Raccontare l’etica delle vette

Fotografare le Alpi #7. Intervista ad Agostino Giorgio Chiarucci

Raccontare l’etica delle vette

Agostino Giorgio Chiarucci

Fotografo, ciclista, arrampicatore, sciatore: Agostino Giorgio Chiarucci, 23enne nato a Pavia e milanese di adozione, fonde la passione per lo sport con il suo recente vissuto artistico seguendo il fascino irresistibile della "vecchia" foto stampata da negativo. "Ho finito solo lo scorso aprile lo IED, dove ho studiato fotografia, ma già dal terzo anno lavoravo come freelance, scattando principalmente in montagna - racconta -. In realtà, tutto è iniziato al liceo artistico con una piccola compatta a pellicola, perché prima di dedicarmi all’arrampicata facevo molta BMX freestyle: mi piaceva conservare gli scatti-ricordo dei viaggi per le gare in bici, senza pretese artistiche. Poi un mio professore, grande appassionato di fotografia, mi ha fatto provare le sue reflex medio formato e da lì ho iniziato a interessarmi alla tecnica e alla storia della fotografia".

Scattare, rigorosamente in analogico, diventa un chiodo fisso. "Partire con la pellicola è inusuale per la mia generazione, perché il risultato non è modificabile come un file digitale. Oggi, per i lavori commerciali, è più semplice affidarsi alla tecnologia; ma per me continuo a stampare e a sviluppare in camera oscura, in un laboratorio di Porta Romana che noleggio a giornata. C’è tutto: ingranditore, sala sviluppo, attrezzature per provinare, acidi...". Con una carriera precocemente decollata, Chiarucci ha da poco trascorso un mese in Perù per curare shooting per Scarpa, Alba Optics e Wanderlust Vision, ma il cuore resta ancorato al monumentale progetto fotografico "A Dream of White Horses" dedicato alle Alpi, che l'artista ha appena concluso - "sto ancora cercando un editore" - e che lo ha assorbito negli ultimi tre anni.

Agostino Giorgio Chiarucci

Agostino, come nasce questo progetto fotografico?

Tre anni fa, d'estate, ero a Manchester per migliorare l’inglese. Avevo portato con me la macchina fotografica e le attrezzature per arrampicare e mi sono avvicinato alla “scalata inglese”. Il progetto racconta le differenze non solo geologiche e paesaggistiche tra Inghilterra e Italia, ma soprattutto etiche. Da noi governa la foga di arrivare in vetta con ogni mezzo, piantando chiodi, bucando pareti, utilizzando staffe e scale: un’arrampicata artificiale. In Inghilterra, invece, fin dall’inizio si è cercato di preservare le pareti utilizzando solo protezioni veloci, come i friend, senza lasciare traccia. Un approccio radicale. Nei posti che amo in Italia c'è ancora questa visione: i chiodi si trovano solo dove la roccia è improteggibile. Così, ho voluto esplorare le differenti etiche di arrampicata sull'arco alpino rispetto al Regno Unito.

Agostino Giorgio Chiarucci

Come si declina il tuo progetto alpino?

È composto da due libri molto corposi, quasi antologici. Ho preso ispirazione dalle vecchie guide di arrampicata, faldoni pieni di immagini e pagine. Il primo libro raccoglie gli scatti fatti in Inghilterra; l’altro in Italia, in luoghi storici come le Dolomiti e il Monte Bianco. Ho lavorato per tre anni, utilizzando sia pellicola, 35 mm e medio formato, sia digitale. Ho anche incluso scansioni e immagini di archivio trovate in vecchie guide e libri. Sono volumi da sfogliare lentamente, li ho pensati per essere scoperti a tappe. Ho stampato solo una copia per me e ho contatti con editori interessati a Venezia e Milano.

Quali sono le due immagini più estreme che lo racchiudono?

Una l'ho scattata su una scogliera in Galles raggiungibile solo calandosi dall'alto, la mia prima via trad climbing in assoluto. Ritrae un amico inglese che si cala lungo lo strapiombo a picco sul mare ed è una foto molto scenica. L’altra è agli antipodi: l’ho scattata su una parete nord del Monte Bianco. Si vede una distesa di ghiaccio e, dal ghiacciaio Mere de Glace, emerge la linea di salita senza anima viva. Due immagini completamente diverse, ma che racchiudono l’essenza del progetto.

