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February 1, 2021

Jeremias Morandell: fotografare con la testa

Allegra Baggio Corradi

Originario di Caldaro, Jeremias Morandell è un fotografo di design e moda di base a Londra. Crede che la fotografia accada almeno per il 70% nella testa. Ama il movimento. È particolarmente attratto dalla matericità dell’analogico. Apprezza il mare e la natura. Si circonda di persone che hanno qualcosa da dire. Legge i quotidiani ogni giorno. Non ama i compromessi. A lui la parola. 

Ciao Jeremias, iniziamo dall’inizio. Da dove vieni e da lì dove sei andato?

Originariamente sono di Caldaro. Ho frequentato il liceo a Bressanone e a Merano dove mi sono specializzato in design e grafica. Dopo la maturità ho trascorso del tempo tra Londra e Dublino. Subito dopo sono andato a Milano per studiare fotografia e otto anni fa mi sono trasferito a Londra.

Torni spesso in Alto Adige? Hai dei luoghi preferiti?

Ho ancora molti amici in Alto Adige, dove cerco di tornare tre o quattro volte l’anno. Sono particolarmente affezionato al Lago di Monticolo, dove vado da quando sono piccolo data la vicinanza a casa. Mi piace anche andare sulla Mendola dove abbiamo una piccola casetta di famiglia. Pratico snowboard in Val Senales e in Val d’Ultimo. Amo l’Alto Adige soprattutto per la natura.

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Come è avvenuto il tuo primo incontro con la fotografia?

Mio zio era appassionato di fotografia e quando avevo 12 anni mi ha regalato una Reflex. In giro per Caldaro e in casa ho iniziato a fotografare. Giunto alla fine del liceo potevo scegliere di fare il grafico oppure il designer, ma alla fine ho scelto di diventare fotografo perché preferivo di gran lunga viaggiare e muovermi piuttosto che stare davanti ad uno schermo. Ho lavorato per un periodo come grafico a Bolzano e Milano, ma la vita sedentaria non faceva per me. Amo la velocità che la fotografia regala non solo alla mia vita, ma anche ai miei progetti, di breve durata e in continuo cambiamento.

Come hai trovato la tua nicchia come fotografo focalizzandoti su design e moda?

Quando vivevo ancora a Milano, intorno al 2010, lavoravo come assistente per un fotografo che scattava still life per il Gruppo Prada. Lo seguivo nei suoi progetti commerciali e in cambio, nel fine settimana, mi concedeva di utilizzare il suo studio per fare uso delle luci e dei macchinari professionali ai quali un giovane fotografo non ha spesso accesso. Lì ho progressivamente costruito il mio portfolio, iniziando a lavorare in tutta Europa, soprattutto a Parigi, e muovendo poi i primi passi su scala internazionale. Negli ultimi cinque anni, la fotografia commerciale si è mossa in una direzione meno basata sul prodotto, ma con un sempre maggiore focus sul mezzo stesso. Non è più lo scopo ad essere al centro, ma il medium. Si tende a nascondere il ritocco e c’è una tendenza a scegliere di nuovo la pellicola. Questa direzione si allinea con la mia visione della fotografia.

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Analogico oppure digitale?

All’inizio solo quasi ed esclusivamente analogico. Ora, invece, il digitale è inevitabile. Per i miei progetti personali continuo a scattare praticamente sempre solo su pellicola. Mi piace molto che le mie fotografie vengano stampate. Amo la loro matericità. Per questo stesso motivo, quando presento il mio portfolio tendo a stamparlo piuttosto che a mostralo digitalmente. Toccare e immergersi negli scatti è diverso se avviene tramite una rivista piuttosto che attraverso uno schermo. 

Preferisci cogliere l’attimo decisivo oppure ammetti l’intervento del caso e/o dell’intuito? 

Seguo soprattutto progetti a scopo commerciale, quindi il lavoro è programmato, pensato e studiato. Ovviamente, mentre si lavora non tutto va come si era pensato inizialmente, quindi, il caso ha sicuramente un ruolo molto importante. Tendo, comunque, ad immaginarmi un mondo e poi a creare una composizione all’interno di quel mondo mentre scatto. 

Secondo me ci sono due modi di fare fotografia: aspettare di essere nel posto giusto al momento giusto oppure creare una situazione. Ogni aspetto della fotografia equivale a un lavoro diverso. Io, ad esempio, non saprei fare il fotografo di sport. 

In quanto fotografo di design e moda cerco l’angolo perfetto anche per la foto che sembra casuale o premeditata. L’idea e il concetto sono vitali altrimenti si perde la bussola. Credo che il 70% della fotografia avvenga nella testa. Con l’esperienza si è in grado con sempre maggiore facilità di immaginare il risultato finale di uno scatto o di uno shooting, ma perché sia così è necessario concepire l’idea che sottende al tutto già in partenza.

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Lavorando soprattutto su commissione ti confronterai spesso con idee e approcci differenti dal tuo. Che rapporto hai con il compromesso?

Ho capito con il tempo che scendere a compromessi è sbagliato. Se credo in un’idea, desidero portarla avanti fino in fondo, perciò, anche se le mie scelte possono sembrare azzardate, rischiose oppure in controtendenza rispetto al volere altrui, io combatto.

Come si fanno a fare foto personali nell’oceano di immagini nel quale navighiamo oggi?

È importante programmare e poi mentre si opera, farsi trasportare dall’istinto. Esistono dei trend e delle mode, ma per trovare un proprio punto di vista bisogna sperimentare, confidare nel caso ed essere creativi nei momenti in cui si è messi alla prova. Mentre scatto prendo decisioni rapide e l’adrenalina mi aiuta a tirare fuori il meglio. Opero come un regista e le dinamiche che si creano durante uno shooting dipendono da me, perciò, se io sono sicuro anche gli altri lo saranno e la fotografia che nascerà vedrà la giusta luce. 

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Segui anche dei progetti personali non a scopo commerciale?

Sì, prima della pandemia ero in viaggio almeno quattro mesi l’anno. Era liberatorio per me poter scoprire nuovi luoghi senza dover pensare al prodotto. Da tempo, mi reco in Africa subsahariana per capire come l’Occidente penetra nell’estetica e nel vivere delle persone del luogo. Molto spesso le immagini che ci giungono dall’Africa sono di reportage oppure tentano romanticamente di catturare gli ultimi residui di una dimensione ipoteticamente e autenticamente selvaggia. A me piace ciò che c’è di vero: la plastica ovunque, le magliette dei calciatori indossate dai bambini. Gli africani hanno una connessione molto forte con la loro corporeità e di fatti sono fotogenici senza sforzo. Le persone desiderano essere alla moda, essere ‘cool’. Questo loro desiderio mi affascina molto.  Quando fotografo per la strada, chiedo sempre il permesso. Non mi piace rubare gli scatti, perciò, parlo con le persone che immortalo, anche se poi mi chiedono cinque dollari per gli scatti. Va bene così perché fa parte del loro sentirsi considerati.

Photo Credits (c) Jeremias Morandell: (1) Dusk Icon; (2) Icon Design; (3) Wallpaper Texture and Icon Carrera; (4) Icon Design; (5) African Portrait and Artificial Landscape.

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