Culture + Arts
April 24, 2014
Augias a Bolzano per il Festival delle resistenze: “In Italia confondiamo la libertà con la licenza”
Marco Bassetti
L’analisi di Augias è impietosa. Scandendo i concetti e le parole con quel suo modo tipico cui ci ha abituato in più di trent’anni di giornalismo televisivo, delinea il ritratto di un paese – il nostro – schiacciato dalla crisi economica, sorretto da una democrazia fragile e incapace di interpretare il valore autentico della libertà: “Se intendiamo la libertà come rispetto dei diritti e dei doveri, siamo un popolo decisamente carente”. Ma individua anche una direzione forte lungo cui individuare una via d’uscita: valorizzazione del patrimonio storico-artistico. “Abbiamo una delle tradizioni culturali più gloriose non solo d’Europa ma del mondo e questo deve essere un motivo forte d’orgoglio nazionale”. Ma partiamo dal tema dell’incontro…
Ritorno dei totalitarismi in Italia e in Europa, ci aiuti a inquadrare la questione.
Questo fenomeno è legato fondamentalmente a due fattori: la crisi economica da una parte e la disillusione nei confronti dell’Europa dall’altra. Questi due fattori combinati hanno suscitato una reazione, una posizione psicologica ancora prima che politica che ha favorito il ritorno della destra, il ritorno a vecchi miti, la tentazione a ripararsi entro antichi rifugi. Tutto questo cade in un periodo molto delicato della nostra storia nazionale che coincide con la fine di Berlusconi e con delle elezioni che si annunciano molto complicate.
Una situazione per nulla semplice.
Sì, c’è molto da fare. Da una parte occorre portare avanti un discorso storico, che ponga attenzione sul significato e sui valori della Resistenza in Italia. Dall’altra parte occorre impostare un discorso contemporaneo che cerchi di capire che momento stiamo vivendo.
L’Italia infatti sembra trovarsi più esposta al diffondersi di questo tipo di fenomeni, quali sono le ragioni?
È una domanda cruciale. Siamo più esposti perché abbiamo una democrazia fragile e una minore abitudine storica all’autogoverno, aspetto questo che ad esempio in Inghilterra e in Francia è radicatissimo. Dall’altra parte c’è il caso della Germania, un paese che ha attraversato una vicenda tragica come la nostra, e anche di più, dal ’33 al ’45… La Germania però ha fatto un esame di coscienza “alla tedesca”, molto rigoroso, e questo processo ha portato ad una democrazia che oggi appare molto solida. L’Italia ha invece tradizioni democratiche più fragili e più recenti, più suscettibili di essere lesionate dalla crisi.
In tutto questo c’è però anche da dire che la sinistra italiana non è stata in grado di proporre un modello forte e convincente, capace d’interpretare con forza i problemi del presente e di contrastare il diffondersi dei populismi, non crede?
Non vorrei dare al mio intervento un’impronta troppo politica, preferirei cercare di disegnare un arco vasto del periodo che stiamo attraversando. Comunque le posso dire che reputo Renzi un giovanotto avventuroso… vediamo quali promesse sarà in grado di mantenere. Sicuramente però ha dato una scossa, una scossa forte che del resto l’opinione pubblica ha registrato. Per la prima volta da tanto tempo il partito che Renzi bene o male rappresenta risupera il 30%.
Però se il tema è la crisi della democrazia, il fatto che la parabola di Renzi non sia passata attraverso le elezioni non costituisce un problema cruciale?
Certo, se passava attraverso le elezioni sarebbe stato meglio. Però l’importante è che si comincino ad intravvedere dei risultati. Il nostro sistema democratico ha subito talmente tanti colpi negli ultimi vent’anni, sono state attaccate le istituzioni, la magistratura, la Presidenza della Repubblica, sono stati ingiuriati gli avversari politici, abbiamo visto di tutto… che ora diventa fondamentale raccogliere dei risultati.
A questo proposito la presentazione del suo libro “Il disagio della libertà. Perché agli italiani piace avere un padrone” (Rizzoli 2012) dice “Se c’è un momento in cui avremmo bisogno di una svolta, di un empito d’orgoglio nazionale, è proprio l’attuale”. Su quali principi dovrebbe fondarsi questo empito d’orgoglio?
In primo luogo sulla valorizzazione dell’immenso patrimonio storico-artistico che immeritatamente ci portiamo sulle spalle. Noi abbiamo una delle tradizioni culturali più gloriose non solo d’Europa ma del mondo e questo deve essere un motivo forte d’orgoglio nazionale. Per questo mi ha fatto piacere sentire l’altro giorno il Ministro della cultura Franceschini dire “il Ministero che ho l’onore in questo momento di rappresentare è il più importante di tutti”. Abbiamo dei ministri che in Europa spesso devono mettersi in seconda fila, il nostro Ministro della cultura può mettersi meritoriamente in prima fila.
In secondo luogo?
L’unità nazionale. In un secolo e mezzo di storia siamo bene o male riusciti a tenere un’accozzaglia di ex-stati e di popolazioni molto diverse tra loro sotto un unico tetto e, dal 1948, sotto un’unica carta costituzionale.
Il richiamo alla Costituzione si lega alla sua riflessione sulla libertà, che dà per l’appunto il titolo al libro.
Se intendiamo la libertà come rispetto dei diritti e dei doveri, siamo un popolo decisamente carente. La concezione della libertà in Italia lascia ancora molto a desiderare, soprattutto in alcune zone del paese. Lì è necessaria un’operazione forte di acculturazione, perché la libertà non va confusa con la licenza e con l’arbitrio.
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