Pensare come una montagna
Ecofemminismo e fantascienza nella performance di Marta Cuscunà

Marta Cuscunà, © Evelin Mazzaro
La leggenda del popolo di Fanes racconta di una società matrifocale, dove il potere era custodito dalle donne e la natura era parte integrante della vita collettiva. Un regno antico in cui regine e marmotte coesistevano in una simbiosi armoniosa, fino a quando l’avidità e l’espansione patriarcale non ruppero questo equilibrio. È un mito di alleanze perdute, ma anche di resistenza, che ci ricorda un tempo in cui l’umano viveva in stretta connessione con il mondo naturale, riconoscendone la sacralità.
Questo antico racconto riflette le radici dell’ecofemminismo, che vede nel legame tra donne e natura una forza di ribellione contro le logiche di dominio e sfruttamento. Ma l’ecofemminismo sa espandersi anche oltre il mito, trovando un’eco nelle narrazioni della fantascienza. Qui, mondi futuri e ipotesi alternative spesso immaginano società post-patriarcali, in cui il potere è ripensato, la natura è rigenerata e l’alleanza tra specie diventa una necessità per la sopravvivenza. Le narrazioni ecofemministe nella fantascienza non solo riflettono, ma amplificano le questioni di giustizia ambientale e di genere, creando universi dove le gerarchie crollano e il futuro si fonda su relazioni simbiotiche.
È in questo intreccio di femmismo, fantascienza e contemporaneità che si colloca il lavoro di Marta Cuscunà, autrice e performer di teatro visuale. Con la sua voce potente e visionaria, oggi apre un nuovo capitolo di Pensare come una montagna (il programma biennale promosso dalla GAMeC) a Casnigo. Nella cornice del Teatro Circolo Fratellanza, la performer ci conduce in un viaggio oltre il visibile, dove la natura non è solo uno scenario, ma una presenza viva, un simbolo di resistenza e interconnessione. I suoi lavori, intrisi di ecofemminismo e fantascienza, esplorano il delicato equilibrio tra l’umanità e le forze naturali, svelando alleanze multispecie che ci invitano a ripensare la nostra esistenza su questo pianeta.

Marta, la montagna è spesso vista come uno spazio di resistenza e riflessione. In che modo la montagna influenza il tuo lavoro performativo e la tua visione delle “creature più-che-umane”?
Arrivando in una rassegna dal titolo così evocativo come “Pensare come una montagna”, mi viene naturale riflettere su un aspetto personale: mi sono sempre sentita una creatura legata al mare, poiché questo è il paesaggio che abita il mio orizzonte quotidiano. Tuttavia, la montagna è entrata nel mio percorso artistico grazie a Centrale Fies. Lavorare lì per dieci anni ha introdotto questo nuovo paesaggio nella mia pratica artistica, al punto che la montagna è diventata parte integrante dei momenti di creatività, raccoglimento e scambio profondo. Tutto ciò che ruota attorno a Centrale Fies, dai legami che ha saputo tessere agli scambi artistici proiettati verso la contemporaneità, è diventato per me il cuore simbolico dell’andare in montagna.
Caliamoci nella performance di questa sera…
Durante il racconto performativo, presenteremo figure meccaniche (dei corvi), che negli ultimi anni hanno animato i miei spettacoli. In questa performance, esplorerò tematiche legate all’ecofemminismo e alla fantascienza ecofemminista, approfondendo come la narrazione possa diventare una pratica di cura in un periodo caratterizzato da urgenze climatiche e umanitarie. Se, come suggerisce Donna Haraway, saremo capaci di scegliere le storie giuste da raccontare, potremo allenare la nostra immaginazione e creare visioni di futuri in cui la nostra specie possa non solo sopravvivere su un pianeta danneggiato, ma anche intraprendere un percorso per risanarlo.
Come nasce il tuo incontro con la fantascienza eco-femminista?

Nel tuo racconto performativo esplori il confine tra il naturale e l’antropico. Come queste interconnessioni tra specie e ambienti dialogano con la dimensione fisica e simbolica della montagna?
Il confine non esiste; le narrazioni ecofemministe o della biologia contemporanea ci raccontano che questo strappo vissuto fino adesso (che ci ha portate a sentirci altro dalla natura) ha bisogno di essere ricucito perché noi siamo natura. Il pianeta come “grande sasso” sopra il quale dovevano regnare indistintamente (e sopra il quale potevamo fare un po’ tutto ciò che volevamo) mostra una qualche somiglianza con la montagna: è un organismo vivente, un sistema complesso di forme, di simbiosi che sostengono la vita.
Un’ultima domanda. Che cosa rappresenta per te il femminismo?
Credo che i pensieri femministi abbiano a che fare con i diritti di tutt. Non sono discorsi unicamente relegati al mondo femminile o alle donne: il femminismo apre a dei ragionamenti che hanno a che fare con i corpi oppressi e sfruttati. In questo punto la natura, Gaia, ha molte analogie con quello che subiscono i corpi femminili e tutte quelle specie che sono state considerate inferiori alla nostra. In questo senso il termine alleanza sembra rappresentare quello che per me è significato entrare all’interno di percorsi femministi. Si tratta di un viaggio in profonda evoluzione perché il femminismo necessità di fluidità. Le idee mutano nel corso del tempo: come sostiene Donna Haraway, è necessario stare nel problema, accettare il cambiamento.