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February 22, 2024

L’isola di Flores:
intervista alla floral designer Sara Maniscalco

Stefania Santoni

Nell’antica Roma c’era il culto di una dea chiamata Flora. A lei spettava il compito di regolare la fioritura dei cereali ma anche dei fiori. Tant’è che spesso nelle immagini e nei moduli iconografici la vediamo ritratta con il capo agghindato da una corona di fiori variopinti, come nella Primavera di Botticelli. I fiori da sempre fanno parte della nostra cultura, del nostro immaginario. Sono doni della natura che attraverso i nostri sensi ci permettono di vivere esperienze di Bellezza autentica. Di questo ho avuto modo di parlare con Sara Maniscalco, floral designer e fondatrice ad Arco de “L’Isola di Flores”.2 Sara, tu sei un’antropologa. Come sei arrivata a occuparti di fiori e in che modo il tuo studio antropologico ha influenzato il tuo rapporto con il mondo vegetale?

Già, proprio così: mi sono formata in antropologia sia durante il percorso di laurea triennale che nella specialistica a Milano. Dopo un anno di permanenza all’estero, all’Università di Barcellona, ho frequentato un master alle Maldive dedicato all’Environmental Anthropology e che si occupava di indagare le modifiche dell’uomo in relazione all’ambiente e il modo in cui vengono esercitati politica ed economia sulle risorse naturali. Così ho iniziato un percorso di ricerca al centro di studi di biologia marina delle Maldive per analizzare i cambiamenti climatici in un luogo molto critico, perché qui, anno dopo anno, sono visibili i cambiamenti climatici in maniera molto evidente. Così ho conosciuto il mio mentore che mi ha mandato in Uzbekistan a studiare le piantagioni di cotone e il problema dello sfruttamento del lavoro, in particolare dei lavoratori della terra. A partire da questa attività di ricerca ho cominciato a collaborare con il mondo accademico, quindi a pubblicare articoli e saggi per riviste scientifiche dedicate all’antropologia. Ma pubblicazione dopo pubblicazione capivo ogni giorno di più che quello non era il mio canale comunicativo: non era l’approccio con cui desideravo raccontare e condividere ciò che sapevo, i risultati delle mie ricerche.

A partire da questo momento è avvenuto un cambio di rotta che però ha preservato alcuni temi essenziali che rientrano ancora oggi nelle mie attitudini, nei miei interessi di ricerca, come l’ambiente e le persone. Ho sempre avuto una grande passione per i fiori, gli allestimenti, il mondo del design, l’antropologia del paesaggio (spinta anche dalla convinzione profonda che la bellezza sia in grado di cambiare il mondo). E così mi sono messa alla ricerca di un corso di floral design che ho frequentato e che mi ha fatto comprendere che la mia strada era davvero quella. Da piccole collaborazioni sono nate attività più interessanti e impegnative e che mi hanno portata a esplorare l’Italia. E poi a fondare “L’isola di Flores”. 5Se non ricordo male hai partecipato anche ad un contest…

Sì, Floralism, un contest romano dedicato ai floral designer emergenti. 4 persone  - tra cui io-  sono state valutate con punteggi altissimi tanto da spingere la commissione del contest ad assegnare a tutti e quattro il primo posto. È stato un riconoscimento davvero importante. 

‘L’Isola di Flores’ è il nome della tua attività. Da dove nasce questa idea?

È un sunto, è il cuore di ciò che faccio. L’isola di Flores è una piccola isola nel mare di Flores, in Indonesia, dove nel 2003 è stata fat to una delle più grandi scoperte antropologiche che ha suscitato grande scompiglio e sgomento nell’ambiente accademico: sono stati trovati i resti dell’Homo Floresiensis, che aveva caratteristiche del tutto straordinarie rispetto alla progressione evolutiva che gli studiosi avevano dato finora agli ominidi. Non si comprendeva se l’Homo Floresiensis fosse un ominide che aveva sofferto di gigantismo o minimismo insulare o se fosse sopraggiunto con una migrazione dell’Africa (una di quelle primordiali). E questa scoperta antropologica così fuori dal comune mi sembrava davvero mia, la più adatta per la mia attività anche per il nome musicale che rimanda ai fiori. 

Che cosa ami realizzare con gli elementi della natura? 

Non mi occupo solo di allestimenti per eventi ma conduco anche diversi workshop, dove ogni incontro diventa un appuntamento con la diversità. Amo ad esempio i laboratori dedicati alla terra in cui s’impara a realizzare un terrarium kokedama, un giardino di vetro. Durante l’esperienza riporto le persone a mettere le mani nel muschio, nella terra, a ricercare un contatto con le piante che sono l’87% del pianeta ma che vengono concepite come un contorno del mondo, quando invece sono il mondo. È così che chi partecipa ai miei workshop riscopre la bellezza della natura e la sua importanza. È per questo che spesso al termine delle cerimonie (come i matrimoni) invito gli ospiti a portare a casa i fiori così che possano prendersene cura a loro volta e consentire un’altra vita a questi bellissimi doni della natura, tentando di ridurre il più possibile l’impatto ecologico. L’etica è un valore cardine della mia attività.1 Quali sono i fiori che prediligi?

Amo i fiori spontanei. Ultimamente il mio preferito è il papavero. Cerco di utilizzare solo fiori italiani e con quelli che vengono dall’estero presto attenzione, acquistando sempre in maniera etica. Quando posso chiedo i fiori a Francesca Corradini che ha un vivaio bellissimo qui vicino ad Arco dove coltiva lei stessa delle chicche introvabili. I fiori mi permettono di allenare un’idea più fresca e contemporanea di estetica compositiva: è così che riesco a generare una nuova forma di bellezza che sa essere responsabile ma anche salvifica. Perché la bellezza condiziona il ben-essere delle persone: creare qualcosa di bello e vedere la luce e la felicità negli occhi di chi lo osserva mi rende molto grata e felice. 

Credits: (1, 2) Nicole Toccoli, (3) @fotomagoria_com; (4) Sara Maniscalco by Cristina Crippa.

 

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