lorenzo Danieli

Cosa può insegnarci questa mostra sulla funzione sociale e politica dell’arte oggi, soprattutto nel contesto di spazi pubblici attraversati da tensioni, memorie rimosse e desideri collettivi?

La città è uno spazio attraversato dalle molteplici istanze dei cittadini, delle amministrazioni, delle istituzioni, degli interessi divergenti dei vari attori. Il confine di una città non è la sua periferia ma è all’interno della città stessa, nella tensione che si genera tra architetture e corpi, tra bisogni collettivi e desideri individuali. Anche in una città piccola come Trento, dislocata rispetto ai grandi centri di produzione culturale, emergono storie altre, memorie plurali e aperte. È proprio in questo scenario di tensioni sommerse e attraversamenti che la pratica artistica si rivela fondamentale come strumento per abitare il confine, smontare narrazioni dominanti e attivare spazi di senso e di possibilità. L’arte, proprio perché attraversa linguaggi diversi dall’architettura alla performance, dall’archivio alla documentazione, fino al gesto politico – ha la capacità di interrogare ciò che è dato, sollevare dubbi, mettere in discussione lo statuto consolidato delle cose e disinnescare l’apparente neutralità del visibile e del detto. La pratica di Museo Wunderkammer è un’azione situata, che si innesta tra la città e l’istituzione per tenere aperto il senso di ciò che viene abitato, ricordato, condiviso. Lontano dalla volontà di rappresentare, Museo Wunderkammer sperimenta modi di attivazione della realtà come domanda aperta e costruzione di un discorso collettivo. Molti dei suoi progetti si fondano su una relazione viva con l’archivio, inteso come terreno di riscrittura e interrogazione. Per MWK, l’archivio non è mai neutro: è selettivo, escludente, e proprio per questo dev’essere attraversato, scomposto, riassemblato. Le opere 78 e Rosa Trento ne sono due esempi emblematici: entrambe nascono da una ricerca d’archivio su vicende rimosse – l’omicidio politico di Fausto e Iaio e l’incriminazione di 263 donne per aborto clandestino – trasformandosi in dispositivi artistici che restituiscono voce a soggetti esclusi dalla narrazione ufficiale. 78 diventa un’azione corale e performativa che riattiva la memoria collettiva; Rosa Trento, attraverso la trasformazione dei faldoni giudiziari in un monumento effimero, apre una riflessione sul potere e sull’assenza nei processi di rappresentazione. In entrambi i casi, lo spazio pubblico si configura come terreno di conflitto e possibilità, dove la contro-narrazione si esercita come pratica politica collettiva, per rimettere in discussione le gerarchie del visibile.

 
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