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January 3, 2017
«Poesia e arte come costitutivo essenziale di un intorno sociale.» #beARTiFUL e il workshop con ivan
Claudia Gelati
Adesso che è passato il capodanno e abbiamo dato il benvenuto a questo 2017, tutte queste decorazioni e lucette colorate ci danno un po’ la nausea e puzzano già di vecchio. Ma gli input creativi e i progetti, quelli non invecchiano e non stancato mai. Li puoi riesumare e raccontarli quando vuoi. Non appesantiscono come il panettone e non scadono con l’imminente arrivo di quella vecchia che da me chiamano befana. Dunque oggi, agli albori di questo nuovo anno, mi trovo a scrivere di una piacevole chiacchierata pre-natalizia con Massimiliano Gianotti di Vintola18, Frida Carazzato e Roberta Pedrini di Museion e ivan, poeta di strada + artigiano della vernice e protagonista del primo evento-workshop di #beARTiful, appunto.
Quando, come e perché nasce #beARTiFUL?
Massimiliano: #beARTiful nasce nel settembre 2015, dall’incontro di due realtà formalmente diverse come il Centro Giovani Vintola e il Museion, sostenuto dall’Ufficio Giovani della Provincia Autonoma di Bolzano. Uno degli obbiettivi che ci siamo posti sin dall’inizio è stato quello di aprire il centro giovani a nuovi ragazzi, veicolando anche il senso stesso di uno spazio giovanile come uno spazio aperto che si può utilizzare come più si preferisce. Anche se soffriamo un po’ della scarsa visibilità della location, l’attività è costante e quotidiana. Il centro è sempre molto frequentato da bambini e ragazzi che qui svolgono attività di doposcuola, però lo spazio in sé ha le potenzialità per ospitare progettualità sempre più ampie e complesse, dato che ha diversi spazi come il teatro, le officine di sperimentazione professionale e la palestra.
Le nostre esigenze sono sia esprimere queste potenzialità inespresse, ma anche relazionarsi con tutto quello che esiste già in città, come le attività di altri gruppi ed istituzioni.
Filo rosso del progetto è dunque un forte richiamo al senso del bello e al fare cose belle. Ci rivolgiamo a chi ha voglia di esprimersi, dando sfogo alle proprie aspettative, interagire costruttivamente con il contesto e in questo senso Museion ha sposato la nostra causa.
Frida: Noi invece, come Museion, siamo partiti due anni fa con il progetto europeo “Museum as a tool box”, che ha visto la partecipazione di cinque musei europei, tra cui Museion appunto per rappresentare l’Italia. Il focus era proprio la relazione tra il museo di arte contemporanea e i giovani tra i 15 e i 25 anni. Il progetto in sé ha una durata triennale, però poi sta ad ogni museo continuare a portare avanti il discorso; dunque nel momento che il Centro Giovani Vintola ci ha dato la possibilità di aprire una nuova progettualità, l’abbiamo visto come un modo per proseguire questa esperienza. Purtroppo oggi, i musei vengono percepiti come torri d’avorio, ambienti esclusivi, ma in realtà si tratta proprio del contrario, di ambienti inclusivi. Abbattere le barriere di paura e scetticismo nei giovani rispetto ai musei, è una riscoperta del valore sociale dell’arte.
Roberta: #beARTiful si prefigge anche di creare una sorta di abitudine al luogo Museo, oltre che naturalmente al Vintola, e quindi creare con questi ragazzi un rapporto privilegiato, d’affezione con questi spazi: far si che si crei questo gruppo di ragazzi attorno al museo e che essi stessi lo percepiscano come uno spazio proprio e che sfruttino tutte le possibilità che un museo di arte contemporanea e le sue professionalià all’interno possono offrire.
In che modo si può partecipare e a #beARTiFUL?
Massimiliano: Il progetto #beARTiFUL non ha un’iscrizione fisica, si può seguire attraverso i social o concretamente da tutte le sue tappe; #beARTiFUL prevede diverse iniziative, eventi, workshop con l’obiettivo di creare un network di giovani appassionati ai linguaggi contemporanei che possano sfruttare al massimo gli spazi e le professionalità che li caratterizzano. In questo senso è molto aperto, solo i workshop sono su iscrizione, per ovvi motivi organizzativi.
