Storie di connessioni empatiche
Intelligenze Emotive: la nuova Mostra alla Galleria Civica di Trento

© Edoardo Meneghini
© Edoardo Meneghini
Abbiamo a lungo creduto che l’intelligenza fosse una sola, misurabile, calcolabile, traducibile in numeri e formule. Poi è arrivato Howard Gardner a frantumare questa certezza con la sua teoria delle intelligenze multiple e Daniel Goleman ha acceso una luce su quella dimensione spesso trascurata: l’intelligenza emotiva. Non basta sapere, non basta dedurre. Comprendere le proprie emozioni e quelle dell’Altro, riconoscere le sfumature di uno sguardo, la verità nascosta dietro un silenzio, è una forma di conoscenza tanto potente quanto quella logico-matematica. È questo quanto emerge dal suo libro Emotional Intelligence, pubblicato nel 1995. Il concetto di intelligenza emotiva era stato inizialmente introdotto da Salovey e Mayer, che la descrissero come la capacità di osservare, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui, utilizzandole per orientare pensieri e comportamenti. Goleman ne ha poi ampliato la portata, mettendo in luce il ruolo cruciale che questa forma di intelligenza svolge nella vita quotidiana, influenzando sia le relazioni personali che il successo professionale. È da queste riflessioni che prende vita la mostra “Intelligenze emotive. Storie di connessioni empatiche” alla Galleria Civica di Trento che sarà visitabile fino al 4 maggio. Curata da Lisa Maturi, Ginevra Perruggini e Giuseppe Scalia (Università di Trento – Officina Espositiva), con Swami Agosta, l’esposizione nasce in collaborazione con i dipartimenti di Lettere e Filosofia e di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, e con il Comune di Trento – Servizio Cultura, Turismo e Politiche giovanili. Il coordinamento scientifico è affidato a Gabriele Lorenzoni e Denis Viva.
L’Università di Trento ha attivato negli ultimi anni la laurea magistrale in Storia dell’arte e Studi museali, che ha attratto giovani desiderosi di misurarsi con la pratica curatoriale e il mondo delle mostre. Da qui è nato Officina espositiva, un progetto che intreccia workshop con artisti ed esperti, offrendo a studenti e studentesse la possibilità di collaborare concretamente alla progettazione di esposizioni, in dialogo con le istituzioni culturali del territorio.

Parallelamente, la Galleria Civica di Trento ha avviato un percorso di ricerca dedicato a temi civili e culturali, affrontando tematiche che interpellano la società contemporanea, come nel caso del progetto “Allegoria della felicità pubblica”. È nel momento in cui questi due cammini si sono incrociati — proprio mentre Officina stava riflettendo sull’intelligenza artificiale, uno dei temi più sentiti dalle nuove generazioni — che è nata l’idea di rivolgere lo sguardo verso un’altra intelligenza: quella emotiva. In una società che privilegia il controllo razionale, l’arte contemporanea si è rivelata lo spazio ideale per esplorare quella dimensione spesso trascurata, ma fondamentale, dell’emozione.
L’esposizione si configura così come un laboratorio curatoriale e una riflessione aperta sulla capacità di sentire e comprendere sé stessi e gli altri. Sul piano metodologico, il progetto intende rilanciare lo spirito originario della Galleria Civica come Centro di Ricerca sui Linguaggi del Contemporaneo, promuovendo una rete di scambi e sinergie con l’Università. Non è solo un esercizio teorico: gli studenti e le studentesse sono qui protagonisti attivi, curatori e curatrici che trasformano idee in spazi concreti, in opere da osservare, toccare con lo sguardo, attraversare.

Il percorso espositivo si articola in tre sezioni tematiche: autoconsapevolezza emotiva, linguaggio non verbale e connessione con gli altri. Attraverso una selezione di opere d’arte dagli anni Novanta, molte delle quali provenienti dalle Collezioni del Mart, la mostra intreccia letture trasversali e connessioni inattese. A queste si affiancano interventi site-specific di giovani artisti e artiste, oltre a prestiti da gallerie del territorio, con l’intento di tessere una rete culturale e sociale viva nella città di Trento.
Tra gli artisti in mostra figurano Carlo Benvenuto, Silvia Camporesi, Silvia Giambrone, Alex Katz, insieme a presenze radicate nel territorio come Giulio Boccardi e Angelo Demitri Morandini. Scopriamo insieme alcuni lavori!
Nella sezione dedicata al linguaggio non verbale, l’opera di Thomas Ruff propone una riflessione sull’identità attraverso l’utilizzo del formato della fototessera: ritratti frontali, in piena luce e a mezzobusto, in cui l’assenza di espressività genera un cortocircuito visivo e concettuale. All’interno dello stesso nucleo tematico si colloca il lavoro di Michele Tajariol, esito di una performance in cui una donna applica sul proprio volto ritagli di immagini altrui. L’artista, privo di controllo sul risultato finale, documenta fotograficamente la scena, offrendo una riflessione sulla costruzione del sé come esito di stratificazioni eterogenee, emotive e relazionali.

A suggerire ulteriori prospettive sul dialogo e sull’alterità è anche il video di Rä di Martino, in cui si fronteggiano due figure distanti: una bambina e un uomo adulto. Il ribaltamento iniziale della bambina – prima intuito e poi rivelato nel campo largo – acuisce la distanza tra i due, mentre lo sguardo fisso in camera di entrambi interpella direttamente chi osserva, trascinandolo dentro una triangolazione relazionale in cui la comunicazione sembra impossibile. L’uso del bianco e nero dona all’intera scena una qualità sospesa, quasi onirica, come fosse il ricordo sfocato di un momento condiviso.
Nel nucleo dedicato all’autoconsapevolezza, emerge il lavoro di Ottonella Mocellin, che raccoglie testimonianze anonime su eventi traumatici e le rielabora, affiancando al testo una sua fotografia in cui si immedesima nella narrazione altrui. Un’operazione empatica che scardina il confine tra autobiografia e biografia, e invita alla pratica del riconoscimento emotivo. In dialogo con quest’opera si colloca anche il progetto di Giulia Iacolutti, che indaga l’amore nella sua dimensione neurochimica, esplorando in particolare il ruolo della dopamina e le sue implicazioni sensibili.
Nella sezione dedicata alla connessione con l’altro, l’installazione Bar Italia di Giusi Campisi – realizzata con il collettivo GAP – unisce luce e suono per restituire il vissuto di un venditore di rose bengalese a Trento. Le registrazioni dei suoi dialoghi nei bar diventano documento sonoro delle dinamiche quotidiane di potere e di subordinazione, offrendo una riflessione acuta su lavoro, linguaggio e relazioni interculturali. L’opera svela, attraverso il racconto minimo di una notte di lavoro, le asimmetrie che strutturano lo spazio urbano e sociale.

Troviamo anche un atlante sentimentale di Arnold Mario Dall’O, realizzato durante la pandemia. Partendo da una constatazione oggettiva – l’atlante come rappresentazione del mondo ordinata ma disumanizzata – l’artista restituisce centralità alle persone e alle storie che abitano quei luoghi, creando per ciascuna una narrazione e una stampa. Il risultato è un universo portatile e immaginifico, in cui il viaggio diventa esercizio di immaginazione e riconoscimento dell’altro. Come un moderno Salgari, Dall’O reinventa il mondo, attribuendogli nuove coordinate affettive e narrative.
Un invito a rallentare lo sguardo, ad ascoltare le voci che abitano le immagini, e a lasciarsi attraversare dalle storie: la mostra vi attende sotto la superficie, là dove comincia il vero incontro.