Diario semiserio di un musicista fuori sede #10. Caffè, semplicemente

Diario semiserio di un musicista fuori sede #10. Caffè, semplicemente


Per decidere un po’ come impostare questa prima vera e propria pagina di diario mi sono dato la carica rileggendo quelle vecchie. Mai. Più.

Rileggere “articoli” vecchi di mesi fa decisamente male alla salute.

Mentre aiuto una mia coinquilina a fare test per l’esame di informatica dandole le risposte sbagliate, cerco l’ispirazione per l’articolo nei fondi di caffè, scuotendolo con fare intellettuale. Bella roba il caffè. Davvero, una delle scoperte più importanti del sedicesimo secolo.

Questo elemento caratteristico degli universitari ce l’abbiamo anche noi studenti di conservatorio (e penso qualunque studente in generale): il consumo di caffè.
Sono abbastanza sicuro che buona parte dei guadagni dei supermercati padovani provenga dallo scompartimento caffè. Non c’è limite alla quantità di amara brodaglia che si ingerisce pur di rimanere svegli.

Ho visto cose che farebbero rabbrividire un cardiologo. Tazze da latte piene di caffè fino all’orlo. Coinquilini farsi caraffe di caffè per rimanere svegli fino alle quattro di mattina a preparare gli esami di giurisprudenza. Tre diverse caffettiere su tre diversi fuochi contemporaneamente. E soprattutto la leggenda del caffè fatto con altro caffè, caffè al caffè, caffè alla potenza, il cosiddetto caffè dello studente. Infarto assicurato dopo il terzo sorso.

Quello del caffè è uno sport estremo in cui si gareggia per la vita. Sai di rischiare, che ogni sorso potrebbe essere l’ultimo ma sai di averne bisogno. Ti serve per svegliarti e per rimanere sveglio, per concentrarti e per darti energia. Nel corso della giornata, che tu sia in casa o fuori casa, ne hai bisogno a cicli regolari, non importa che sia vero caffè o caffè da macchinette, l’importante è che sia caffè. Uno degli effetti placebo più efficaci probabilmente.

Il caffè delle macchinette poi è la sublimazione di questa dipendenza. Più che non di caffè sa di catrame. Giuro di aver trovato corpi raggrumati dentro al caffè delle macchinette che avrebbero fatto la gioia di una trivella. Ma non importa! L’importante è che ci sia scritto caffè e costi meno di cinquanta centesimi!

Almeno c’è intesa fra coinquilini. Le volte in cui torni a casa dal supermercato e annunci (squillo di trombe, luce celestiale in background): “Ho comprato il caffè!” (qui parte l’alleluia dal Messiah di Händel), lo sguardo sognante dei coinquilini è qualcosa di impagabile.

Parlerò più avanti di questo nuovo anno di coinquilinanza, stessa casa ma diversa stanza (finalmente in singola), ma sul caffè c’è intesa perfetta. Non che ci voglia molto, l’importante è che non finisca mai e che ci siano almeno tre o quattro caffettiere utilizzabili. In realtà di alcune caffettiere mi sfugge un po’ il funzionamento. Semplicemente esplodono. Non so se abbiate mai fatto esplodere una caffettiera, è una costante per me. Non è una vera esplosione, è semplicemente un fenomeno tutto particolare per cui il caffè anziché uscire da sopra, decide di fare l’alternativo e fuoriesce dai bordi della caldaia.
“Ma, povero piccolo, è perchè la devi stringere!”
Non è quello, le stringo fino a rendere persino difficile smontarle di nuovo. Per qualche pensiero autonomo, il caffè si rifiuta di rendersi bevibile e si suicida sui bordi della caffettiera buttandosi sulle fiamme del fornello. E tu piangi vedendo ogni goccia di deliziosa bevanda che va sprecata e ti chiedi dove hai sbagliato nella vita. Solo con le caffettiere grandi comunque. Va’ te a capire cosa pensano le caffettiere grandi. Sarà desiderio di ribellione? Crisi adolescenziale? “Basta madre, non puoi più decidere per la mia vita, io fuoriuscirò dai lati e romperò la tradizione di famiglia”? Troppo mainstream far uscire il caffè da sopra?
Ma persino ad una caffettiera hipster puoi perdonare tutto. Perchè è una caffettiera. E tu le vorrai bene per sempre.

Finché fa il caffè.

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