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April 27, 2024
Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi a Merano Arte: Intervista al nuovo duo curatoriale
Stefania Santoni
C’è aria di novità a Kunst Meran Merano Arte. Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi sono il nuovo duo curatoriole delle mostre di arte contemporanea per i prossimi tre anni nell’importante spazio espositivo meranese. Entrambi impegnati nel panorama accademico e nell’ambito della critica d’arte, Cipitelli e Frangi hanno scelto di proporre un progetto triennale che coniughi ricerca teorica e pratica curatoriale. ll loro approccio, come scopriremo in quest’intervista, privilegia una processualità artistica site-specific, in stretta connessione con il contesto territoriale e la sua storia. Il percorso che il duo intende delineare per Kunst Meran-Merano Arte vuole porsi come specchio della complessità del presente, dove il lavoro degli artisti emergerà come frutto di una riflessione collaborativa tra curatori, artisti e istituzioni, con lo spazio inteso non solo come ambiente fisico, ma anche come contesto storico, culturale e umano.
Il programma triennale proposto da Cippitelli e Frangi s’intitola L’invenzione dell’Europa. Una narrativa tricontinentale: si tratta di un progetto che ha come obiettivo quello d’indagare e attivare una riflessione critica sull’idea monolitica d’Europa e sulla sua narrazione essenzialista, a partire da un territorio plurilingue, posto tra le “moderne” Italia ed Austria, le cui comunità sono state nei secoli attraversate da poteri politici ed economici che si sono avvicendati e sfidati, a dispetto della realtà concreta del territorio. Prima di addentrarci nella programmazione artistica dei prossimi tre anni a Kunst Meran Merano Arte, scopriamo il profilo di questo duo curatoriale d’eccezione.
Lucrezia Cipitelli è una storica dell’arte. È Ph.D, ricercatrice e curatrice, co-direttrice di Arthub. Dirige la piattaforma educativa di Picha/Biennale di Lubumbashi (Congo RDC) e collabora con la Libre Académie des Beaux Arts di Douala (Camerun). Insegna teorie critiche postcoloniali, decoloniali e di genere, nell’ambito delle teorie dell’arte. La sua ricerca e pratica curatoriale si concentrano sull’educazione radicale, la cultura DIY, la site-specificity e il collettivismo, con particolare attenzione alle epistemologie del Sud globale.
Simone Frangi è ricercatore, curatore e critico d’arte. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Filosofia -Estetica e Teoria dell’Arte in co-tutela internazionale presso Université de Bourgogne-Dijon e Università Degli Studi di Palermo e in seguito un Perfezionamento Filosofico in Teoria Critica della Società presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Dal 2013 co-dirige con Barbara Boninsegna Live Works-FreeSchool of Performance presso uno dei nostri posti del cuore, Centrale Fies, dove a ha co-fondato la Agitu Ideo Gudeta Fellowship in collaborazione con Mackda Ghebremariam Tesfau’ e Justin Randolph Thompson. Dal 2013 è professore di Teoria dell’arte e Cultura Visuale presso l’ESAD-Accademia di Belle Arti e Design di Grenoble.
Lucrezia e Simone, vorrei chiedervi in primis di raccontarmi come è nato il programma “L’invenzione dell’Europa. Una narrativa tricontinentale”. Quale’è l’idea alla base del progetto?
Il programma che svilupperemo nei prossimi tre anni, ”L’Invenzione dell’Europa”, prende in prestito la formula “The Invention of Africa” del filosofo congolese Yves Valentin Mudimbe, e racconta l’invenzione dell’Europa come narrazione ideologica, costruita a partire dal Rinascimento sia dall’interno sia dall’esterno, e come realtà materiale che ha scritto i suoi confini grazie a forme di colonialismo, estrattivismo ed epistemicidio. La programmazione vuole stimolare una riflessione su quei procedimenti “finzionali” ma anche materiali che hanno dato forza all’idea di Europa continentale nella sua immunità geopolitica e culturale attraverso l’esclusione o la vampirizzazione delle sue “province” e delle sue “esternalità”. Il primo anno di programmazione (2024/2025) si concentrerà sulla relazione tra Europa e Africa. Gli anni successivi, il programma si svilupperà seguendo due transizioni oceaniche cruciali per l’Europa, quella atlantica e quella indiana: il 2025/2026 sarà dedicato al rapporto tra Europa ed Abya Yala ed il 2026/2027 al rapporto tra Europa e Asia.In che modo l’arte ospitata nel museo si occuperà di creare questa narrazione?
