Sensibile al mondo. Immagini, storie e altre soglie
La nuova mostra a Palazzo Assessorile di Cles

Issa Watanabe © Kintsugi @logosedizioni
Cosa significa essere sensibile al mondo?
Non è solo una questione di fragilità, né una disposizione d’animo gentile. È una pratica viva, una forma di ascolto, una postura del corpo e dello sguardo. Significa lasciarsi attraversare da ciò che accade, percepire le crepe, i tremori, le sfumature che spesso sfuggono. Essere sensibili è riconoscere che esistono voci sussurrate sotto la superficie, che ogni ombra ha una sua temperatura, ogni silenzio un ritmo. È il contrario dell’impermeabilità: un’arte porosa del sentire.
"Sensibile al mondo" è la nuova mostra curata da P. Parenti ospitata tra le stanze di Palazzo Assessorile di Cles e visitabile fino al 2 giugno: questa esposizione raccoglie storie illustrate che si fanno gesto poetico, indagine affettiva e resistenza emotiva. Le opere di Roger Olmos e Anna Paolini dialogano con una selezione di albi illustrati capaci di esplorare territori complessi: la perdita e il legame, la trasformazione e il radicamento, l’unicità e la condivisione.
In questo viaggio visivo e narrativo, la sensibilità diventa forma di conoscenza. Quella che, come scriveva Audre Lorde, permette di riconoscere le connessioni profonde tra sé e le altre, tra sé e il mondo.
Così, pagina dopo pagina, si entra in una geografia emotiva fatta di figure che resistono, immagini che accolgono, parole che ascoltano.
"Sensibile al mondo" non è solo una mostra: è un varco. Un invito a rallentare, a sentire davvero, a trovare bellezza anche nell’ombra. A stare con le cose, non sopra. A riscoprire che la delicatezza – oggi più che mai – è una forza radicale.

"Sensibile al mondo" è una bipersonale, una forma espositiva che ho sperimentato alternando grandi collettive a bipersonali nelle mostre che ho curato in questo spazio dal 2022 al 2025. Per rispondere a come ho costruito il percorso espositivo devo raccontarti come lavoro. Potrei dire che allestisco, ma sarebbe come dire che una finestra si limita a lasciar passare la luce. Io guardo, prima di tutto. Guardo cosa succede intorno, cosa succede dentro. Sono una persona collezionista di allestimenti osservati, non solo creati. E un amante dei collegamenti. Ho uno studio a Bologna con cui facciamo anche set up per vetrine di grandi marchi della moda, vere e proprie sculture di tessuto o di carta. Allo stesso modo, per ogni mostra progetto spazi (ed esperienze!) che per me devono parlare anche quando il silenzio è d’obbligo. Collaboro facendo ricerca per tutti i fornitori , ma soprattutto con persone. Lucia Principe, ad esempio, di Quadricroma , è la persona con cui condivido ogni scelta materica come fosse una scelta di respiro. Lucia è il vero genio del set up e firma con me gli allestimenti (facciamo mostre insieme da dodici anni) ma è anche il mio doppio gusto, la mia gemella visiva. Insieme, ore intere a vedere, toccare i materiali, immaginare. Quest’anno però ho accettato una sfida diversa: allestire in partnership con Logos Edizioni, che ha una cura quasi liturgica per le proprie opere editoriali e gestisce tutti gli originali dei propri artisti, come un gallerista. Questo ha significato per me adottare anche soluzioni che in altri contesti non sceglierei, come l’uso del passe-partout ad esempio (che tendo a evitare, ma che per gli originali a olio su carta di Roger Olmos è una scelta necessaria, per proteggerli dal contatto con il vetro). L’allestimento della mostra di quest’anno quindi ha un’allure più classica e tradizionale. La scelta artistica a monte è nata da un dialogo con l’assessora Simona Malfatti (Ufficio cultura Comune di Cles, il mio committente), che mi aveva indicato il filone dell’illustrazione “gotica”, alla Benjamin Lacombe per intenderci, come direzione poetica da esplorare per Lettori in fiore 2025. Ho scelto Roger Olmos, con cui avevo già lavorato nel 2014 a Bologna per Senza parole, il suo capolavoro antispecista che ha ancora oggi un’urgenza scomoda e potente. A lui ho affiancato Anna Paolini, che è stata una bellissima scoperta (a livello di conoscenza umana, grazie, Anna!), che ci stava come un’eco precisa, un abbinamento perfetto all’interno del catalogo #logosedizioni. Poi ho desiderato la presenza a parete di Issa Watanabe con i suoi silent Migranti e Kintsugi in forma di fine art (gli originali sono in Perù), in una scelta di movimento opposto: non portare le opere, ma far emergere la potenza dei libri stessi, dei temi che propongono, delle possibilità di lettura e dibattito collettivo, soprattutto per le insegnanti in classe. In ogni mostra cerco di garantire che i libri siano sfogliabili. Toccabili anche dalle persone più piccole. Leggibili. Disponibili poi nel bookshop di Palazzo Assessorile quest’anno curato da Libreria Utopia . I cataloghi, le grafiche, tutto il dispositivo