Racconti di boschi, di fabbriche e di persone
Intervista al fotografo ed artista Francesco Jodice – uno dei maggiori interpreti del paesaggio sociale contemporaneo - in occasione del suo nuovo progetto espositivo a Casa Zegna a Trivero (Bi) dove indaga il paesaggio sociale della suggestiva Oasi Zegna in tre racconti fotografici che intrecciano volti, natura e memoria industriale.

© Francesco Jodice
Arte e ricerca come strumenti comunicativi e di indagine in un progetto fotografico articolato e intenso, che narra ed intreccia paesaggi culturali (ma anche esistenziali ed emozionali) diversi, colti dallo sguardo di un fotografo e artista italiano tra i più importanti sulla scena internazionale, particolarmente sensibile ed attento ai mutamenti del paesaggio sociale contemporaneo e ai fenomeni di antropologia urbana. Una mostra che segue il filo narrativo di tre racconti distinti seppur intrecciati tra loro, perché parte di un’unica trama, espressione di un unico territorio.
Sto parlando di Racconti di boschi, di fabbriche e di persone, il progetto fotografico ideato dal fotografo, artista e video-maker Francesco Jodice in collaborazione con Sara Gentile, curato da Ilaria Bonacossa e commissionato da Fondazione Ermenegildo Zegna. Il progetto è in mostra dal 17 maggio al 16 novembre 2025 a Casa Zegna, spazio polifunzionale, situato accanto allo storico Lanificio del Gruppo Ermenegildo Zegna, circondato dalla splendida natura dell’Oasi Zegna, a Trivero Valdilana (Biella). L’evento espositivo si inserisce tra gli appuntamenti che ricordano il 25simo anniversario di Fondazione Zegna, costituendo un nuovo tassello della linea di azione della Fondazione, impegnata da tempo nel dialogo con artisti e talenti contemporanei, nel ricercare - in continuità con le visioni e la strada tracciata dal fondatore Ermenegildo Zegna - nuove prospettive sulla relazione tra uomo, territorio, memoria e natura.

Il percorso visivo di Francesco Jodice è un racconto in 24 immagini, dedicate alle tre diverse anime di Oasi Zegna: la fabbrica, con uno sguardo dall’interno sullo storico Lanificio e sulla dimensione quotidiana del lavoro; la comunità, dove l’indagine si sposta sulle persone e sulla memoria collettiva; la natura e i suoi boschi, con una serie di immagini volte a restituire l’essenza di un paesaggio imponente e quasi sospeso nel tempo, nella sua purezza ancestrale. Ma vi lascio scoprire più da vicino i molteplici fili ed intrecci di questo articolato progetto, attraverso le parole del suo stesso autore: il fotografo ed artista Francesco Jodice.
Francesco Jodice (1967, Napoli) vive e lavora a Milano, insegna al Biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali e al Master in Photography and Visual Design presso NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. È stato tra i fondatori del collettivo Multiplicity. Ha partecipato a mostre collettive come Documenta, la Biennale di Venezia, la Biennale di São Paulo, la Triennale dell’ICP di New York, la Biennale di Yinchuan. I suoi lavori sono stati esposti al Castello di Rivoli (Torino), alla Tate Modern (Londra) e al Prado (Madrid). I suoi lavori più recenti – Atlante, American Recordings e WEST – esplorano i possibili scenari futuri dell’Occidente.


Qualche anno fa ho ricevuto la bella proposta da parte di Fondazione Zegna di realizzare un progetto di arte contemporanea sul territorio che mi lasciava libero di esprimermi creativamente. Come materia di indagine mi è stata offerta invece l’ampia panoramica paesaggistica ma anche culturale del territorio su cui si è innestata la lunga storia aziendale del Lanificio Zegna. Nel definire la mia ricerca ero attratto da tre idee: da una parte mi interessava lavorare sulla cultura operaia e sulla realtà storica della fabbrica, nella sua intensa e costante relazione con il paesaggio montano e la comunità locale. La famiglia Zegna non ha infatti mai trasferito altrove la sua manifattura, diversamente da altre aziende italiane. E questo, dal punto di vista della storia operaia, mi sembrava un tema importante da raccontare. Altrettanto affascinante era la storia dell’Oasi Zegna che il fondatore, circa cento anni fa, ha fatto riforestare con una nuova ed estesa area boschiva, cambiandone per sempre il paesaggio ed arricchendone l’ecosistema. Poi c’è una terza storia che mi intrigava, legata alle persone sul territorio. Da tempo mi occupo di antropologia urbana e - anche se qui non siamo propriamente in un territorio urbano tradizionale - mi interessava capire come tutte queste vicende abbiano cambiato la storia della comunità locale.
Dopo qualche esitazione, mi sono detto che queste tre storie meritavano di essere raccontate come fili diversi di un unico telaio. Questi boschi non ci sarebbero, se non ci fosse la fabbrica; la fabbrica è viva perché è fiorita di generazione in generazione con l’impegno dei lavoratori e della comunità locale, che a loro volta hanno potuto godere dei benefici della natura circostante. Ho pensato quindi che l’unico racconto possibile fosse un crocevia tra boschi, fabbrica e persone.
Come hai quindi realizzato, concretamente, l’intreccio di questi tre paesaggi culturali?
Ho articolato il progetto in tre racconti distinti, secondo i tre nuclei fotografici citati dal titolo. Ho lavorato fin da subito a quattro mani con la mia compagna, Sara Gentile, anche lei fotografa, con cui condivido molti viaggi e progetti. Le opere in mostra sono 24 e tra queste ci sono anche delle fotografie dove le tre storie si intersecano tra loro. Sono immagini dove almeno due dei racconti, invece di stare all’interno della propria narrazione, ibridano i temi. Per esempio, per una delle foto, io e Sara abbiamo inserito nel paesaggio una grande “buns” di cashmere, di un giallo ocra stupendo, poggiandola su di un masso, quasi un altare, scovato nelle nostre peregrinazioni tra i boschi. In tal caso siamo partiti da un oggetto legato alla fabbrica, per poi immergerlo nei colori del paesaggio invernale. L’idea è che questi tre racconti non siano corpi a sé, ma in continuità e che ogni tanto diventino fluidi, ibridandosi tra loro.

