L’Essenza della Natura nell’Arte di Thomas De Falco

© Erjola Zhuka

Ci sono fili invisibili che ci attraversano, legandoci l’uno all’altro e alla terra che ci ospita. Fili fatti di memorie sussurrate, di sensazioni mai confessate, di storie che sembrano non avere voce. Eppure, quei legami sono ovunque. Legami che non vediamo, ma che sentiamo, che ci attraversano e definiscono la nostra esistenza. In un mondo sempre più frenetico e disconnesso, questi fili sembrano spesso sfuggire alla nostra percezione.

È in questo spazio di sospensione tra visibile e invisibile che si rivela la mostra GOLD – While all Flow’rs and all Trees do close To weave the Garlands of repose, un’esperienza immersiva e sensoriale che ci invita ad ascoltare il respiro silenzioso della natura e a riflettere sul nostro posto in essa tra le opere di Thomas De Falco. Curata da Elsa Barbieri e visitabile fino al 9 marzo 2025, la mostra trasforma il Museo d’Arte Contemporanea di Cavalese in un luogo dove la materia si fa poesia, e dove l’oro, simbolo di ricchezza e bellezza, rivela un significato ben più profondo.

Il titolo scelto è difatti un invito a rallentare, a immergersi in un mondo dove l’oro non è più simbolo di ricchezza, ma filo conduttore verso la profondità della vita. Ogni scultura, ogni arazzo di De Falco è un canto antico, un racconto fatto di gesti ripetuti e materie vive: lana, seta, cotone, canapa. I fili si avvolgono come radici di alberi che si intrecciano nel terreno, creando un dialogo fra ciò che è naturale e ciò che è umano, fra ciò che è fragile e ciò che è eterno.

© Erjola Zhuka

La natura non è una musa distante, ma un corpo vivo e pulsante, che accoglie e si lascia accogliere. Cavalese, con la sua storia e i suoi paesaggi, è parte integrante di questo racconto: le foreste che circondano il museo sembrano specchiarsi nelle opere, come se i rami e le radici avessero trovato una nuova forma di esistenza.

E poi c’è il tema della madre, della Madre Natura. Le cuciture a vista delle sculture, che De Falco chiama ferite, parlano di sofferenze generative, di quella capacità femminile di creare e trasformare, anche dal dolore. È un omaggio al femminile inteso come forza primordiale, come matrice del mondo.

© Erjola Zhuka

Entrare nella mostra è come attraversare una foresta simbolica, un luogo senza tempo dove ogni fibra racconta un legame, ogni nodo un’intuizione. È un invito a riflettere sul rapporto con la natura, sul nostro essere parte di un tutto più grande e più antico.

Con le domande a Thomas De Falco, ci avventuriamo oltre la superficie delle sue opere, per scoprire i pensieri, le ispirazioni e i gesti che le animano. Una conversazione per lasciarci avvolgere, come fili di un tessuto, in un canto di bellezza e memoria.

La natura sembra essere al centro del tuo lavoro. Cosa ti affascina di più del dialogo tra natura e arte, e come cerchi di renderlo visibile nelle tue opere?
La natura mi affascina per la sua continua evoluzione e per l’energia inesauribile che la pervade. Nei miei arazzi e nelle sculture tessili, spesso integro elementi naturali come foglie cucite o rami intrecciati, creando un dialogo diretto tra il tessuto e il mondo organico. La mia ricerca artistica si ispira profondamente allo studio delle radici degli alberi, simboli di connessione, forza e vita. Gli elementi biologici che inglobo, come radici e frammenti di corteccia, diventano metafore tangibili della vitalità e del legame indissolubile tra l’essere umano e la natura.

 Il gesto del wrapping è rapido e intuitivo, quasi ossessivo. Come nasce questo movimento e che ruolo ha nel tuo processo creativo?
Il wrapping, nella mia pratica, nasce come un gesto di connessione: unisce i corpi dei performer alla scultura tessile, creando un legame fisico ed emotivo. Mi ispiro alla poesia e alla letteratura per dare forma a queste ramificazioni del corpo, che intrecciano simbolicamente 'tutto' e 'tutti'. Attraverso questa tecnica, cerco di raccontare non solo l’armonia e l’interdipendenza, ma anche di mettere in evidenza i disagi sociali del nostro tempo, trasformandoli in un dialogo visivo e poetico

© Erjola Zhuka

Hai soggiornato a Cavalese per lasciarti ispirare dalla sua natura. Come ha influenzato questo territorio il tuo approccio alle opere presentate in questa mostra?
Non ho realizzato qui a Cavalese le sculture tessili e gli arazzi, ma percepisco questo luogo come profondamente mistico e incantato, quasi come entrare in un sogno, in una terza dimensione che si fonde intimamente con la natura. È un’esperienza che richiama l’idea di una metamorfosi, una trasformazione tra corpo e natura, simile a quella narrata da Franz Kafka ne La metamorfosi. In quel racconto, la metamorfosi è spesso interpretata come un’allegoria dell’alienazione dell’uomo moderno all’interno della famiglia e della società, un processo che conduce all’isolamento del 'diverso' e all’incomunicabilità con gli altri. Passeggiare tra le montagne di Cavalese, però, non è alienazione: è un viaggio interiore, un dialogo silenzioso con se stessi, reso possibile dall’abbraccio e dalla quiete della natura.

