Diario semiserio di un musicista fuori sede #15. Treni in corsa, Zimerman e polpette

Potrebbe darsi che sia il tornare a Bolzano che mi stimola a scrivere.
Potrebbe darsi che i tempi morti e il clima più riposato che si respira in una casa non invasa da polvere e formiche stimoli l’intelletto.
Potrebbe darsi che i tempi morti in treno favoriscano il fluire delle idee su cui poi baso gli articoli.
E infatti, eccomi qua, su un regionale veloce, a scrivere un testo sul pad sperando poi di riuscire a passarlo in qualche modo sul pc senza problemi. Mentre abbandono le montagne chiedendomi se posso davvero considerarle mie ormai, mi stringo nel mio sedile cercando di non tirare gomitate a quello seduto affianco a me e di confezionare una pagina di diario che abbia almeno la pretesa di avere un senso. È stata una settimana intensa. Principalmente per gli spostamenti.
Lunedì catastrofico, degno della secolare fama di ogni lunedì, giornate passate ad osservare le prove di Antony Baryshevsky, il candidato del Concorso Busoni di cui più volte ho scritto, che in questi giorni sta affrontando con notevole successo il Rubinstein di Tel Aviv, una toccata e fuga a Roma con la mia fanciulla Aurora ad ascoltare un concerto del mio grande amore, in barba alla gelosia della sopracitata Aurora, il pianista Krystian Zimerman che si è esibito in un concerto meraviglioso al Parco della Musica, undici ore di treno distribuite fra due giorni per fare questa follia, appena tornato prove e saggi nei giorni successivi, inseguendo lo studio in aule con temperature ingestibili nella sede staccata del conservatorio.
E infine oggi, elezioni europee, ritorno in tarda serata di ieri, partenza in tardo pomeriggio di oggi (è ancora domenica quando scrivo), con nella saccoccia tutti i pensieri che ogni mio ritorno a Bolzano si porta dietro e una buona dose di polpette che fungeranno da pranzo nei giorni a venire.
Ma direi che è meglio raccontare dall’inizio. O meglio, saltiamo quel disastroso lunedì, sperando che domani sia un lunedì migliore. Ma si sa che son spesso vane speranze.
Grande sorpresa per il viaggio a Roma insomma! Avevo convinto Aurora che saremmo andati a Bolzano, già le decantavo le verdi vallate e le sagge montagne, e invece eccoci a salire sul treno per Roma, con veloce comparsata dei due fratelli Armellini, Leonora (pianista) e Ludovico (violoncellista e cazzeggiatore professionista), che avremmo rivisto poi la sera a Roma. E dunque via, cinque ore e mezza di treno, caldo, esimi sconosciuti che chiacchierano a caso, libero sfogo ai miei pensieri in forma vocale, per una volta che posso tormentare qualcuno durante i viaggi. E in stazione a Roma Termini, ecco Antonino Fiumara detto Nino, pianista anche lui nonché uno dei miei più cari amici, ad attenderci e farci fare un giro in macchina nel caldo pomeriggio romano. Quasi non mi capacito di come sia scorso il tempo quel pomeriggio, finito in un attimo, già sera, già di corsa a cercare di ascoltare Leonora e Ludovico suonare, senza riuscirci causa cambio di orari, e poi a girovagare in mezzo a violoncellisti e musicisti a caso, mentre sempre più gente si radunava ad ascoltare Zimerman e il segreto del concerto serale veniva, involontariamente, svelato ad Aurora fino a quel momento ignara di tutto da una ciarliera e distratta Leonora. E poi il concerto.
Il primo momento in cui sono entrato al Parco della Musica sono rimasto disorientato. È enorme. Abituato come sono ai modesti auditorium, trovarmi in una sala così immensa mi sembrava quasi impossibile. Non sto poi qui a raccontare del concerto. Fosse un articolo su un evento del Bolzano Festival Bozen, mi dilungherei su tutto ciò che ho notato e discusso e tutto ciò che ho provato durante quel concerto. Penso di poter glissare amabilmente su tutto tranne sul fatto che Zimerman è ancora più immenso dell’auditorium in cui suonava e che le mie aspettative, coltivate da mesi e mesi di ricerche e desideri, sono state più che soddisfatte. Ma dal concerto posso uscirmene con una massima generale:
“Se da una sala di concerto venissero cacciati i tubercolotici, i teatri non staccherebbero più di dieci biglietti a botta”.
Semplicemente ingestibile. Esigo una spiegazione scientifica sul coro di colpi di tosse che puntualmente accompagna i concerti, con attacchi ben studiati nei momenti di massimo pathos ed emozione, con fughe e processi imitativi con pochi paragoni nei più grandi maestri classici, con armonie ardite e mirate allo stupore e al fastidio, nella contemporanea ottica di infastidimento dell’ascoltatore, imperante nei brani più d’avanguardia. Concerto per pianoforte, pianista illustre e coro di agonizzanti misto.
Geniale.
Finito il tutto, comunque, è la volta della regolare coda per ottenere un autografo dal buon vecchio Krystian e la sua affascinante barba canuta. È stupefacente l’abilità di quell’uomo nel regalare autografi al mondo. Sono fermamente convinto che si eserciti più nello scrivere autografi che non al pianoforte, ambidestro, capace di scrivere in ogni posizione, senza sostegno per i programmi di sala e gli spartiti schiaffatigli in fronte, munendosi di tutto l’equipaggiamento necessario, come un pratico pennarello verde per scorrere liberamente e passare ad un nuovo fan implorante. È da questo che si vede il professionista.
Finito anche quello, eccoci in giro per Roma, con gente conosciuta quella sera e subito stampata per sempre nella mente, in una serata di rara bellezza e che spero di portarmi dietro per molto molto tempo. La mattina dopo, giusto il tempo di risvegliarsi a casa di Nino, che c’aveva ospitati, che già dovevamo scappare in stazione a farci altre cinque ore e passa di treno, questa volta anche in compagnia di Leonora e una sua amica, altra pianista conosciuta la sera prima, Chantal Balestri. Viaggio a dir poco delirante, fra casi umani sedutisi vicino a noi, panini e caldo terrificante. Ma alla fine tutto scorre e Padova è finalmente riapparsa, dopo quella che è stata una delle esperienze più belle e divertenti, oltre che ovviamente stancanti, che abbia fatto, ma anche una di quelle da fare, che vale davvero la pena di vivere. Prossima volta proverò a togliere anche il sonno e vedere cosa succede a girare per Roma o chissà dove fino alla mattina del giorno dopo. Io scommetto per una crisi di allucinazioni.
Ora, potrei andare avanti a raccontare cose più noiose, prove, studio, saggi, tendiniti del mio violoncellista, ma ormai si avvicina la prova di domenica sera di Antony e penso proprio che mi eclisserò nel vano tentativo di far connettere il mio tablet su un treno in corsa.
Strana pagina di diario questa, forse la prima in cui racconto più propriamente qualcosa, senza dilungarmi in riflessioni o tentativi di ridicolizzare le cose per strappare un sorriso ai miei soliti tre-quattro lettori disperati. A tutti voi che siete riusciti ad arrivare fino a queste righe (notate il mio speranzoso uso di un plurale), i miei più sinceri complimenti!