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July 15, 2024

A Castel Belasi tra arte contemporanea, fotografia e copertine storiche

Francesca Fattinger

Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
John Donne

“Nessun uomo è un’isola”, il verso di apertura della poesia di John Donne, mi rimbomba nella testa mentre attraverso le bellissime sale di Castel Belasi e mi immergo, grazie al potere dell’arte, nel flusso del tempo, dal passato antichissimo al futuro più lontano. “Nessun uomo è un’isola”, “nessun uomo è un’isola”, “nessun uomo è un’isola”: è diventato un mantra che dà ritmo ai miei passi, ai miei pensieri, ai miei respiri, sempre con me ad ogni sguardo, negli occhi, nelle orecchie, nel sangue. Non siamo isole, non possiamo esserlo, non dobbiamo esserlo, per chi verrà dopo di noi, per la Terra che stiamo massacrando, siamo parti di un tutto che ci contiene; ogni azione che prescinde da questa consapevolezza è dannosa anche per noi, è da sciocchi dimenticarsene e invece lo facciamo, lo facciamo in continuazione. E quindi gli artisti e le artiste ce lo ricordano con i mezzi dell’arte, ci ricordano le conseguenze dei nostri comportamenti e le prospettive future.

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La mostra collettiva ora ospitata a Castel Belasi, centro d’arte contemporanea per pratica e pensieri ecologici ospitato in un castello medievale a Campodenno, realizzata in collaborazione con il MUSE – Museo delle Scienze di Trento e visitabile fino al 27 ottobre ha emblematicamente proprio il titolo “Come isole”Curata da Stefano Cagol, raccoglie una quindicina di opere video, pittoriche, fotografiche e istallative, datate tra oggi e gli anni Novanta, di una quindicina di artisti e artiste internazionali, nazionali e regionali, consolidate ed emergenti. Scienza e arte quindi a braccetto per immaginare possibili scenari futuri e tra questi tracciare il percorso per futuri desiderabili. Il titolo evoca un tempo in cui le Dolomiti erano atolli in un mare tropicale e ci allerta rispetto a un futuro in cui l’innalzamento dei mari, la perdita dei ghiacciai e il cambiamento nell’equilibrio tra gli elementi saranno sempre di più i protagonisti. Ci immaginiamo isole, ci immaginiamo superiori, ma è un atto di mera arroganza, ed è significativo che il messaggio “stai attento alle scelte che fai perché avranno conseguenze” che pervade gli affreschi di fattura nordica del castello nella sua ala rinascimentale, tra cui un Giudizio di Paride di Bartlme Dill Riemeschneider e una Regina di Saba in visita a Gerusalemme, sia rimbalzato nelle mostre che sono state pensate appositamente per gli spazi di Castel Belasi.

3-Wim_Delvoye_Atlas_2003

La mostra innesca dialoghi tra generazioni e tra media artistici differenti, ma anche tra artisti provenienti da parti diverse del mondo dando l’impressione di immergersi in un panorama che dal globale al locale ha a cuore le stesse tematiche e le stesse urgenze rispetto all’impatto che la nostra civiltà sta avendo sul pianeta. Il percorso espositivo si apre con un nuovo atlante del mondo che mette in discussione le nostre certezze, ma ci espone con ironia un dato di fatto: l’uomo nel suo abitare il pianeta ha imposto una sua riscrittura, l’ha piegato a propria immagine e somiglianza, tracciando confini inesistenti e inventati e imponendo equilibri dettati dal suo ego e dai suoi bisogni. Così l’artista fiammingo Wim Delvoye nell’opera “Atlas #1” del 2003, una sua rara opera cartografica, ridisegna i confini orografici dell’Europa e ad esempio invece della naturale forma a stivale della nostra penisola vediamo un’immaginaria isola a forma di scarpa accollata con il tacco. Da quest’immagine comincia la caccia al tesoro per individuare altre forme, a cosa si potrebbe spingere l’ego umano se potesse mettere mano anche alle mappe e riscrivere l’orografia del globo? Si prosegue con un’opera del curatore Stefano Cagol “We are The Flood. Ilulissat” del 2024, in cui è protagonista la convivenza uomo-ghiacciaio: gli iceberg sono isole imponenti come montagne ma per loro natura anche estremamente fragili ed effimere. Nelle Alpi siamo diretti spettatori e spettatrici della sparizione che noi stessi abbiamo innescato e l’artista in quest’opera video, che fa parte del progetto più ampio “We are The Flood” che ha assunto le sembianze di una piattaforma di ricerca e sperimentazione al MUSE, con il supporto dell’Italian Council, ci mette davanti a quest’urgenza. 

