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June 4, 2014

Walter Zambaldi nuovo direttore del Teatro Stabile di Bolzano

Anna Quinz
È stato appena nominato successore di Marco Bernardi alla direzione del Teatro Stabile di Bolzano. Visto che noi lo conosciamo e già ne avevamo capito il potenziale, seguendo la sua carriere teatrale di successo, rilanciamo oggi questa intervista, per permettervi di rinfrescarvi la memoria e iniziare a conoscere meglio Walter Zambaldi, nuovo direttore del TSB.

Il teatro, quando chiama, chiama. Può succedere anche a un bimbo tra gli 8 e i 13 anni, che alla Colonia 12 Stelle di Cesenatico, in una “semidittatura paramilitare” (parole del bimbo in questione) decide di inventarsi un modo per trasgredire, per divertirsi, per inventare un mondo parallelo o per rappresentarlo con i mezzi a disposizione. E infatti, è proprio quello che è successo a Walter Zambaldi, bolzanino classe ‘75, che da quella fuga di bambino in poi, con il teatro si è legato per la vita. Ai primi passi professionali al Teatro Stabile di Bolzano, seguono una quantità di spettacoli fatti con i “pezzi da novanta” del teatro italiano, da Paolo Rossi a Moni Ovadia, da Alessandro Haber a Giorgio Albertazzi. Fino a sbarcare, a Rubiera (RE), a La Corte Ospitale, centro di produzione, formazione e ricerca per il teatro, dove è direttore dal 2005. Qui, oltre che dell’aspetto artistico, si occupa anche di far quadrare i conti perché, dice “non ci si può occupare di teatro senza occuparsi anche della possibilità di poterlo fare, quindi anche dell’aspetto economico”. Dei tanti incontri fatti in 15 anni di carriera, Walter ha “amato chiunque avesse un’urgenza e la necessità di fare poeticamente e onestamente questo lavoro” e ha invece “detestato e detesta chi non ci prova nemmeno o lo dà per scontato senza responsabilità”. Se per molti (troppi) il teatro è puro svago, per Walter è invece, appunto, una questione di onestà e responsabilità. Ecco perché dal ‘99 realizza con i detenuti della casa circondariale di Bolzano un laboratorio di scrittura scenica. Una vita intera dedicata al teatro, nelle sue forme più varie, perché il teatro evolve continuamente e se non vuoi perderti, devi evolvere con lui. Questo ha fatto, da Cesenatico in poi, Walter Zambaldi, con “curiosità, ostinazione e ovviamente una discreta dose di…”.

Ha lavorato con alcuni dei più importanti nomi del teatro italiano, qualche aneddoto gustoso?

Durante le prove di qualsiasi spettacolo la situazione è di sospensione e nervosismo, quindi carica, ed è sempre molto facile in un sistema di relazioni chiuso come questo, che si arrivi alla comicità involontaria o al vero e proprio assurdo. Un aneddoto per tutti tra i pochi raccontabili, un po’ da vitelloni un po’ zingarata: per vedere una partita di calcio, un noto attore si è posizionato davanti a un edicola nel centro di Pisa e a ogni cliente che passava chiedeva se possedesse l’abbonamento a Sky. È finita che siamo andati tutti a casa del simpatico malcapitato che ci ha preparato la cena, mentre noi decimavamo la sua cantina di vini, in un clima da gita scolastica. Oppure a Genova, quando due rispettabilissimi intellettuali di mezza età, a notte inoltrata, hanno iniziato a suonare i campanelli e scappare.

Come è nato il progetto di scrittura scenica nel carcere di Bolzano?

Undici anni fa la coordinatrice dei progetti della casa circondariale di Bolzano, Franca Berti, mi ha chiesto di lavorare con i detenuti, ho accettato immediatamente. Alcune cose le cerchi e contemporaneamente ti capitano. Da allora il progetto è cresciuto molto. È diventato un appuntamento fisso della mia vita, negli anni ho conosciuto delle persone straordinarie.

Com’è lavorare “dietro le sbarre”?

Il carcere è costrizione, la costrizione fa emergere un sommerso di umanità che fuori dal carcere è impensabile. È sprofondare in un luogo fuori dal tempo, blindato, senza contatti con l’esterno. Io per fortuna finito il laboratorio esco, ma i detenuti restano dentro. Si innescano dei meccanismi di racconto reciproco che credo siano impossibili altrove. È una realtà estrema, senza voce, volutamente oscurata, piena di contraddizioni e soprattutto, è un termometro del grado di civiltà di un paese. Al di là del luogo comune che chi è in carcere qualche reato l’ha commesso (anche se ci sarebbe da dire qualcosa anche a questo riguardo), sarebbe più interessante capire profondamente quanto una struttura carceraria sia riabilitativa piuttosto che punitiva e quanto sia incivile negare la dignità a un essere umano. Soprattutto perché prima o poi, volenti o nolenti, emerge tutto in modo violento e diretto, e si riversa nelle nostre città.

Con un occhio un po’ interno e un po’ esterno, come vede la situazione teatrale nella sua città?

La provincia da un lato opprime e soffoca, dall’altro salva e protegge, tanto più una provincia di confine come la nostra. La situazione teatrale, anche a Bolzano, mi sembra in continua evoluzione. È facile riconoscere chi riesce a trovare un equilibrio e chi si adatta al pianerottolo, chi prova a capire cosa succederà tra 5, 10, 30 anni, e chi passa le giornate a fare riunioni di condominio.

Se dovesse creare uno spettacolo teatrale che parli di Alto Adige, per un pubblico non altoatesino, come lo costruirebbe?

Un campanile con molte persone aggrappate, vicinissime, ammucchiate. In cima un cuoco mefistofelico che versa canederli e krautsalat sulla bolgia. Scherzi a parte, ci sono infiniti testi teatrali e spettacoli che sembrano scritti per la realtà altoatesina, anche se sono stati scritti da persone che magari non conoscevano affatto l’esistenza di Bolzano e del Sudtirolo. A volte è assurdo pensare di essere particolari…

Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 26 febbraio 2012

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