visivo è pensato insieme a persone con cui ho un linguaggio condiviso, come Angelica Stimpfl, con cui quest’anno ho anche curato un catalogo che raccoglie 4 anni di mostre di illustrazione per Palazzo Assessorile e il festival Lettori in fiore. Per attivare corrispondenze con altre realtà sul territorio di cui ho molta ammirazione, ho inserito in una posizione che è al tempo stesso epilogo e inizio del percorso espositivo, la grafica di un poster che il collettivo noneso Giustine Wemp ha creato nel 2022 all’interno di AttivArt, un progetto che attraverso l’arte pubblica, la convivialità, la condivisione di saperi e il confronto con attivist* su scale locale e globale apre spazi di dialogo e di azione sui temi dell’ecofemminismo e sulle problematiche legate alla monocoltura in Val di Non. Giustine Wemp è un collettivo femminista che utilizza la tessitura di reti di collaborazione e la fusione di diversi linguaggi come principali strumenti per creare luoghi e momenti per affrontare le questioni di genere e ambientali nelle Valli del Noce. Infine, l’opera di MAI+, è in una sala al secondo piano, che è il cuore affrescato del palazzo. Forse il più bello. Ma questo lo deciderete voi, visitando la mostra!

Raccontami meglio di MAI+...di che si tratta?
Parto dalla fine: mi fa molto felice dichiarare che MAI+ per me è un gesto di ascolto radicale, un laboratorio di cittadinanza poetica. E a Cles, ora, un luogo nel paese che risuona di nuove storie. MAI+ è un progetto ideato da F. De Isabella e Raffaele Tori, già sperimentato a Bologna (2023) e Milano (2024) che ho scelto di portare a Cles, come proposta per quest’anno. Tratto distintivo della mia curatela nelle mostre di illustrazione è includere sempre un’esperienza che non riduca la visita a un semplice sguardo passivo e che magari esca anche dalle sale di Palazzo Assessorile per poter essere incontrata incidentalmente nel paese. Per me le mostre temporanee che si limitano a proporre esclusivamente uno sguardo frontale sulle opere originali sono in un certo senso morte. Lo dico senza arroganza e con la consapevolezza che si tratta di una mera opinione personale, ma è una convinzione che mi porto dietro da tempo, da persona che ha avuto la fortuna di guardare, anzi, partecipare a, moltissime mostre e allestimenti. Se ho la possibilità – e il privilegio – di avere l’attenzione di un pubblico che guarda o ascolta sento che è doveroso restituire qualcosa che vada oltre l’oggetto e funzioni in una relazione orizzontale e circolare. Mi interessa che ci sia sempre un elemento esperienziale qualcosa che si possa abitare o attraversare con il corpo non solo con lo sguardo. O almeno un manifesto, uno statement, un segno di posizionamento politico chiaro dichiarato: un gesto di responsabilità. O ancora un atto performativo, qualcosa che si compia in un momento in presenza, nell’imperfezione della relazione. Diverso è il caso dei musei permanenti che considero archivi viventi, luoghi preziosi che sarebbe importante sostenere che chiunque possa attraversare almeno una volta nella vita. Per questo in ogni mostra che curo cerco che non manchi almeno uno di questi tre elementi. Sono i miei punti cardinali, le mie condizioni di esistenza dentro questo lavoro. Dopo questa doverosa digressione utile per capire cosa ci fa un lavoro di questo tipo all’interno della mostra, torno su MAI+ che è (appunto) un laboratorio, un’esperienza partecipata, che si propone di trasformare lo spazio pubblico in un luogo di ascolto e narrazione condivisa. A gennaio, per cinque giorni, artisti e adolescenti hanno camminato insieme per le strade di Cles, esplorando luoghi significativi e condividendo storie personali. Non si trattava di "fare arte", ma di lasciarsi attraversare dal paesaggio emotivo di chi vive il paese ogni giorno. Questo processo ha dato vita a un'opera che si è materializzata in tre forme: una narrazione all‘interno di Palazzo Assessorile, una cartolina da spedire (che si può prendere durante la visita alla mostra) e un luogo indicato da una targhetta con didascalia, oggetto riconoscibile come impianto di comunicazione museale, permanente (speriamo!), nel paese. Come diceva Bruno Munari (uno dei miei riferimenti nella mia attitudine alla progettualità) "l‘arte è un modo per conoscere il mondo", e MAI+ incarna questa filosofia, trasformando l‘arte in un‘esperienza collettiva e partecipativa. MAI+ a Cles ancora più che nelle grandi città ha portato la riflessione artistica fuori dalle stanze e dentro il tessuto urbano coinvolgendo persone adolescenti in un libero processo partecipato. Paul Preciado direbbe che tutto questo è un’azione di disobbedienza epistemologica, un gesto che rompe l’idea di arte come oggetto statico e la evolve in un’esperienza incarnata condivisa, che non può essere semplicemente osservata ma va vissuta. Esattamente, quello che vorrei non mancasse mai.


