Diario semiserio di un musicista fuori sede #12. Il valore relativo della cultura

Mi accingo a scrivere quest’ennesima pagina di diario comodamente svaccato sul divano nel mio luminoso appartamento patavino (momentaneamente vuoto eccetto un coinquilino in camera che ascolta musica). Il cielo è bianco e ha appena smesso di piovere a dirotto, il caldo sole mediterraneo di Roma è distante.
Sono infatti appena tornato da Roma, per una riunione della Conferenza Nazionale Studenti ISSM (Istituti Superiori di Studi Musicali), di cui sono diventato membro del direttivo nazionale (tiriamocela un po’ finché si può). L’essere diventato presidente della consulta del conservatorio mi ha infatti condotto alle riunioni della CNSI, che è composta per l’appunto dai presidenti delle consulte, e a sua volta da membri della CNSI mi è stato chiesto di diventare parte del nuovo consiglio direttivo appena eletto, il 19 marzo. Questo ci dimostra anche come ogni cosa conduca a qualcos’altro e come il mio essere perennemente in mezzo alle balle abbia dato i suoi frutti, anche se ora m’aspetta una bella faticaccia.
Comunque, stavo dicendo, in queste due giornate abbiamo discusso tanto e a lungo e mi sono convinto ancora di più del valore del diffondere cultura.
Non parlo unicamente del valore assoluto, intrinseco, per cui fare cultura è giusto, è bello, è trendy e non è mainstream. Siamo tutti d’accordo su questo.
Beh tranne sul fatto che sia trendy, tendenzialmente siamo tutti vecchi inside (e anche outside…) noi che facciamo cose “artistiche” o organizziamo eventi per far sì che queste cose accadano.
Parlo del valore relativo. Nel mio girovagare a Padova ho assistito qualche tempo fa ad un seminario di due docenti di management della musica dell’Accademia La Scala. Uno dei due ci raccontò di come il direttore artistico del Festival di Ravello abbia affermato che per ogni euro che investiva nel Festival gliene tornavano nove.
Ecco questo intendevo.
“Con la cultura non si mangia!”
Povero villico che affermi stupidamente una cosa del genere, è proprio perchè gente come te afferma che non ci si mangia che poi, effettivamente, non ci si mangia. Questa vuol essere solo una riflessione, non mi ritengo un economista, un esperto conoscitore dei più basilari meccanismi della vita politica di uno stato, ma mi ricorderò sempre le parole di Kainrath, il direttore artistico del Concorso Busoni, in quel di Bozen. Durante il concorso, la scorsa estate, c’è stato il soldout dei posti negli alberghi.
Gente da tutto il mondo è venuta a vedere il concorso, quella stessa gente che prenota stanze, mangia in ristoranti e kebabbari, compra stupidi souvenir come marmotte in costume tirolese, frequenta i concerti che è venuta a sentire e svolge centinaia di ulteriori attività che sì, ti fanno mangiare, eccome.
Il turismo è, lo sappiamo tutti, una risorsa enorme. Non l’unica, non voglio esser frainteso, ma enorme sì. E l’Italia fa cultura. Abbiamo un nome nel resto del mondo che sarebbe stupido ignorare e ce l’abbiamo per tradizione assodata da secoli (e forse un po’ vecchia): una terra variegata, decine di diverse culture e tradizioni, svariate fasce climatiche e ambienti rigogliosi e, soprattutto, arte.
Affreschi, monumenti, mostre, musei, siamo ben noti per questi gioielli. Meno considerata è invece la musica, eterna sguattera nel panorama artistico, culturale e scolastico italiano. A fronte di una tradizione che afferma esattamente il contrario tra l’altro. Questi giorni a Roma, e ormai un anno e mezzo ad organizzare roba, me l’hanno confermato come non mai. Il valore dell’investimento sulla cultura non viene percepito. Investimento che a volte consta anche in una semplice opera di riforma, non per forza in fiumi di denaro da spendere e spandere.
Il mondo dei conservatori, il cui ruolo dovrebbe essere proprio quello di formare musicisti e personalità del mondo della cultura e oltre a ciò diffondere questa cultura mandando gli allievi a suonare in giro, organizzando concerti e sfruttando ogni spazio disponibile per rendersi presente sul territorio, è al completo collasso, vittima di una totale assenza di riforme culminata in una riforma lasciata poi tronca, a metà. Per chi non vive il mondo all’interno è complesso forse capirlo, ma l’assenza di direttive nazionali, una confusione legislativa a dir poco imbarazzante e, questo sì, una sempre maggiore carenza di fondi manda ogni anno di più i conservatori verso il disastro.
Se i conservatori chiudono, chi fa musica? Chi apre le porte alla cittadinanza in miriadi di attività, che ultimamente hanno visto anche un sempre maggiore interesse verso il jazz, la musica pop e la musica elettronica? Davvero si può restare impassibili di fronte a ciò?
Questa è solo una riflessione, come ho detto, ma per chi si può chiedere “come posso fare allora io, cittadino qualsiasi, a sostenere questo mondo?”, per chi può affermare “anche io amo l’arte e la cultura, ma non c’è niente che possa fare se non cambia la mentalità nazionale”, per chi può criticare “tutti bravi a parole, ma poi non c’è gente nelle sale da concerto, gli enti sono costantemente in crisi e in rosso e lo stato non può accollarsi tutti gli oneri”, rispondo: “Sii il pubblico”.
Il pubblico è fondamentale! Se vuoi sostenere la cultura, la sera, anche quando sei stanco, esci di casa e va’ a concerto, va’ a teatro, va’ ad esplorare la tua città, goditi le serate musicali nei locali, sfrutta le mostre quando ci sono. Le offerte fioccano, pur di poter avere pubblico è possibile trovare sconti a volontà e anche senza spendere le attività artistiche non sono poche, anzi. Semplicemente a volte devi interessarti, non sempre tutto ti viene gettato addosso.
E se ti lamenti del fatto che è la nazione il problema, con quella grande opera di vigliaccheria che è il rimettere le colpe a Roma e allo Stato, renditi conto che lo Stato sei tu e che una delle maggiori critiche che ci viene mossa ogni volta che si vuole fare qualcosa è che “tanto non c’è pubblico”.
Se invece i soldi sono il tuo problema (i soldi sono sempre il problema), posso garantire per esperienza che con poco si può organizzare molto, si può ottenere un pubblico vario e interessato, si può far passare un messaggio, insomma si può far cultura.
Va’ a vedere che, magari, diffondendo arte nelle sale, nelle piazze e NELLE SCUOLE (…) il pubblico si crei, l’offerta aumenti, la gente accorra a vedere gli spettacoli e ad osservare il meraviglioso panorama artistico italiano, nella sua completezza. Dopotutto affermare che non si mangia solo perchè non è tangibile credo sia uno dei gesti più miopi che si possano compiere, soprattutto ad un livello di consapevolezza storica e culturale anche eccessivo come quello del ventunesimo secolo.