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September 30, 2022
Stefano Cagol e “Il fato dell’energia” a Castel Belasi: tra emergenze climatiche e divinazioni
Francesca Fattinger
L’arte è uno scambio di calore.
Jospeh Beuys
Noi siamo energia, la tratteniamo, la trasformiamo, la lasciamo andare, come traccia intorno a noi, carezze energetiche e spesso invisibili. Noi siamo energia, è l’energia che ci fa vivere, muovere, agire, pensare, è l’energia che accompagna l’essere umano da sempre, un’energia ricercata e sempre più raffinata, elaborata e infine distruttiva. Noi siamo energia e così l’energia, quella potenza incredibile che essere umano e natura condividono, è diventata causa dello squilibrio, motivo di distruzione, interferenza distruttiva. L’essere umano ha voluto dominarla quell’energia, distorcendone la natura, così quell’energia ora gli si sta ritorcendo contro. Esseri umani stolti incapaci di prendersi cura del dono più grande che hanno avuto, nuotano ignari o, fingendosi tali, in mezzo al baratro che stanno allargando giorno per giorno, come una crepa che da minuscola piano piano, si romperà clamorosamente, facendo uscire tutta l’acqua dalla boccia di vetro in cui come pesciolini rossi si trovano a nuotare. Ma è proprio qui che l’arte come “scambio di calore”, come atto divinatorio e politico, come linguaggio di allerta, come frattura e lampo nella nostra quotidianità spesso accecata e offuscata ci può aiutare. Stefano Cagol incarna e ha sempre incarnato nella sua arte, nei suoi più di trent’anni di ricerca, tutto questo. Artista che “viaggia con quello che accade nel mondo o che sta lì lì per accadere”, in ascolto sulla soglia tra presente, il qui e ora che abita, e un futuro possibile. È su quel confine ai più invalicabile che lui lavora, giocoliere in bilico tra divinazione della catastrofe e origine della speranza, allerta disperata e indicazione luminosa di una strada possibile.
È lì che l’ho trovato anche io quando qualche giorno fa l’ho incontrato per parlare della mostra “IL FATO DELL’ENERGIA. Ghiacci glaciali, surriscaldamento e divinazioni”, ospitata a Castel Belasi, a Campodenno in val di Non fino al 30 ottobre 2022, e curata da Emanuele Quinz. Il titolo, ripreso da un’opera del 2002, esattamente 20 anni fa, apre alle molteplici sfumature che il termine “energia” contiene, alla sua forza genitrice e annientatrice, e rimanda a sua volta al “La trasparenza del male. Saggio sui fenomeni estremi” di Jean Baudrillard in cui il filosofo, sociologo e politologo francese si interroga su quelli che definisce i “fenomeni estremi”, dai virus informatici agli atti di terrorismo, e sull’essere delle cose sempre più scollegate dal loro referente, dal loro contesto e dalla loro storia.
L’opera di Stefano Cagol è perfetta per introdurre la coerenza della sua ricerca e l’attenzione sempre presente sulle questioni del rapporto tra essere umano e ciò che lo circonda. In questo caso la protagonista assoluta è l’energia della natura, urlo di madre terra tra meraviglia e terrore: un bagliore improvviso e luminosissimo squarcia il cielo nero di una notte in tempesta che grazie all’intervento dell’artista e al rallentamento progressivo della ripresa di oltre duecento volte, si dilata mostrando tutta quella potenza che, condensata in un istante di esplosione, sul momento riusciamo a cogliere solo nella forma di un’energia imbrigliata nel tempo, così invece la cogliamo nella sua pura essenza.
Una mostra fondamentale quella ospitata a Castel Belasi che segna un momento importante della carriera di Stefano Cagol che per la prima volta lo vede, da artista riconosciuto a livello internazionale, esporre nella sua Val di Non, da quasi vent’anni scelta come sede abitativa e lavorativa. Un racconto visionario e un viaggio metaforico ricamato tra le bellissime sale espositive di Castel Belasi, in cui la storia del palazzo si intreccia con i molteplici linguaggi usati dall’artista: dal video alla performance, dalle installazioni sonore a quelle scultoree, ripercorrendo attraverso la selezione di una ventina di opere, il suo percorso artistico dagli esordi di carriera all’opera ora presente alla Biennale di Venezia.