Come si declina il progetto #beARTiful nel primo workshop “Dare la parola” con ivan?
Massimiliano: Se per Museion è stato il progetto “tool box” ad avviare il discorso giovani e museo, per noi del Vintola18 invece ad ispirarci, anche se in forma indiretta, è stato un altro progetto: “Make it visible: contemporary arts residence for youth”, un percorso realizzato dalla Cooperativa 19 e con Sineglossa Creative Ground –una realtà marchigiana– che insieme hanno utilizzato gli spazi del Vintola18 per un campus creativo della durata di dieci giorni e dove un gruppo di 12 ragazzi ha potuto seguire tre moduli legati ai linguaggi contemporanei: progettazione artistica, fotografia e storytelling. Al termine avevano la possibilità di realizzare i loro progetti individuali che confluivano poi in una mappa inedita della città e l’applicazione Artwalks. Ma aldilà dei dettagli tecnici del progetto, la cosa che abbiamo visto funzionare e ci ha stupito parecchio è stata la grande partecipazione dei giovani che, richiamati da proposte di valore, contenuti e forti aperture rispetto alla partecipazione sociale, sono rimasti entusiasti dell’esperienza. Nasce da qui il primo abbozzo di #beARTiful e per questo motivo abbiamo pensato di coinvolgere un artista come ivan, in grado di intercettare queste istanze.
“Dare la parola” è il nome del Workshop, ma è anche qualcosa di più… [diamo fisicamente la parola ad ivan]
ivan: Si, intanto la produzione di poesia e arte-urbana pubblica è sempre una produzione dialettica, quindi negli anni abbiamo avuto una direzione in cui agenzie di socializzazione e costruzione della cosa pubblica sono state attratte da ambiti d’élite e quindi molto spesso per una popolazione “pop” [nell’accezione di popolare, ndr] diffusa, un museo è percepito come un elemento di lontananza. In verità è nei musei, nei caffè e nelle piazze che nasce la produzione di società e di sapere. La tesi che mi è stata proposta abbraccia in pieno quello che da qualche anno porto avanti come autore: una dimensione molteplice e dialettica dell’arte, della scrittura e delle poesia, nel senso vero e proprio di porre tesi, antitesi e sintesi. Schema che, tra l’altro, non è molto distante da quello che si va a proporre in questo luogo.
Inoltre per me questo è un territorio nuovo e siccome non esiste pratica senza agirla, la mia rilevanza in un territorio come questo è nulla. In realtà per me è un onereonore, poiché sono loro che fanno un favore a me …però non glielo diciamo [ride].
“Dare la parola” significa produrre significati e contenuti, ma anche ritrovare una precisa dimensione di coesione, relazione e tutela. Una volta le parole volavano e gli scritti rimanevano, ma è anche vero che è attraverso la parola che noi abbiamo costruito la possibilità poi di scriverla la stessa; quindi “Dare la parola” vuol dire anche prendersi un impegno. Un impegno di pratica relazionato ai luoghi associativi e sociali e altrettanto, come voi ben accennavate, di appartenenza al museo. Il museo che è un luogo cittadino e pubblico e, come tale, dovrebbe essere centrale nella vita di un ragazzo.
Come nasce la tua passione per l’arte e qual’è stata la tua formazione?
ivan: Io scrivo poesia che è una cosa che tutti facciamo e credo che se trovi una parola dove il silenzio ti obbliga a mettere un punto, hai scritto un’ottima poesia. Quindi credo che la produzione di poesia e di arte, prima di essere un esercizio, una funzione di sistemi, è un respiro sociale. Tutti noi siamo poeti. Tutti noi siamo artisti, nella forma bastarda –e lo dico in “volgare”, cioè nella lingua del popolo, del volgo–. Io ho avuto la fortuna, intorno al 2000, che alcune pratiche di impegno sociale si mescolavano alla necessità di dover affermare in strada una serie di contenuti. Contenuti che, nel mondo della street art e ancor più in quello della poesia di strada e in generale in quello del graffitismo e delle forme iper-contemporanee di arte, sono eccessivamente critici (produzione di contenuto critico) o pressoché inesistenti. In questo senso, abbiamo anche pochi riferimenti in materiale da cui attingere.
