© Asia De Lorenzi
C’è un tempo dell’anno in cui tutto ricomincia. Un tempo che sa di promesse e di semi, di gesti leggeri e silenziosi che preparano il miracolo. È il tempo in cui le donne si piegano alla terra non per sottomettersi, ma per nutrirla con cura. È la primavera: il momento in cui le radici si tendono come braccia sotto il suolo e i fiori sussurrano l'antica lingua della rinascita.
In questo tempo sacro, fatto di linfa e di luce nuova, torna “Ella”, il festival delle arti femminili, ma anche della sorellanza, della parola che si fa gesto, rito, scena, respiro condiviso. Un’edizione speciale, quella primaverile del 2025, che sboccia come un giardino segreto, custodito da mani pazienti, da voci che raccontano, da corpi che danzano la loro verità. Qui la cultura non è una vetrina, ma una stanza accogliente in cui entrare scalze, lasciando fuori le armi, le maschere, le corse. Qui l’arte non è ornamento, ma una forma di guarigione lenta, una medicina fatta di tessuti intrecciati, cuciti da mani sorelle che riconoscono la bellezza nel dettaglio, nel frammento, nel gesto che non si vede.
“Ella” è questo: un invito a fiorire insieme, senza fretta, senza gerarchie. A riconoscersi come fioriture differenti dentro uno stesso campo, un campo che non giudica, che accoglie anche i petali storti, anche le spine. È un tempo di donne che si parlano da una sponda all’altra dell’invisibile, una rete d’amore che si tende tra performance, laboratori, visioni, letture, canti. Una trama di relazioni in cui la cultura è sorellanza, e la sorellanza è un atto politico, poetico, necessario.
A guidare questo rito di primavera c’è Greta Marcolongo, direttrice artistica del festival, ma per me molto di più: una sorella d’anima, una presenza che illumina anche i giorni più faticosi con la sua visione limpida, con la sua forza gentile. Greta è una di quelle donne rare che sanno stare accanto senza invadere, che costruiscono ponti senza clamore, che fanno della cura una forma d’arte. Ed è con infinita gratitudine che mi preparo a conversare con lei — per parlare del festival, certo, ma anche di quella forma preziosa e misteriosa di cura che è la sorellanza.
Ella fiorisce. E noi con lei.
È tempo di aprirsi. Di stare. Di rispondere al richiamo. È tempo di primavera.
Cura e fioritura sono due temi centrali di questi appuntamenti…
Sì, sono parole che porto con me da sempre. Ho una vera passione per i termini, per il loro suono, per ciò che evocano. “Cura” e “cultura”, ad esempio, sono strettamente legate: la cultura, per me, è una forma di cura, di attenzione profonda verso ciò che ci circonda e ci attraversa. Ed è anche questo il senso di “Ella”: non solo un festival performativo, ma uno spazio in cui si intrecciano arti, idee, corpi, anime. Un luogo in cui possono trovare spazio il dialogo, l’ascolto, la delicatezza. Ho sempre avuto un amore speciale per i fiori, per la botanica, per la loro lentezza intelligente. Uso spesso i verbi “fiorire” e “rifiorire” perché mi risuonano dentro, raccontano qualcosa che conosco. Credo profondamente nel gesto del seminare, nella fiducia che si deposita nella terra. E sto imparando la pazienza: quella delle stagioni, dei ritmi naturali, della crescita. La pazienza che serve per accompagnare la nascita di una pianta, di un fiore, di un’erba selvatica. Le nascite sono tante, e non tutte sono visibili. Lavoriamo in modo metaforico sul concetto di fioritura e di rinascita, intrecciandolo alla primavera, che è il tempo naturale della semina. Seminare ora, in primavera, significa poter raccogliere i frutti in estate e gustarli in autunno, proprio in occasione della prossima edizione di“Ella”. C’è un ciclo che si ripete e si rinnova, e noi ci muoviamo al suo interno, in ascolto.
Quando penso a “Ella”, è impossibile non aprire una riflessione sul senso di rete, sinergia e sorellanza...
Con “Ella” ho compreso davvero cosa significhi connessione. È una parola potente, che contiene in sé l’idea di incontro, di ascolto, di intreccio. I festival che mettono al centro temi di genere – ma non solo – e che scelgono di guardare l’arte da prospettive laterali, spesso nascono e si sostengono proprio grazie alla forza delle relazioni. Ed è lì che tutto prende forma: nella rete viva e pulsante che si crea tra persone, storie, visioni. Penso spesso a Penelope, al suo gesto antico del tessere. A quel suo raccogliere fili dispersi e intrecciarli con pazienza. La tessitura è una parola chiave di “Ella”. È ciò che ci guida nel creare legami, nel dare forma a un’idea collettiva. La sorellanza, in questo, è un terreno fertile: significa fidarsi, affidarsi, riconoscere nell’altra una possibilità di crescita, un’occasione per andare più a fondo, per generare spazio. Ma non è sempre facile. La sorellanza autentica richiede un lavoro profondo: implica confrontarsi con i propri limiti, lasciare andare il controllo, dare davvero spazio all’altra. Non è solo affetto o alleanza, è un processo di co-creazione, un gesto politico e affettivo insieme. È completare insieme un disegno, anche quando i fili si ingarbugliano. E quando si riesce, è una forma rara e potente di bellezza condivisa.