Abbiamo ragionato in termini di coproduzioni, scambi, circuitazione di opere e presentazioni itineranti. Insieme al team di Kunst Meran Merano Arte, stiamo costruendo una programmazione che permetta di far lavorare gli artisti invitati a stretto contatto con realtà locali. Abbiamo pensato anche a un public program espanso, che non si limiterà agli spazi della Kunsthaus, e al coinvolgimento di pubblici non specialisti dell’arte attraverso associazioni locali. Crediamo fortemente che non sia possibile affrontare in astratto le complessità globali senza essere in grado di contestualizzarle in un ambito geopolitico ed umano più stretto, localizzato, con il quale misurarsi a partire dall’esperienza diretta. Allo stesso tempo, siamo consapevoli che il mondo è, nella sua totalità, un sistema, e che per questo non sia possibile agire sul locale senza aver costruito una consapevolezza sistemica globale, che sappia inquadrare le sfide e le necessità di un territorio specifico nell’ambito di tensioni più ampie. La nostra programmazione non intende riferirsi esclusivamente al mondo artistico, quanto piuttosto ragionare, grazie alle pratiche artistiche, su tematiche tangibili, a partire da un territorio di confine denso e stratificato come quello altoatesino. Lavorare “pensando da Merano” significa riflettere criticamente e in maniera concreta sull’idea monolitica d’Europa e sulla sua narrazione essenzialista, a partire da un territorio plurilingue, posto tra le “moderne” Italia ed Austria, le cui comunità sono state nei secoli attraversate da poteri politici ed economici che si sono avvicendati e sfidati, a dispetto della realtà concreta del territorio.
Quali sono i presupposti metodologici e teorici del programma che intendete proporre e della ricerca di cui vi occuperete nel corso del triennio?
Parlare di postura anticoloniale ed intersezionale significa per noi dichiarare che abbiamo compreso che le spinte centripete della geopolitica del presente si spiegano a partire da quello che un pensatore che amiamo molto, Anibal Quijano, definisce “colonialità”: un set di ideologie, narrazioni e produzioni culturali che a partire dal Cinquecento hanno accompagnato la prassi militare e politica di espansione coloniale Europea in quello che oggi chiamiamo Sud Globale. La ”colonialità” ci ha definiti come europei, bianchi, cristiani, ed eterosessuali, costruendo una narrazione inferiorizzante di chi abbiamo raccontato come “Altro” per cinque secoli. Prendere atto di questa costruzione ideologica significa posizionarsi politicamente e culturalmente.
Quale sarà la prima mostra che verrà inaugurata?
La mostra che apre la prima annualità sarà “La Linea insubrica”, che radunerà un gruppo di artiste e artisti internazionali attorno a questa immagine speculativa, un geo-punto che attraversa la città di Merano, ovvero una cucitura nella superficie terrestre emersa a seguito della collisione tra la placca tettonica europea e quella africana. Durante il Giurassico, l’Africa e l’Europa erano infatti separate da un oceano chiamato Tetide: nelle ere successive la placca africana si spostò a nord verso la placca europea, causando una graduale chiusura della Tetide e infine una vera e propria collisione tra le due placche. Mentre la placca europea scivolava sotto la placca africana, quest’ultima dava consistenza al materiale minerario che forma oggi le Alpi. La linea insubrica, la cui composizione è il risultato della fusione di sostanze “più-che-umane” depositate lungo i margini delle sue placche, è una metafora materiale attraverso la quale leggere le finzioni che hanno costruito programmaticamente l’Europa del presente. La narrazione costruita a partire dal Rinascimento di un continente bianco, cristiano, progredito, in continua evoluzione ed espansione, e del quale si tenta di sottolineare un aspetto identitario che mantenga la sua purezza – seppur declinata in lingue e specialismi regionali – è messa in crisi da una realtà geologica che materializza la complessità della storia, iniziata, nel caso dell’incontro tra Africa ed Europa, 65 milioni di anni fa. La Linea Insubrica pensa la complessa relazione tra Europa e Africa a partire dall’immagine orografica della linea che, visibile attualmente come una cicatrice, concretizza il rapporto egemonico che l’Europa ha imposto sull’Africa. Un’ultima domanda. Quali artisti e artiste prevedete di coinvolgere?
Per “La Linea insubrica” abbiamo rivolto la nostra attenzione ad artisti sia europei che africani che della diaspora africana in Europa. In particolare saranno presenti Liliana Angulo Cortés, Sammy Baloji, Binta Diaw, Abdessamad El Montassir, Alessandra Ferrini, Kapwani Kiwanga e Francis Offman. Il secondo appuntamento della prima annualità sarà costituito dalla prima mostra monografica dedicata in Italia a Belinda Kazeem-Kamiński, scrittrice, artista multidisciplinare, studiosa e ricercatrice nata e di base a Vienna le cui opere si manifestano attraverso la fotografia, l’installazione, il video e il suono. Radicata nella teoria femminista nera, ha sviluppato una pratica investigativa basata sulla ricerca e processuale che si concentra sulle esperienze di vita dei neri nella diaspora africana. Il suo lavoro intreccia spazi e temporalità diverse, resistendo a una separazione netta tra documentario e speculazione. Prendendo come punto di partenza la ricerca effettuata per la sua mostra personale presso Camera Austria, la personale di Kazeem-Kaminski a Kunst Meran Merano Arte riflette sul concetto di abolizione e di liberazione.
Credits: (1) Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi a Merano Arte, photo by Lucas Batliner; (2) Alessandra Ferrini, Sight Unseen, 2019-2020, Video still, Courtesy of the artist; (3) Kapwani Kiwanga, Flowers for Africa: Libya, 2017, Exhibition view, “The Sun Never Sets,” Goodman Gallery, Johannesburg (ZA), 2017, photo by Anthea Pokroy, courtesy of the artist and Galerie Poggi, Paris. Collection Léopold Meyer © 2023; (4) Artists Rights Society (ARS), New York / ADAGP, Paris, Abdessamad El Montassir, Galb’Echaouf, 2022, Video still, Courtesy ADAGP, Paris.
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