4- Esther_Stocker_Senza_titolo_2024

Attraversando le sculture accartocciate dell’altoatesina Esther Stocker, che rappresentano come la volontà di mettere tutto sotto una griglia sia presuntuoso e non possa che venire accartocciato, privandoci anche di un foglio bianco su cui scrivere o riscrivere il futuro, si arriva all’installazione video che evoca lo studio dell’artista egiziana di Heba Dwaik. “Adam & Eve” e ci ricorda come oggi tendiamo a escludere ciò che accade attorno a noi. L’artista infatti ha deciso per questo motivo di immortalare giorno per giorno la vita di una famiglia di piccioni che ha scelto il suo balcone come casa e ha immortalato la cova e la schiusa delle uova nella loro semplicità e nel loro istinto di sopravvivenza.

7-Monica_Smaniotto_Se_tutto_smettesse_d'essere_2022

Si arriva poi a una grande sala completamente dominata dall’opera più poetica della mostra: due piante su una barca, lasciate in balia del mare senza un punto di riferimento, ma insieme. L’estesa video proiezione dell’artista brasiliano Thiago Rocha Pitta, ci conduce di colpo sulla linea sottile tra l’apocalittico e la speranza, tra la presenza e la cura, il non rimanere soli e il non voler prevaricare gli uni sugli altri, ma anche lo smarrimento: sono forse quelle due piante le prefigurazioni degli unici due esseri viventi che si salveranno su una sorta di immaginaria futura Arca di Noè? Ecco che ritorna il mantra del “nessun uomo è un’isola”, o forse siamo tante isole le une accanto alle altre in balia di un mare che non possiamo dominare? “Se tutto smettesse d’essere” è il titolo dell’opera fotografica dell’artista trentina Monica Smaniotto che si interroga su ciò che lasceremo alle nostre spalle: nell’immagine una zona di terra erosa dal sale si contrappone a un’altra potenzialmente abitabile, ma divenuta una discarica, ricoperta di scarti elettronici, tra cui lavatrici e televisori e tanto altro. In mezzo a questi ingombranti rifiuti due pecore brucano indifferenti e rendono così ancora più surreale una scena più reale del reale e quindi ancora più allarmante.  

5-Mary_Mattingly_Life_of_Objects_2013

Infine se Mary Mattingly, attraverso un’opera scultorea e fotografica, ci mostra come ciò che possediamo e pensiamo ci dia la felicità e invece ci schiaccia, Gianni Motti nel video che chiude il percorso espositivo ci mostra come l’uomo con un atto supremo di hybris abbia voluto sollevarsi da terra, sentirsi superiore e così si è distaccato senza possibile via di ritorno dalla natura, nell’inganno di poterne sovvertire le leggi. Alla fine tutto questo è solo un’illusione e la nostra superiorità una dipendenza. “Nessun uomo è un’isola” ritorna forte, non è un’isola rispetto al resto dell’umanità e non è un’isola rispetto alla natura e al pianeta che abita: un monito che chiude così la mostra.

8-Gianni_Motti_Levitation_1995

Sempre a Castel Belasi è ora ospitata la mostra fotografica “La piccola patria di Giovanni Pedrotti. Paesaggi e società del Trentino di inizio Novecento”, realizzata in collaborazione con la Soprintendenza e curata da Katia Malatesta ed “Enrosadira e Šebesta” che presenta le copertine d’artista dei primi sei numeri degli anni Trenta della rivista culturale trentina Enrosadira: di Onké Perzolli dell’estate 1935, di Gino Pancheri ed Enrico Pedrotti dell’inverno 1935, di Gino Pancheri dell’estate 1936, di Fortunato Depero dell’inverno 1936, di Gino Pancheri dell’estate 1937 e di Dario Fozzer dell’inverno 1937. Invece proiettata sulle antiche pietre è visibile l’opera filmica rara degli anni Sessanta “Uva sulla montagna”, digitalizzata per l’occasione, che porta la firma alla regia di Giuseppe Šebesta, tra i maggiori etnografi del Novecento nell’indagine della cultura alpina del territorio. La mostra temporanea e l’allestimento permanente sono realizzati in collaborazione con MTV Movimento Turismo del Vino Trentino Alto Adige.

enrosadira copertina n. 2

Castel Belasi ospita inoltre periodicamente eventi connessi alle mostre: il prossimo in programma è il concerto dei Katom il 23 luglio dalle ore 21. Fa parte del cartellone di “TrentinoInJazz” e combinerà texture ambientali e improvvisazione jazzistica nei paesaggi sonori creati da voce, tromba, contrabbasso, chitarra, batteria elettronica e sintetizzatore dei cinque componenti, provenienti da Catalogna, Cile, Italia, Germania, Israele e Sudafrica.

enrosadira copertina n. 1

Credits: (1, 3-7) Castel Belasi Cultura, (2) Castel Belasi dall’alto Stefano Cagol

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