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December 22, 2023
ti odio. La mostra personale di Siggi Hofer a Spazio Cut
Stefania Santoni
Quando pensate al Natale, che cosa vi viene in mente? Qual è l’immagine più iconica di questo momento dell’anno? Sono certa che non vi sia alcun dubbio a riguardo: Babbo Natale. Quell’anziano dalla barba bianca che puntualmente ogni notte della vigilia di Natale, accompagnato da una slitta trascinata dalle renne, si reca in ogni casa per portare dei doni.
E quest’immagine iconica alberga nell’esposizione di una galleria molto speciale di Bolzano, Spazio Cut: sto parlando di “ti odio”, la mostra personale di Siggi Hofer a cura di Maximilian Pellizzari & Leonardo Cuccia visitabile fino al 29 febbraio. Per comprendere meglio di che cosa si tratti (perché non è una mostra che omaggia il Natale, ma piuttosto un’esposizione che si posiziona in maniera riflessiva e critica su quest’immagine iconica) ci parla Maximilian.
Maximilian, come nasce questa mostra personale dedicata a Siggi Hofer?
Da circa due anni la nostra galleria si sta concentrando su un tipo di ricerca artistica che coinvolge gli artisti del Sud Tirolo che si trovano all’estero. Tra questi si può annoverare Siggi Hofer, nato a Brunico nel 1970, cresciuto nella Valle Aurina e che circa vent’anni fa si è trasferito a Vienna, città dove ha iniziato e conseguentemente sviluppato la sua pratica artistica legata sia al disegno che alla pittura. Negli ultimi anni di lavoro Siggi Hofer ha definito il suo linguaggio sposando un’astrazione delle forme sulla base di una griglia geometrica. Mi spiego meglio: l’artista ricerca online o nei libri scolastici disegni preparatori su una griglia quadrettata (come un foglio a quadretti) all’interno del quale sviluppa delle forme che prevedono una riduzione ordinata e che si manifestano sempre in maniera programmata. Per tale ragione possiamo definire la sua pittura di matrice concettuale. L’artista si concentra più sulla scelta dei motivi rispetto all’espressività della pennellata (che infatti non è visibile e che si materializza in un colore che copre tutta la forma). Quello che Hofer intende mettere in atto è ciò che ha già sviluppato nella sua ultima mostra a Vienna del 2021: un’esposizione, questa, che prevedeva un ambiente immersivo dove tutte le opere, dipinte su pannelli di MDF, erano appese al centro dello spazio ma con direzioni diverse; a seconda del punto in cui si trovava lo spettatore, la visione della composizione risultava differente col fine di creare un sistema linguistico aperto dove immagini simbolo erano in grado di generare sempre nuove relazioni l’una con l’altra. Quest’aspetto è diventato un po’ un sistema caratteristico del nostro artista che quindi si approccia alla pittura con un’attenta scelta dei soggetti e con un’esecuzione molto precisa e dall’aspetto artigianale. Mi spieghi il titolo della mostra e in che modo viene indagato il tema del Babbo Natale?
L’odio è una cosa che esiste nella nostra società e percezione (si pensi alle guerre cui continuiamo ad assistere o più semplicemente ai conflitti tra una cultura e l’altra). E l’artista vuole con la sua pratica tematizzare questo sentimento interrogandosi su come si possa ricondurre alla nostra quotidianità. Nelle diverse opere si trovano delle frasi, talvolta sparpagliate e quindi separate le une dalle altre. Il visitatore è chiamato a riunirle, a ricongiungere i pezzi. Un fraseggio molto interessante recita così in italiano “Un litigio con te è come una guerra”: si tratta di parole che sicuramente evocano eventi attuali, ma al tempo stesso anche qualcosa di personale e intimo. Quando un litigio diventa una guerra significa che non si sta cercando di risolvere qualche cosa ma che si sta scegliendo di perseguire un conflitto. Il tema dell’odio si riscontra anche nelle lacrime costituite da perline nere che troviamo su alcune opere. Con il lavoro fatto sui cartigli, l’artista desidera mostrare il rapporto esistente tra immagine e testo, ricerca che fa parte della sua pratica da ormai diversi anni.
Questi cartigli consentono di generare un contesto, ma anche una profondità emotiva rispetto all’immagine che prevalentemente va a identificarsi con Babbo Natale, un’icona sociale e culturale. È un’immagine che ha a che vedere con il capitalismo e il consumismo, in quanto legata a un’invenzione che non si può rintracciare nella nostra storia ma che è entrata nel nostro immaginario, dal momento che col fenomeno della globalizzazione si è diffusa in tutto il mondo. Da qui nasce l’idea di Hofer di creare una rappresentazione inclusiva di Babbo Natale, con variazioni che amplino lo spettro del personaggio. Osservando queste icone si notano inoltre delle variazioni formali, con l’intenzione di mettere in atto scelte pittoriche intenzionali che permettano a Hofer di diventare più creativo e di aggiungere un carattere molto personale alla produzione. L’artista giocando con i colori compie quindi azioni critiche verso questa figura iconica e cerca di rimodularla tenendo a mente le diverse culture che abitano le nostre civiltà. Un esempio concreto? Un Babbo Natale ha una macchia vicino al volto che sembra realizzata accidentalmente ma che in realtà indica un approccio ironico tipico di Hofer, tant’è che la macchia è stata prodotta perfettamente pur sembrano una sorta di errore. Questo per dirti ancora una volta che il suo approccio al lavoro è estremamente riflessivo, puntale, programmato. In che modo nei lavori di Hofer si manifesta il rapporto tra parola e immagine?
Le parole sono molto importanti per Hofer, tant’è che i titoli delle sue mostre sono sempre fuori dagli schemi, un po’ esagerati, sopra le righe. Nel suo sistema visuale Hofer s’interessa di come i testi possano diventare immagini e le immagini diventino elementi linguistici al pari delle parole. Le opere che troviamo esposte sono state realizzate appositamente per questa mostra, fatta eccezione per alcune datate 2021 (si tratta di 3 pezzi dei cartigli che appaiono caduti o su delle ruote all’interno del nostro spazio). Per Siggi Hofer è fondamentale non aderire agli standard classici della pittura: da qui la scelta di non appendere le opere a muro secondo il classico canone del metro e mezzo, ma scegliendo invece di servirsi di pannelli concepiti come elementi scultorei, così da sviluppare opere in grado di relazionarsi con lo spazio architettonico circostante col fine di manifestare una performatività implicita. Significativo in questo senso è stato il momento dell’allestimento perché l’artista ha manifestato il desiderio di adagiare le opere nello spazio senza particolari supporti: “L’architettura non verrà ferita”, ci ha detto. In un gruppo di pannelli dipinti l’artista esplora le variazioni della forma di uno striscione su cui applica un testo dipinto o lettere composte da perline colorate. Ogni perlina è un modulo per la composizione di linee che possono diventare lettere e infine parole. Nella pittura antica, gli stendardi con parole dipinte conferivano significato, contesto e profondità emotiva alle rappresentazioni. Ne è un esempio il ritratto ad affresco dei coniugi Konrad e Irmgard Krille, conservato nel Duomo di Bolzano e realizzato all’inizio del XIV secolo.
Credits: (1, 2, 3, 4) foto di Tiberio Sorvillo.
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