Mi parli del lavoro di Anna Paolini sulle figure femminili che hanno segnato la storia?
Anna Paolini, è in mostra con la serie “Indomite” per la collana #ILLUSTRATI di #logosedizioni, una sequenza di libri meravigliosamente efficaci anche dal punto di vista tipografico —personalmente amo immensamente la scelta di non avere alcun lettering in copertina!— in cui invita a riscoprire storie di donne che hanno sfidato le convenzioni e tracciato nuovi percorsi. Queste illustrazioni sono ritratti che celebrano la forza, la fragilità e la determinazione di figure femminili notevoli spesso dimenticate. È un lavoro che risuona con le parole di Audre Lorde: "Non sono libera finché ogni donna non è libera”: attraverso il suo tratto, la Paolini restituisce libertà e visibilità a queste storie, offrendo modelli di coraggio e autenticità. Cinque al momento le pubblicazioni di questa serie, che traccia i ritratti di Maria Sibylla Merian, naturalista e illustratrice tedesca del XVII secolo, famosa per le sue dettagliate rappresentazioni di insetti e piante. Il suo lavoro ha contribuito significativamente alla comprensione della metamorfosi degli insetti e ha sfidato le convenzioni scientifiche del suo tempo; Giovanna Garzoni, miniaturista e pittrice italiana del XVII secolo, nota per le sue nature morte e per l‘uso raffinato del colore, nonché per la sua scelta di voto di castità che la portò a separarsi dal marito (nel 1624!) per consacrarsi all’arte. A Firenze lavorò per i Medici e realizzò l’erbario figurato che la rende nota oggi come illustratrice scientifica; Artemisia Gentileschi, pittrice barocca italiana, considerata una delle prime artiste donne a ottenere riconoscimento nel mondo dell’arte pittorica. La sua opera è caratterizzata da una forte espressività e da tematiche femminili, ispirate per lo più alla sua esperienza personale di sopravvivenza (alla violenza di genere) e resilienza; Santa Caterina de’ Vigri, religiosa e mistica italiana del XV secolo, fondatrice del monastero delle clarisse del Corpus Domini di Bologna, alla sua morte il suo corpo si è mummificato in un processo armonico e naturale; Henrietta Swan Leavitt, astronoma americana inizio XIX secolo, calcolò la relazione tra la luminosità e il periodo delle Cefeidi, stelle variabili, una scoperta fondamentale per la misurazione delle distanze cosmiche; il suo lavoro però è stato riconosciuto postumo, fatto che evidenzia le sfide affrontate dalle donne in ambito scientifico, tema ancora terribilmente molto attuale. In un’epoca (la nostra) in cui le narrazioni femminili (per non parlare di altre soggettività) sono ancora spesso marginalizzate, la serie delle "Indomite" emerge come un rituale di riscrittura dirompente. Anna Paolini non si limita a illustrare, evoca, invoca, provoca, con un tratto che quasi sempre immerge le sue figure femminili in paesaggi fluidi e vegetali, dove fiori e piante non decorano, ma risuonano, suggerendo una connessione intima con cicli, trasformazioni, e possibilità di fioritura non lineare. Queste illustrazioni non sono solo da guardare e queste storie non sono solo da leggere, sono da vivere, da sentire sulla pelle. Sono un promemoria che l‘indomita è dentro ad ogni persona, pronta a emergere quando meno ce lo aspettiamo.