Bella e inattesa coincidenza che l’opera “Far before and after us” sia presente contemporaneamente qui e all’interno della mostra dello stato di Perak-Malesia su simbiosi indigena e narrazione della natura agli Archivi della Misericordia, in occasione della Biennale d’arte di Venezia di quest’anno. Nel video, l’artista sospeso tra oscurità e luce dà vita a un rituale contemporaneo in cui i suoi movimenti, i suoi gesti, il suo corpo e il fuoco che ha in mano, segnale di allarme e di bagliore, di ribellione e di richiesta estrema di aiuto, si fanno tramite per un dialogo profondo fra quei ghiacci eterni non più eterni e le temperature, i venti e le correnti che stanno cambiando il loro corso. L’artista è come posseduto ed è la natura che urla tramite il suo rituale, dando voce così alle richieste di una terra dilaniata: così si evidenzia come la Valle di Tovel, in cui è stato girato il video, appena dietro le montagne che sovrastano il castello, e la Malesia siano collegati da uno stesso destino. Se si pensa che le Dolomiti erano un fondale tropicale come la Malesia si capisce come la riflessione si espanda enormemente e diventi un allarme sia sui cambiamenti climatici sia sull’urgenza di una politica globale comune.
Così l’installazione luminosa “Global Warning”, realizzata per il Water Festival di Bressanone di quest’anno, e ora installata nella prima sala dell’esposizione, assume diversi significati: circondati dal rosso delle lettere si è catturati dalla potenza della sua tautologica espressione; basta cambiare una sola lettera e il messaggio è chiaro e immediato, quasi come se la piccola e fragile “n” fosse stata da sempre nascosta nell’originaria “m”, troppo grande e massiccia, egocentrica e accentratrice, come l’essere umano che l’ha nascosta bene bene là dietro finché l’evidenza del disastro immanente non l’ha fatta emergere.
Intervento sempre sottile e minimale quello di Stefano Cagol che proprio nell’atto di togliere il superfluo per arrivare all’essenza del suo intervento artistico risulta sempre potentissimo nella sua capacità ri-significante: agisce facendo interagire elementi naturali primordiali, discorsi universali ed emergenze più che attuali e così facendo ci permette di cambiare punto di vista sui nostri errori e riscoprire l’energia dell’errore, come racconta in “Questo immenso non sapere” Chandra Livia Candiani, artista, poeta e divinatrice, che mi piace ricollegare alla pratica di Stefano Cagol.
Chi segue l’energia dell’errore fa della sua vita un libro di testo, la studia, la conosce, la scava, la scavalca, parte sempre da sé e a sé ritorna per mettere alla prova quel che ha sperimentato. Allora come una nuvola si scioglie nell’aria, dove la storia non è più propria ma solo il punto di vista minuscolo sul grande cielo sconfinato di tutti gli esseri.
Ed ecco che un parallelepipedo di ghiaccio che si scioglie e finisce nella laguna di Venezia diventa rappresentazione di un iper-oggetto di riflessione in cui siamo immersi ma che non sottoposti alla sua evidenza non riusciamo a cogliere; o una linea di luce, metafora dei confini (della mente), nel suo essere impalpabile ed effimera rivela barriere così insormontabili proprio perché apparentemente invisibili; o ancora un ammasso di alluminio accartocciato e piegato a mano dall’artista, quasi in una lotta con la materia che l’ha addirittura ferito, mostra nella sua poetica lucentezza la contraddizione sempre presente della nostra relazione con la natura.
Con la personale di Stefano Cagol, Castel Belasi si presenta al pubblico con un programma espositivo strutturato e permanente dando vita a “Castel Belasi Cultura”, un luogo di fruizione delle arti. Dopo cinque anni pilota, conclusisi con il lungo intervento di restauro, ora oltre alla sezione dedicata alle mostre temporanee d’arte contemporanea di respiro internazionale, come quella ospitata ora, la proposta espositiva include un percorso permanente consacrato alla fotografia con pezzi provenienti a rotazione dall’Archivio Fotografico Storico Provinciale e una project room dedicata a mostre di artisti under 35.
Appuntatevi quindi la data del 30 ottobre, come termine ultimo per immergervi nel “Fato dell’energia” e farvi scuotere dai suoi temi quanto mai attuali: se l’arte ha un ruolo nella nostra contemporaneità non è forse quello di farci cadere dalle nostre certezze e dare spazio a questioni fondamentali sul nostro stare al mondo?
Foto di Francesca Padovan per APT Val di Non
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