Nel nucleo fotografico centrato sulla comunità hai realizzato delle foto di classe agli studenti del posto. Questa tipologia di scatti non è nuova per te…
Sì, esatto. Il terzo racconto, centrato sulla comunità, è traslato da un progetto che porto avanti da anni e che si chiama Ritratti di classe. È dal 2006 che, quando ne ho l’occasione, mi sostituisco al fotografo incaricato dalle scuole, con l’idea di fissare lo sguardo su coloro che oggi sono ragazzini, ma che un domani erediteranno il governo dei territori che abitiamo, così come le fabbriche, le comunità e i centri abitati, proponendo una sorta di grande fotografia storica anticipata. Il terzo racconto, non è quindi un lavoro nuovo, ma parte da un progetto che indago da anni e che ho realizzato negli istituti della zona, dove vi sono magari anche i figli delle persone che lavorano nel lanificio e nell’indotto che il lanificio crea. Tutte le foto di classe sono state scattate a scuola, tranne una realizzata nell’oasi, in un bosco, costituendo una di quelle fotografie ibridate o fluide di cui dicevo prima.
Dove è allestita l’esposizione?
L’ allestimento si trova a Casa Zegna, uno spazio espositivo molto sofisticato. È una struttura architettonica dalle linee pulite, una sorta di scatola di vetro annessa al corpo centrale della fabbrica. Anche nell’allestimento, ragionando con la curatrice Ilaria Bonacossa abbiamo deciso di far percepire al visitatore l’autonomia ma anche la continuità dei tre racconti. E la potenza del paesaggio che irrompe dalle vetrate tra i pannelli espositivi contribuisce ampiamente a rafforzare tale dimensione.
Ci sarà una pubblicazione di accompagnamento alla mostra?
Sì, insieme a Fondazione Zegna stiamo ragionando sulla possibilità di realizzare un volume che raccolga l’intero progetto. Sarà presentato probabilmente in autunno, prima del finissage. Si tratterà di una pubblicazione che in qualche modo andrà oltre la mostra, perché, in aggiunta alle 24 opere esposte, saranno inserite nella narrazione del libro altre fotografie, che devo ancora realizzare. La mostra abbraccia più stagioni, ho scattato a partire da ottobre/novembre, poi in inverno e l’ultima sessione fotografica è di aprile. Il progetto tuttavia non è finito perché intendo fare delle foto anche in estate, per mostrare come cambi il paesaggio nel corso dell’intero anno. Tornerò nelle prossime settimane all’Oasi per realizzare queste fotografie che non diventeranno quindi opere, ma parte del libro. Chiamo libro la futura pubblicazione perché non mi piace il termine catalogo. Trovo più interessante quando il libro si presenta come un oggetto a sé e non come un mero lavoro di accompagnamento ad una mostra. Il fatto che includa altri contenuti, non ai fini dell’esposizione, gli dà una prospettiva a mio avviso diversa e più interessante.


Tuo padre, il grande fotografo e artista Mimmo Jodice, ha realizzato, a sua volta, un progetto fotografico per Fondazione Zegna. Come hai vissuto il tuo progetto in continuità con il suo lavoro?
Nel 2007 mio padre era stato invitato, sempre da Anna Zegna, a lavorare su due temi: l’Oasi ed il Lanificio. Ha realizzato un lavoro, a mio avviso, molto intenso, che personalmente ho riscoperto di recente, visitando gli archivi della Fondazione. Questo lavoro di mio padre è diventato una mostra con un corpus notevole di opere, dal titolo Oasi, allestita prima presso Camera, Centro italiano per la Fotografia di Torino, tra ottobre 2024 e febbraio 2025. Poi è diventato un libro pubblicato da Dario Cimorelli Editore e infine, da marzo ad aprile 2025, una mostra presso Casa Zegna, così che la mia mostra è stata inaugurato la settimana seguente alla chiusura di quella di mio padre.
C’è, evidentemente, una dimensione di continuità tra Oasi e i Racconti fatti da me vent’anni dopo.
L’idea di tessere un dialogo tra generazioni, di padre in figlio, è anche un aspetto in linea con la cultura famigliare della Fondazione Zegna. In passato, per fare un altro esempio, Fondazione Zegna ha dedicato una mostra all’artista Michelangelo Pistoletto ed una a suo padre Ettore Olivero Pistoletto, pittore meno noto, ma ugualmente importante per il territorio. Personalmente, nell’individuare il mio percorso ho dovuto stare molto attento a non ignorare, ma anche a non sovrappormi alle tematiche del lavoro di mio padre, che ha rivolto uno sguardo così sensibile al medesimo territorio di indagine. A distanza di vent’anni, accostarmi al suo lavoro, con la mia personale visione, è stata una sfida ambiziosa, oltre che emotivamente coinvolgente. Sono quindi molto grato a Fondazione Zegna per quest’opportunità davvero unica.