Il titolo della mostra, “Gold,” sembra legare il tuo lavoro a una dimensione simbolica che va oltre l’opulenza. Cosa rappresenta per te l’oro e come dialoga con i materiali organici che utilizzi?
La mostra Gold nasce per esplorare le contraddizioni della vita, riflettendo su quanto il falso possa essere vero, e il vero, falso. Il titolo, accompagnato da un verso di Andrew Marvell, diventa uno stratagemma per esprimere il cuore della mia ricerca artistica. L’oro, con le sue immediate associazioni alla bellezza, alla ricchezza e all’opulenza, si trasforma in un ponte simbolico verso un dialogo più profondo con la natura. Nelle mie opere, l’oro non è mai ostentazione: è un linguaggio, un filo conduttore che conduce verso radici, alberi, foglie, semi e bulbi. Elementi vivi che si intrecciano con le sculture tessili e gli arazzi, realizzati attraverso un approccio non convenzionale al telaio verticale. Dove la tradizione impone rigore e precisione, io scelgo la libertà: mescolo lana, seta, cotone e canapa, dando vita a tessiture organiche che sfuggono alla rigidità.



© Erjola Zhuka

Il tema della Madre, intesa come Madre Natura, è centrale nella mostra. Come si intreccia questa figura con il tuo modo di raccontare sofferenza e rigenerazione attraverso le tue opere?
Per me, Madre Natura è il pianeta che ci ospita, il cuore pulsante della nostra esistenza. Attraverso il mio lavoro, cerco di mettere in luce i disagi sociali che viviamo oggi, rappresentando un mondo che si intreccia con tutte le etnie, in un dialogo universale. La figura della madre, che simboleggia il cambiamento e il movimento incessante del mondo, diventa un’immagine centrale: una madre che evolve, cammina e porta con sé la forza e la fragilità della nostra umanità

About the authorStefania Santoni Sono nata nel cuore di una fredda notte di gennaio, tra il bagliore della luna piena e il [...] More
Un’ultima domanda. Mi parleresti della performance che si terrà il 7 dicembre, data in cui verrà presentato anche il catalogo della mostra?
La performance WO-MAN è un corpo in continua evoluzione, che si trasforma nel momento stesso in cui prende vita, mutando attraverso il movimento dei performer. Per me, il titolo evoca l’uguaglianza e l’interdipendenza tra uomo e donna, due essenze inseparabili di un’unica umanità. Ho voluto creare un tableau vivant, composto da quattro giovani performer – due di origini africane e due vietnamite – che, insieme, rappresentano l’immagine di un mondo inclusivo, capace di accogliere tutte le etnie. Durante l’azione, interagiscono con le mie sculture tessili, simili a uova. L’uovo è per me un simbolo potente: il ciclo naturale della vita, ma anche la sua vulnerabilità. È da questa vulnerabilità che nasce il battito vitale, che ci accomuna e ci unisce. In questa performance, i corpi umani e le sculture tessili dialogano tra loro per dare forma a un mondo che racconta una verità profonda: siamo tutti vulnerabili, ed è proprio questa consapevolezza a renderci umani. La vulnerabilità non è una debolezza, ma una condizione originaria che ci lega l’uno all’altro. La stanza che ospita la performance, interamente realizzata in legno di cirmolo, aggiunge un ulteriore livello di significato. Il cirmolo, con il suo profumo unico e le sue proprietà straordinarie, è forte e resistente, eppure sa regolare la frequenza cardiaca, quel ritmo nascosto che accompagna la nostra esistenza. Se mettessimo una mano sul polso di Alice, Bien, Doung o Lurdes, sentiremmo quel battito, lo stesso che guida i miei lavori e questa performance. Con WO-MAN, voglio invitare il pubblico a riflettere su ciò che ci unisce al di là delle differenze: la nostra vulnerabilità e la nostra capacità di trasformarla in forza, creando un dialogo tra corpi, materiali e natura, in cui la vita trova il suo ritmo universale.

 

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