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February 10, 2014
Dell’importanza della storia dell’arte a scuola, per diventare grandi
Anna Quinz
Quando andavo al liceo, non ero proprio una secchiona. Latino: 5. Greco: 4. Tedesco: 5 (mannaggia). Scienze varie: 5. Il resto oscillante tra un decoroso 6 e un rasserenante 7 ½. Ero la classica “ha il potenziale ma non si applica”. La materia che però mi permetteva di andare fiera dalla mamma con un bell’8 tondo tondo, di non sentirmi totalmente negata per lo studio e l’apprendimento, e che peraltro mi appassionava moltissimo, era la storia dell’arte.
Non solo perché avevo una brava prof, non solo perché sono cresciuta in una famiglia che seppur a forza (all’inizio, poi è andata meglio), nei musei mi ci ha portato fin dai tempi del biberon, non solo perché i libri erano belli e pieni di immagini a differenza di quelli di greco e latino… non solo per questo la storia dell’arte era la mia materia preferita. Lo era soprattutto perché percepivo già allora, nel pieno della fisiologica stupidità adolescenziale, che quel che studiavo su quei bei libri pieni di immagini, mi sarebbe servito a qualcosa.
Non che tutto il resto non serva, ma diciamocelo quante volte nella vita adulta avete pensato “per fortuna che so il dativo in latino, sennò ora che farei” oppure “grazie a dio so tutto delle guerre puniche, altrimenti…”. Ecco, appunto, non succede mai. Magari nessuno (tranne giocando a Trivial) mi chiederà mai di dire quando Leonardo ha dipinto la Gioconda, eppure oggi, “da grande”, aver studiato Leonardo e tutti i suoi compari, è una conoscenza che sono grata di aver introdotto nel mio cervello, già prima di essere soggetto pensante in grado di scegliere e selezionare i propri saperi.
Non per questioni nozionistiche, né perché oggi mi occupo tra le altre cose anche di arte nel mio lavoro. La storia dell’arte mi è servita a diventare adulta perché mi ha raccontato e spiegato l’evoluzione dell’immagine prodotta dall’uomo e dei suoi immaginari. Mi ha insegnato l’importanza e la forza dirompente che ha la bellezza. Mi ha fatto capire quanto il gusto, le percezioni e le estetiche cambino, in relazione ad un certo tempo e ad un certo spazio (sia esso fisico, mentale, politico, storico). Mi ha fatto cogliere dettagli del passato e del presente che si concatenano, si incastrano, interdipendono l’uno dall’altro, creando quello che chiamiamo “il contemporaneo”.
Permettermi di studiare l’arte è uno dei pochi regali che il sistema scolastico mi ha fatto. Perché avere gli strumenti per capire l’arte nel suo snocciolarsi nei secoli, è il modo migliore che io abbia trovato per capire me, gli altri, il mio tempo.
E ancora, studiare l’arte mi ha permesso di avere una disponibilità e un’apertura cerebrale e sensoriale più forte verso le cose, le persone, gli oggetti, il contesto. Mi ha permesso di capire la potenza del pensiero umano, capace di generare tanta bellezza (avete mai visto la Cappella Sistina? Se sì, sapete cosa intendo). Mi ha dato strumenti utili per leggere ogni cosa (la moda, il cibo, il design e tutto quel che vi viene in mente…), con uno sguardo più libero e più fresco. Mi ha dimostrato quanto un gesto (che sia quello del pittore, dello scultore o del performer) possa essere rivoluzionario, muovere ideologie e masse, spostare montagne e far fare prepotenti balzi in avanti all’umanità tutta (se non ci fosse stato Caravaggio, saremmo ben diversi oggi, no?).
Non voglio entrare nelle questioni ministeriali, però anche se non è stata abolita come molto allarmismo del web vorrebbe farci credere, è certo che il monte ore è stato rimpicciolito (da governi precedenti e fatica con questo a tornare ai vecchi “fasti”), quando invece andrebbe aumentato e andrebbe pure creato – se non un monte – almeno una collinetta, in quelle scuole dove ancora non c’è proprio.
[Oltre tutto, stiamo parlando dell'Italia, che mica serve ricordare quanta arte porta nel suo DNA (del passato, che sul presente bisogna anchra lavorare un po', ma il potenziale, innegabilmente, c'è). Banale, ma assolutamente logico, pensare che se avessimo più conoscenza della materia che più di altre ha formato la nostra storia il nostro vissuto il nostro essere e - non da ultima - la nostra ricchezza, forse avremmo gli strumenti per capire apprezzare e far fruttare (economicamente, perché no) un patrimonio pazzesco, seguendo il filo: arte --> tursimo --> lavoro --> soldi.]
Questo per me è un ulteriore segno che le scuole italiane – ahimè – sono sempre meno il luogo dove sperare di formare menti, pensieri, immaginari nuovi. Ma tutto quello che io, e tanti altri come me, dalla storia dell’arte abbiamo imparato, le nuove generazioni dove potranno impararlo se non sui banchi di scuola? Hanno un duro lavoro da fare gli adolescenti oggi. Noi siamo stati fortunati, perché a noi i mondi di Raffaello, Botticelli, Magritte e Van Gogh li hanno raccontati, e ora di tutto questo possiamo cogliere i frutti. Loro invece le proprie risorse di sopravvivenza intellettuale dovranno scovarle altrove, andarle a cercare e portarsele vie, con le unghie e con i denti.
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