[Parlando della sua esperienza personale] Diciamo che è stato un insieme di cose: io non credo di fare qualcosa di diverso da altre persone comuni. Quando mi dicono che faccio l’artista, io dico che sono un artigiano e credo che la continuità di quello che facciamo oggi è posta nel 400 italiano: la creazione di società si fa coincidere con la nascita della scrittura. Io non ho inventato in verità la poesia di strada, come purtroppo talvolta mi viene detto. La poesia in strada c’è sempre stata ed io la produco perché è in stato di emergenza, perché manca attualmente. Quindi il nostro approccio è stato quello di una generazione artistica molto poco capace, molto poco accademica, con grossi limiti. Siamo tutta gente che si è dovuta mettere a studiare, per raggiungere un livello di artigianalità, e quindi di artisticità, soddisfacente.
Sui contenuti invece diciamo che sono state l’arte e la poesia che si sono avvicinate a noi come sistema culturale.
Sono sicuro che tu produci un’ottima arte e un’ottima poesia; allo stesso modo un ergastolano calabrese produce un poesia, magari sgrammaticata e assente di forma, ma evocativa.
Poesia e arte come costitutivo essenziale di un intorno sociale. Non può esistere società senza scrittura. Non può esistere società senza arte; anzi l’arte è l’espressione fenomenologica dell’esistenza di una società. Purtroppo noi abbiamo invertito: siamo il paese che più stampa libri di poesia, meno ne legge. Abbiamo un’arroganza nel pensare che l’arte ha valore solo se ha una rilevanza sociale o critica: e questo è una storpiatura, un provocazione. Quindi per me la dimensione del lavoro che faremo con il workshop è tutto questo.
Poi la parola è per un poeta, e per tutti noi, sono i colori primari. La lingua italiana è una lingua latina e romanza, come il francese e lo spagnolo; la lingua tedesca ha subìto per esempio alcune mutazioni linguistiche ed è una lingua che nell’italiano si ritrova. Noi siamo abbastanza pop, come intentava lo stesso Keith Haring, cioè che veniamo da forme di espressione popolari e al popolare ci riferiamo.
A differenza di alcuni ragazzi che scrivono sui muri, magari anche illegalmente, tu porti la poesia in strada. Poesia che per secoli è stata considerata legittima proprietà degli ambienti alti. Potremmo definirti un outsider in questo senso?
ivan: La poesia è la prima arma di militanza di un ragazzo, è un grandissimo elemento di conflitto nella “cosa pubblica” … Ma forse, se mi dici questo, forse non sto lavorando molto bene. [ride]
Diciamo che chiamare street art un movimento di scrittura nelle strade è una semplificazione, e per questo userei una parola italiana che è arte urbana. Io non faccio un lavoro diverso da Jenny Holzer che mi precede, come non faccio un lavoro diverso da quello che fa uno scrittore vernacolare del 400. Un esempio può essere “viva verdi”, visto che Bolzano è stato uno dei fari della questione dell’identità nazionale italiana. Gli italiani durante il risorgimento, uscivano di casa e scrivevano viva verdi (viva vittorio emanuele re d’Italia) sui muri. Bolzano è piena di street art: l’abbiamo visto prima un palazzo, solo che è del 1700.
Occore dunque ricercare la minore semplificazione possibile: un writer è già diverso da un graffitista vandalico ed è differente da un’artista pubblico ed è ancora differente da un artista pubblico. Tu hai detto che fanno anche interventi illegali: io scrivo illegalmente in strada con il mio nome e poi faccio “Pagina Bianca” in Piazza Duomo, come ho dipinto illegalmente in Piazza Fontana; perchè la tutela dell’illegalità non è una questione di legge: tu non rubi un cellulare per un aspettativa sociale, non perchè conosci il 4.41 del codice penale sul reato di rapina/furto.
La tutela di un artista, di un tratto espressivo, sopratutto se stai in strada, la determinano la legittimità collettiva di chi sta intorno, che passa da un museo alla casalinga di Bolzano, dal pazzo, dal profugo, dal migrante, dall’esperto, dall’ignorante.
