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June 26, 2020
Livre d’Or 05. Zum Riesen
Anna Quinz
La prima cosa, la stratificazione. Della storia che si racconta attraverso i muri, dei piani che si inseguono in altezza rivelando sempre nuovi segreti, del tempo che si alterna, tra presente e passato.
Dalla piccola porta incastonata nella pietra entriamo finalmente nell’antica dimora.
Qualche scalino e lo sguardo è chiamato in alto verso l’immenso affresco che veste il soffitto. I colori tenui della pittura, le increspatura delle vesti fluttuanti, uno spiraglio di cielo dipinto, la luce mistica irradiata dallo Spirito Santo… immediatamente un particolare senso di calma ci seduce e il silenzio è uno stato d’animo più che un dato di fatto.
È qui, nel primo piano ampio e antichissimo che inizia il nostro cammino a ritroso. Nella Stube di legno riscaldata dalla stufa, nella sala da pranzo in cui il bianco domina lo spazio interrotto solo da contrastanti tocchi di nero e di velluto rosso. Il tempo non ha mutato la natura arcaica della casa e i pensieri ristoratori dei viandanti e dei pellegrini che secoli fa passarono di qui si possono ancora sentire distintamente nelle invisibili crepe delle mura di pietra.
Saliamo la scala e il secondo piano ci riceve con un grande pianoforte muto, il sole del pomeriggio che si fa spazio e le porte aperte come braccia accoglienti che chiamano in un abbraccio ammaliatore.
Girovaghiamo seguendo la linea precisa del corrimano che delimita il cammino e ci lasciamo condurre dal fruscio di un cuscino ricamato, dal profumo di un vaso pieno di fiori di campo, da una tenda che svolazza nell’aria ventosa della valle, da un particolare scricchiolio del vecchio legno sotto i nostri piedi. È un moto circolare che ripetiamo più e più volte, di porta in porta, di stanza in stanza. Siamo soli oggi e possiamo concederci questo generoso lusso privato. I nostri passi peregrini e attenti, quasi non volessero svegliare il sonno secolare di chi prima di noi ha abitato questi spazi, tracciano il percorso. E come fosse destino, si placano solo al cospetto di quella porta incastonata nel bianco: sarà qui il nostro rifugio, per questa notte.
Chiusa la porta dietro di noi prendiamo le misure dei nostri corpi nello spazio. La luce è infinita, chiara e limpida, come solo al cospetto delle scure cime alpine. I mobili antichi bisbigliano tra loro e noi ci ritiriamo discreti nel silenzio, per non disturbare il loro chiacchierio.
Un divano verde, un fregio pastello alle pareti, la biancheria immacolata sul letto, le abat jour rosa, la nobile e orgogliosa stufa in maiolica, il legno chiaro del pavimento consumato dal vivere, il legno scuro dei mobili, il nero di un pianoforte appoggiato alla parete: è il dialogo tra colori, nella sua retorica perfetta, ad incantare. Gli occhi per primi, ma poi anche le mani, i piedi, la testa. E dopo aver guardato, toccato, sentito, assaporato ogni dettaglio, il nostro nido ci invita a fermare il moto ondoso del corpo e del pensiero, ad accomodarci e finalmente riposare.
Con le note lontane di un pianoforte a far da punteggiatura, riprendiamo il cammino. Siamo pellegrini in questa casa, come lo furono tanti prima di noi. C’è ancora altro da esplorare, lungo questa rotta in ascesa che ci conduce di secolo in secolo, di piano in piano. Quassù, in cima, è l’oggi ad aprirci le porte. Un nuovo strato, una nuova pelle, si innesta sulla storia e lascia traspirare una luce ancora diversa. Slanciate linee verticali di legno delimitano l’incontro tra dentro e fuori e una terrazza dalle ombre lunghe offre ospitalità a nuovi riposi.
La sera scende indolente. È il solstizio d’estate e la luce duella fino all’ultimo respiro, per non cedere il passo alla notte.
Quando ormai nel piccolo borgo ogni brusio si è spento e la montagna rilancia nel vento il suono remoto delle campane al pascolo, ci lasciamo andare anche noi al torpore delle ore orizzontali. Tutto in questo letto è nostaglia. E in essa ci crogioliamo, immaginando altre notti che altri viandanti hanno passato nel suo ventre caldo, forse ascoltando, prima di assopirsi, i racconti di lunghi e perigliosi viaggi attraverso le irte montagne. A risvegliarci, il borbottio del vento. Ci vuole desti, il suo messaggio è chiaro. È tempo di riprendere la via, questa volta in discesa, verso il ristoro della colazione. La tavola imbandita è pura delizia. Il rosso carnoso delle fragole, dei lamponi e del ribes di bosco, il bianco assoluto dello yogurt di montagna, il carminio marmorizzato dello speck, l’arancio caldo delle albicocche della valle, l’oro voluttuoso delle mele. Di nuovo i colori discorrono tra loro e con noi, raccontandoci di campi coltivati, mani operose e primizie rurali che aspettano solo di essere addentate. Il contrasto tra questi tesori della natura e il servizio in fine porcellana oro e blu in cui sono riposti con cura, è magnifico. La nostalgia torna a bussare, in un languore squisito.
È ora di andare, un viandante non può fermarsi troppo a lungo, anche se lo vorrebbe. Lasciamo lo storico rifugio dietro di noi, ma voltiamo ancora una volta lo sguardo: un gigante, dalla parete esterna della casa, sembra voler indicarci la via. Seguiamo il suo invito e, già nostalgici, ci incamminiamo.
Grazie. Siamo stati bene qui.
Zum Riesen
Historic Refugium
Via Carpoforo 1
39021 Tarres, Val Venosta
zumriesen.it
Foto 1: Anna Quinz
Foto 2, 3, 4: Damian Pertoll
Foto 5: Franziska Unterholzner
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