Gio Ponti e gli altri “etruschi del Novecento”

Intervista alla storica dell’arte Lucia Mannini, membro del team curatoriale del progetto espositivo “Etruschi del Novecento”, in mostra al Mart di Rovereto fino al 16 marzo 2025

23.01.2025

Veduta della mostra "Etruschi del Novecento", © Mart

Era il 1916 quando il sensazionale ritrovamento archeologico dell’Apollo di Veio, con il suo sorriso enigmatico, inaugurò un secolo di rinnovato interesse per la civiltà etrusca della quale fecero tesoro tutte le arti, ispirandosi allo stile arcaico di quel popolo per rimodellare linguaggi e forme e rinnovare il dialogo e il confronto con il passato. Questa riscoperta segnò di pari passo un allontanamento dai canoni estetici della cultura greco-romana, fino ad allora privilegiata nel culto dell’antico e del passato, a favore di un’estetica nuova, più espressiva e sintetica, anti-classica e al tempo stesso, primitiva e “moderna” . 

Ma fin dove è arrivato l’influsso degli Etruschi sulle discipline artistiche e della creatività? Fino al secolo scorso o anche oltre? Si possono coglierne gli echi anche oggi? E chi sono gli artisti che si sono ispirati a questa antichissima civiltà?

La mostra “Etruschi del Novecento” curata da due importanti istituzioni, il Mart di Rovereto e la Fondazione Rovati di Milano porta alla ribalta questi temi (e naturalmente molti altri ancora) presentando al pubblico un ampio progetto espositivo su due città e sedi, con più di duecento opere di artisti moderni e contemporanei, in dialogo con una selezione di pregevoli reperti archeologici dell’arte etrusca e con il corredo di ulteriori materiali di approfondimento, dalle pubblicazioni, ai documenti, alle riproduzioni fotografiche. Il progetto espositivo curato dalle storiche dell’arte Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Alessandra Tiddia e dall’etruscologo Giulio Paolucci è attualmente in mostra al Mart di Rovereto, fino al 16 marzo e poi proseguirà a Milano, alla Fondazione Luigi Rovati, dal 2 aprile al 3 agosto 2025. 

Veduta della mostra "Etruschi del Novecento", © Mart

Visitando “Etruschi del Novecento” presso il Mart, non sarà difficile lasciarsi ammaliare da questa antica civiltà, ammantata da un’aura di mistero, mentre ci si inoltra nelle sale del museo alla scoperta di una serie di meraviglie etrusche e altrettanto notevoli opere moderne di artisti italiani e stranieri, del calibro di Pablo Picasso, Arturo Martini, Marino Marini, Alberto Giacometti, Massimo Campigli, Michelangelo Pistoletto, Gino Severini e Mario Schifano, provenienti da importanti sedi museali italiane e internazionali: manufatti venuti alla luce in epoche distanti, ma in cui non sarà difficile coglierne i reciproci richiami sia dal punto della realizzazione, che a livello iconografico, quasi fossero espressione di un unicum suggestivo e (a)temporale. 

L’allestimento al Mart ripercorre di sala in sala la fortuna e l’impatto della cultura etrusca su personalità differenti del secolo breve, come intellettuali, letterati, artisti, designer, stilisti, orafi. Si è parlato addirittura di “etruscomania”, tanto era vivo nel Novecento e a più riprese, il dibattito culturale italiano intorno a questo antico popolo, anche a seguito di due grandi mostre ad esso dedicate nel 1955 e 1985 che ne hanno amplificato gli echi a livello internazionale. Nell’esposizione si vedrà quindi come l’arte visiva si pone in dialogo con le arti applicate e grafiche: dalla pittura all’arte orafa, passando per la statuaria, mentre si evidenzieranno nelle opere dei moderni quegli aspetti, in termini di forme, tecniche e materiali che via via sono stati ripresi e poi sviluppati su diretta ispirazione dell’arte etrusca. Tra questi: la terracotta dipinta, i metalli, la pittura parietale e vascolare e il bucchero - la tradizionale ceramica nera utilizzata dagli Etruschi per la produzione di vasi.