Agostino Giorgio Chiarucci

Cosa rende riconoscibile il tuo stile fotografico?

Racconto la montagna, l'alpinismo e l’arrampicata senza eroismo. Non mi interessa il gesto sportivo in sé, ma tutto ciò che sta attorno all’esperienza di salire una parete o vivere la montagna.

Come nasce il desiderio di indagare le Alpi?

Leggendo il libro "Cento nuovi mattini" di Alessandro Gogna, che parla dell’arrampicata come mezzo per conoscersi, per stare in compagnia. L'autore ha condensato la sue cento salite più significative, cento vie sparse per le Alpi tra Liguria, Dolomiti, Monte Bianco, senza focalizzarsi sulla performance, ma sull’esperienza. Così è nato il desiderio di ripeterle tutte e raccontare la mia esperienza attraverso l'obiettivo.

Agostino Giorgio Chiarucci

Riconosci un’evoluzione nei tuoi scatti alpini?

Forse all'inizio ero più "reportagistico", ora ho un'approccio di ricerca tecnica anche sulla luce. All’inizio scattavo quasi solo in 35 mm; adesso, influenzato anche dai lavori commerciali che realizzo in montagna, sto sperimentando teleobiettivi, ottiche differenti per cogliere i dettagli e flash frontali. Uso molti tipi di fotocamere, in base a quello che devo scattare: il mezzo influenza tantissimo l’immagine che porti a casa.

Agostino Giorgio Chiarucci

Con quale approccio hai scelto di immortalare l’arco alpino?

Fino a poco tempo fa scattavo con intento catalogativo: volevo raccogliere immagini per "A Dream of White Horses". Ora, invece, scatto solo quando ne sento davvero il bisogno. Non sempre porto in scalata la macchina fotografica e le immagini che catturo sono più evocative, più forti.

Cosa hai scoperto in questa tua indagine fotografica?

Ho capito come mi piace vivere la montagna: lontano dall’antropizzazione. Le Dolomiti sono molto antropizzate, preferisco luoghi come l’alta Val di Mello o la valle dell’Orco. Mi piace scalare vie più isolate che richiedono impegno per essere raggiunte, ma regalano più soddisfazione a livello umano e fotografico.

Agostino Giorgio Chiarucci

Com’è oggi il tuo rapporto con la montagna?

Ci sono molto legato, sia per lavoro sia per passione. Vado in quota quasi ogni weekend per fare roccia, ma anche ghiaccio, sci, alpinismo; non mi interessa la performance, ma l’esperienza, lo stare in compagnia. La mia fidanzata è di Sesto, quindi passo molto tempo sulle Dolomiti: la montagna per me è una safe zone, un luogo in cui mi ritaglio del tempo per stare tranquillo. Non sono un atleta, non mi alleno in modo ossessivo. Mi spingo sempre un po’ oltre, ma con rispetto e senza rischiare troppo; ho molta paura di "rimanerci", in montagna.

Agostino Giorgio Chiarucci

Quale consideri il tuo scatto migliore?

L'ho realizzato alle tre di notte, il giorno prima della mia laurea, sulla parete nord della Tour Ronde: ero sul Monte Bianco con la mia ragazza e un amico arrivato dall'Inghilterra. C’è lo skyline delle guglie, tra cui il Dente del Gigante, alle primissime luci dell'alba e i frontali dei miei compagni di scalata che si stagliano in modo molto forte sull'immagine e disegnano le loro sagome. Lo ritengo il mio miglior scatto, sia a livello tecnico sia come ricordo personale: immortala le persone con cui volevo essere in quel momento preciso.

Agostino Giorgio Chiarucci

Senti il desiderio di catturare un’immagine ancora mai scattata?

C'è una foto che aspetto di cogliere da tanto tempo. Non sono ancora arrivato in vetta al Monte Bianco e voglio farlo non dalla via normale, ma dalla cresta dell’Innominata. Mi piacerebbe scattare durante la salita per condensare in un''immagine l’esperienza, mentre sto scalando. Non ne ho ancora avuto l’occasione: quest’estate ho lavorato in Perù e, quando ero in Italia, non c’erano le condizioni giuste per tentare l'impresa.

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