Però io personalmente non reputo arte, ad esempio, “Gianna ti amo” scritto su un muro…
ivan: Io si … o meglio credo che ci siano due tipi di arte. Però la mia è solo un opinione. Io credo nello “stressare l’argomento”. Intanto gli artisti sono sempre stati artigiani. Noi oggi, con l’arte contemporanea, abbiamo la fortuna di fare cose complesse con scarsa fatica. Secondo me la forma più onesta e ontologica di espressione è quella povera. Anzi esisteva un’arte che era subito fatta e povera negli anni ’60; il movimento che in questo periodo ha maggiore esposizione è un movimento di arte urbana, un movimento che addirittura parte già della Factory di Warhol e in buona parte nelle strade della New York di sotto. Basquiat noi diciamo che è un writer, ma non c’è cosa più lontana: lui scriveva solo in giro frasi firmandosi SAMO, acronimo di “Same Old shit”. Manzoni, secondo me, ha valore non perché formalizza un’opera bella. Io scrivo cose brutte in strada a livello estetico: “chi getta semi al vento farà fiorire il cielo” ha un valore di contenuto, ma è scritta male; ha avuto valore perché è stata rilevante in una certa quantità di intorno. Come un bidè in una galleria dei primi del ‘900 [Duchamp, ndr]. Secondo me qualsiasi cosa che ha una rilevanza da più uno diventa una forma d’arte:
Già se tu mi leggi una poesia, sei una poetessa. Poi la certifica di un sistema, ti fa lavoratore-artista. La produzione di arte non è più vincolata all’artigianalità e alla quantità di bello, ma abbiamo capito che riguarda la quantità di rilievo di quel bello che tu proponi.
Se Pistoletto venisse qua oggi e con 300 persone intorno e una penna scrive “Gianna ti amo” quella diventa opera. E deve essere così, perchè pistoletto ha un percorso di pratica che lo precede, in un sistema in cui si produce cultura. Però a livello formale, quando la gente va via e i flash non luccicano più, fa differenza se “Gianna ti amo” è scritta da un povero, da un ricco, da un nero da un bianco? Se passi davanti a “Gianna ti amo” di Pistoletto e non ti emoziona per te è un’opera? Se passi davanti a “Gianna ti amo” scritta in strada e ti emoziona quella è un’opera? Io le risposte non le ho. Però io non ho studiato arte. Io ho la quinta liceo scientifico. Ho fatto sociologia e non ho mai voluto depositare la tesi e di mestiere faccio … In realtà più di quello che sono, so con certezza quello che non sono e che non voglio essere.
ivan è una di quelle persone che ascolteresti per ore, perché riesce a passare con agilità e destrezza da Dante Alighieri a Mimmo Rotella. Salta tra i secoli e trasmette l’entusiasmo per quello in cui crede. Dunque quali sono un po’ le vostre aspettative per questo primo evento e in generale per il futuro?
Massimiliano: In primis ci auguriamo che attraverso il lavoro di ivan, si possa creare un gruppo effervescente in grado di avviare progettualità durevoli nel tempo. Inoltre speriamo che gli stessi partecipanti reiterino un po’ i valori su cui è stato fondato il progetto e divulghino questa opportunità di interazione nel contesto in cui vivono.
Frida: E poi sicuramente … togliere i cliché sulla percezione dei Musei e dei Centri Giovanili. Alla fine #beARTiFUL è uno spazio, che vogliamo riempire con tante cose belle.
A dicembre si potevano solo immaginare o sperare esiti positivi per il workshop, ma oggi li possiamo constatare con certezza. Importante è aggiungere, come ci tiene a sottolineare Massimiliano in questi primi giorni di Gennaio, che nel 2017 il progetto #beARTiFUL proseguirà con il gruppo formatosi durante il workshop con ivan; il prossimo appuntamento sarà infatti un modo per rincontrarsi a distanza di tempo dal laboratorio e sopratutto per co-progettare insieme ai ragazzi le prossime iniziative, per rendere il percorso più vicino, se possibile, ai loro interessi. Sempre aperta rimane la strada delle collaborazioni, magari con importanti artisti che vorrebbero incontrare.
Foto: Museion, Vintola18, ivan
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