Ho avuto il piacere di rivolgere alcune domande a una delle curatrici del team di progetto: Lucia Mannini, storica dell'arte e curatrice, specializzata in storia delle arti applicate e arte del Novecento. Mi sembrava interessante proporle anche un breve focus sulle opere presenti in mostra del grande designer Gio Ponti (1891-1979), che ha trovato particolare ispirazione nelle ciste (recipienti di forma cilindrica, dotati di coperchio) e negli askos etruschi (piccoli vasi a due bocche per l’ olio, dalle forme antropomorfe o zoomorfe), per creare bellissime ceramiche e oggetti che fondevano funzionalità e bellezza, stile arcaico e modernità.

Veduta della mostra "Etruschi del Novecento", © Mart
About the authorMaria QuinzDentro di me è piuttosto affollato. C'è quella che scrive, traduce e adora leggere, ritagliandosi attimi di quiete e [...] More
La mostra "Etruschi del Novecento" segue la scia di una lunga fascinazione per l'arte di questo antico popolo attraverso i secoli, in Italia e all'estero, da parte di artisti, intellettuali, esponenti della creatività, studiosi ecc. Dove nasce tale fascinazione? E dove risiederebbe quindi anche la "modernità" di una cultura visiva così lontana (apparentemente) come quella etrusca?
Molti artisti hanno inteso la "modernità" come la capacità di interpretare il presente anche attraverso la riflessione sul passato, e questo non solo nel Novecento. Per il Novecento basterà citare due nomi tra tutti, Picasso e Gio Ponti, unanimemente riconosciuti alfieri del moderno e conoscitori del mondo antico, non solo di quello etrusco. A guidare gli artisti verso "quale" passato indagare di volta in volta è stato spesso il fascino della scoperta, cioè la possibilità di studiare epoche o contesti che, anche per via delle oscillazioni del gusto, erano poco frequentati, ancora parzialmente "sepolti". A innescare tali riscoperte, tali "disseppellimenti" culturali, potevano essere intervenuti fatti storici rilevanti, la cui eco si ampliava magari grazie al ruolo della critica e del collezionismo. Per questo abbiamo pensato di dare avvio al percorso della mostra con un allestimento che rievochi il peregrinare degli artisti nei luoghi degli etruschi e gli eventi che maggiormente avevano sollecitato l'attenzione nei loro confronti: la sensazionale scoperta del gruppo fittile di Veio nel 1916, la mostra itinerante che nel 1955 aveva toccato alcune delle maggiori capitali europee, da Milano a Parigi, e infine il "Progetto Etruschi", una serie di esposizioni e iniziative culturali programmate in Toscana per l'estate del 1985 che aveva contribuito a divulgare ampiamente la conoscenza dell'arte e della civiltà etrusca. 

La mostra è un grande progetto espositivo che abbraccia più discipline artistiche e che ha coinvolto diversi esperti e curatori. Lei di cosa si è occupata personalmente?
Con Anna Mazzanti e Alessandra Tiddia, storiche dell'arte come me, e con Giulio Paolucci, archeologo, abbiamo lavorato in costante sinergia. Si può dire che il dialogo che abbiamo voluto stabilire tra opere del Novecento e opere etrusche rispecchi quello che abbiamo instaurato tra noi. Ciascuno di noi ha messo in campo le proprie competenze. Nello specifico io ho avuto il compito di sottoporre ai miei colleghi le proposte per le arti applicate, ma la selezione delle opere è stata un lungo lavoro condiviso, di scandaglio e di valutazione, che ha coinvolto in certi casi anche altri studiosi.  

(1) Pablo Picasso, Canard pique-fleurs (R102), 1951, Centre national des arts plastiques, en dépôt au Musée national de la Céramique, Sèvres; (2) Alberto Giacometti, Donna che cammina (Femme qui marche), 1936, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York);

Dalla pittura alla scultura, dai gioielli ai vasi, quali sono alcuni dei soggetti, forme e tecniche che hanno ispirato maggiormente gli artisti e intellettuali di epoche successive?
La mostra alterna riflessioni e proposte di confronti sui materiali che già nel Novecento erano ritenuti identitari della cultura artistica etrusca (quali terracotta, bronzo, bucchero) ad altre sulle iconografie (dai recumbenti, cioè le figure semisdraiate che ritraevano i defunti sulle proprie urne funerarie, alla Chimera che, grazie al celebre bronzo scoperto ad Arezzo alla metà del Cinquecento, è stato tema di vasto interesse per gli artisti). Ne emergono atteggiamenti diversi da parte degli artisti, accomunati però dalla necessità di alimentare la propria immaginazione con spunti e stimoli nuovi, ma anche di farsi interpreti del proprio tempo. Le faccio l'esempio della terracotta. L'interesse per la terracotta esplode in particolare negli anni Trenta, trainato da grandi "scopritori" quali Arturo Martini e Marino Marini. La predilezione degli scultori per questo materiale povero, che consentiva di restituire di un volto le imperfezioni anatomiche e persino l'intima fragilità, poteva significare una presa di posizione, estetica ed etica, nei confronti della statuaria monumentale o della ritrattistica ufficiale, tesa all'idealizzazione attraverso la levigatezza del marmo.  

