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December 19, 2020

Moreness in December. Giorno diciannove:
di un’estetica alpina

Ilaria Vetruccio
Ora che la montagna è sulla bocca di tutti, noi vorremmo riportarla semplicemente negli occhi e nei pensieri, collezionando osservazioni, riflessioni, appunti, annotazioni, che lei stessa ci ha ispirato. Partendo dai contenuti di Moreness, ma non solo, il nostro "more than Advent Calendar" arriva fino al 31 dicembre, e non è dunque né pre-natalizio né celebrativo, ma piuttosto un compendio corale di 30 brevi lettere d'amore per le nostre Dolomiti.

Un gran bel bestiario, quello degli uomini di montagna. Duri, spigolosi, temerari, instancabili, quasi sovraumani. Figuriamoci se poi ci sono io ad osservarli, adoratrice dell’orizzontalità fino a qualche anno fa, e che i primi passi li ho mossi davanti alle rassicuranti pieghe di una spiaggia nel sud Italia. Ho riservato sempre grande reverenza a queste figure umane alpine dalla corazza impenetrabile. Le ho iniziate ad ammirare curiosamente da lontano, per cercare di comprendere cosa spingesse questi esseri ad una tale fatica e privazione, solo per amore della conquista di una cima. Poi, tutto d’un tratto la curiosità ha fatto un balzo. É allora scattata in me la fatidica domanda: perché non provarci anche io? 

La mia montagna è stata un processo di educazione allo sguardo e di conoscenza reciproca. Un’esplorazione dello spazio piuttosto che una sfida contro i limiti. Io ho imparato a scorgere i suoi lati meno angusti, lei a mostrarmi dei segreti che a volte tiene celati a coloro che la praticano alpinisticamente. Così, nel tempo, certo ho conquistato una quantità considerevole di cime, ma soprattutto ho conquistato un nuovo modo di vedere e sentire. Un modo che è in parte privilegio di chi si approccia ad una realtà senza esserci cresciuto dentro. Di chi all’alta quota e al suo esclusivo galateo non è stato educato fin dalla nascita. 

Con l’aiuto di amici esperti ho iniziato a muovere i miei (secondi) primi passi sulle alture. E non c’è voluta che qualche ora tra i boschi e rocce per far germogliare in me una primordiale curiosità. Un passo dopo l’altro ho approcciato la montagna ricercando in lei un’estetica che, dopo dieci anni, non ho ancora smesso di indagare. Non un’estetica prospettica delle vette, nemmeno un belvedere spirituale. Non un fascino per l’imponenza dell’altezza e né un romantico sentimento del sublime. Ad ammaliare i miei sensi è stata invece la mutabilità estetica del reale che permea queste cattedrali di roccia, come uno spettacolo in costante costruzione di sé. La spinta verso le montagne l’ho trovata nel loro godimento sensoriale. Nella contemplazione che mette da parte la competizione. WhatsApp Image 2020-12-18 at 17.45.53

Da ormai dieci anni, posso dire, non con poca fierezza, di frequentare esteticamente le cime. Misurandole con i passi e misurandole con gli occhi, mi faccio guidare dall’osservazione lungo i loro sentieri. Ad ispirarmi e portarmi in cima sono i colori cangianti delle zolle di terra e i cambi di stagione che tingono l’erba. Lungo il tragitto metto a fuoco i profili delle creste e la durezza delle rocce. Corro con lo sguardo dietro ai rivoli che inaspettatamente emergono dal terreno e poi, dopo qualche metro, chissà dove vanno a cacciarsi. Tocco le contorte radici delle conifere e le pareti spigolose. Annuso i cespugli di rododendri e mi faccio rallegrare dalle forme arricciate dei funghi. Vedo le ombre delle nuvole che scorrono sui cespugli a valle con una velocità inaudita, che ti fa chiedere se il cielo della città può mai essere lo stesso. Hanno senza dubbio ragione coloro che dicono che ogni cosa, in altezza, si fa più intensa. L’intensità nel mio caso, va oltre quella dello sforzo fisico estremo, per fluire invece in modo naturale, nell’esplorazione dello spazio. Sondo e penetro colori, profumi, durezze, dimensioni, forme, densità, liquidi, flessioni, ruvidità, odori, ombre. I miei occhi diventano obbiettivi di macchina fotografica. Mi fermo, aguzzo la vista, metto a fuoco, decostruisco ogni diagonale di roccia, assemblo prospettive, cristallizzo percezioni alpine. Torno e ritorno sui miei passi, sulle stesse creste, negli stessi boschi, soltanto per sondarne il cambiamento di ombre, di intemperie, di stagioni. Chi l’ha detto che scalare le vette serve ad allenare le gambe e lo spirito alla resistenza? Chi l’ha detto che quelle che sono diventate ormai anche le mie personali Dolomiti, non siano anche una palestra per lo sguardo?

E comunque, per fortuna in montagna non ci sono mai andata da sola. Che, poeticamente persa a guardare nuvole, assaggiare la rugiada e ascoltare le marmotte, chissà poi dove mi avrebbero ripescata ogni volta. 

dolomiti 1

 SUGGESTIONI PER IL GIORNO DICIANNOVE:

* Montagne della mente, Robert Macfarlane (Einaudi)

* Cervino, Henri Maldiney (Tararà)

* Il ragazzo selvatico, Paolo Cognetti (Terre)

* Cambiare la vita in montagna, Paolo Costa, in MORENESS 01 – Above The Tree Line

 

Immagine 1: estratto da Moreness 01 – Above the Tree Line
Immagini 2, 3: Ilaria Vetruccio 

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