Sono presenti in mostra diverse ceramiche di Gio Ponti. Quali opere vedranno i visitatori e quali influssi dell'antica civiltà etrusca potranno riconoscere nel suo lavoro?
Ho trovato particolarmente interessante constatare che nel momento in cui il giovane Ponti viene coinvolto, di fatto alla sua prima esperienza professionale, nel rilancio della manifattura Richard-Ginori, vada a cercare ispirazioni nelle stampe del Settecento e nei musei archeologici. Per trovare risposta a come rinnovare il repertorio delle ceramiche, e dare loro al contempo un carattere di "italianità", va insomma a interrogare il passato. È il tipo di atteggiamento che adotta, curioso e libero al tempo stesso, che gli consente di tradurre questo passato in qualcosa di nuovo, che gli impedisce di imitarlo. Operazioni analoghe vengono condotte da altri contemporanei, da Guido Andloviz, per esempio, che è a capo della manifattura di ceramiche S.C.I. di Laveno e deve competere con il prestigio che sta guadagnando Ponti, o da Tomaso Buzzi, quando deve inventare nuove forme per i vetri muranesi realizzati nelle fornaci Venini. 

(1) Olla a reticolo, fine VIII-metà VII secolo a.C., Fondazione Luigi Rovati, Milano; (2) Gio Ponti, Società Ceramica Richard-Ginori, Doccia Vaso ortogonale grigio-azzurro, 1923, Museo Ginori, Sesto Fiorentino;

Quale è o sono, secondo lei, tra gli oggetti in mostra di Gio Ponti, l'opera o le opere più interessanti ed iconiche dell'architetto italiano e perché?
La più iconica è certamente la cista. La cista etrusca era un contenitore in bronzo di forma cilindrica utilizzato per riporre gioielli o prodotti di cosmesi. Le più preziose erano decorate con figurazioni incise ed avevano un coperchio con manico scultoreo. Ponti prende in prestito dagli etruschi la forma della cista, con le sue parti scultoree, per farne un oggetto in ceramica; si diverte poi a decorare la superficie della ceramica con motivi tratti da fonti iconografiche di provenienze del tutto diverse. Questo gioco di contaminazioni, condito con un tocco di ironia, avrà grande successo – le ciste erano tra le opere che gli fecero meritare un importante riconoscimento all'esposizione di Parigi del 1925 – e si ritrova in molte delle sue creazioni per Richard-Ginori. 

(1) Gio Ponti, Società Ceramica Richard-Ginori, Doccia, Cista Triumphus Mortis e Triumphus Amoris, 1930 c., Museo Ginori, Sesto Fiorentino; (2) Gio Ponti, Società Ceramica Richard-Ginori, Doccia, Mano con fiori in rilievo, 1935 c., Museo Ginori, Sesto Fiorentino;

A suo avviso quali sono gli aspetti più sorprendenti di questo grande progetto espositivo?
Studi sulla riscoperta dell'arte etrusca da parte degli artisti del Novecento ne sono stati pubblicati molti dagli Ottanta fino ad oggi. Alcune mostre hanno poi approfondito l'interesse specifico di alcuni autori più notoriamente "etruschi" (come Marino Marini o Massimo Campigli). La sfida che abbiamo lanciato con questa mostra è stata quella di testare, e quindi di sottoporre al vaglio dei visitatori, i confronti diretti sia tra opere etrusche e opere del Novecento, sia tra gli autori del Novecento, per far emerge analogie e differenze tra le voci e sensibilità. 

I confronti diretti funzionano! In alcuni casi, vedere per la prima volta, durante l'allestimento, la forza assunta da certe opere affiancate ad altre, ha sorpreso persino noi. 

E poi ci sono dei capolavori assoluti. Uno dei privilegi di lavorare per un'istituzione come il Mart è la possibilità di ottenere prestiti così importanti da musei nazionali e internazionali. 

 

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