People I Know: Stefania Demetz e il suo modo “sensible” di pensare e organizzare eventi

Stefania Demetz è nata a Bolzano 44 anni fa. Si è laureata in letteratura spagnola a Milano e nel 1992 ha lavorato alle Olimpiadi di Barcellona. Da lì in poi ha iniziato a lavorare negli eventi sportivi, come la Coppa del Mondo in Val Gardena, della quale oggi è direttrice generale. Stefania, che vive tra l’Alto Adige e Torino, si occupa di strategie, coordinamento, operatività,. Il suo lavoro, e quello del suo team, consiste nel fare in modo che tutti possano svolgere al meglio le proprie attività: “gli atleti devono avere la pista in condizioni ottimali – spiega – la stampa deve poter svolgere il proprio lavoro, gli spettatori devono potersi divertire e cosi via”. Un lavoro intenso e intensivo, ma che Stefania svolge in modo “sensibile”. Sensible Event Management infatti è il nome che ha dato al blog che racconta il suo lavoro e la sua visione delle cose. Energia, passione, competenza. E ancora, sport, cultura, eventi. Questo ciò che riempie il mondo – lavorativo e non – di Stefania.
Stefania, tu lavori nel “dietro le quinte” dello sportnel privato, che rapporto hai con lo sport? Cosa si impara lavorando in questo settore di utile anche per la vita quotidiana?
Non ho mai fatto agonismo e il mio rapporto con lo sport è discontinuo. Mi piace sciare e mi piace correre la mattina presto, se la pigrizia non mi inchioda a letto. Al di là che lo si pratichi o meno, lo sport offre importanti linee guida. Chi si occupa di eventi sportivi dovrebbe tenerne conto. Penso ad esempio alla bellezza del gesto atletico per cui tutto ciò che viene fatto è funzionale allo scopo e non alla rappresentazione. L’atleta assume una certa posizione in gara non per fare una cosa bella, ma perché serve per vincere. Non si fa nulla di superfluo. Cosi dovrebbe essere anche il management. Un altro esempio è quello del doping, che migliora il risultato, ma non l’atleta.
L’esperienza lavorativa più bella che hai fatto?
È difficile dirlo. Ne ho avute tante. Forse Barcellona ‘92 è quella alla quale sono più affezionata. Avevo 22 anni, parlavo uno spagnolo zoppicante, ero ingenua e priva di esperienza e mi trovavo dentro una fantastica città olimpica. Un sogno!
Perché oggi si da tanta importanza al management degli eventi? In cosa sono cambiati nel tempo, se sono cambiati?
Prima forse bisognerebbe chiedersi di quali eventi parliamo: sportivi, culturali, aziendali, turistici, fiere, congressi, convegni …? A me interessano gli eventi sportivi e culturali, che mettono in scena un contenuto forte, non tanto per vendere, ma per promuovere, appunto, sport e cultura. Gli eventi sono oggi un efficace strumento di marketing per le aziende perché il cliente viene coinvolto emotivamente e quindi lo si aggancia con più efficacia. Nello sport, intorno al campo di gara, è cresciuto un mondo fatto di intrattenimento proprio per coinvolgere ancora di più il pubblico. Ciò vale anche per gli eventi culturali.
Cosa significa esattamente “sensible event management”?
Amo studiare il management e ho aperto un blog che all’inizio era un modo per organizzare il mio sapere tecnico. Poi in modo naturale mi sono lasciata trasportare dentro l’anima degli eventi, dentro i sensi e le parole. Sensible event management è divenuto il nome del mio blog, ma anche la definizione di una mia visione. Sensible significa pratico, consapevole, responsabile. Mi spiego: un evento è effimero e intangibile. Ora c’è, ora non c’è più. La nostra responsabilità è far si che questo effimero lasci delle tracce positive, che contribuisca a una crescita. Non mi piace chi specula sulle emozioni del pubblico offrendo intrattenimento fasullo. Io non amo i “Schein-Events” (basati solo sull’apparenza) e credo invece nei “Sein-Events” (coerenti, solidi, di sostanza). In Italia si discute oggi sui troppi festival culturali. Alcuni di essi sono davvero solo apparenza: una passerella esibizionistica. Altri invece sono in grado di stimolare la curiosità, di aprire un dibattito, di invitare alla lettura…
Le tue origini frontaliere e il suo mix culturale di provenienza, quanto e come hanno influenzato e influenzano il tuo lavoro e il suo essere, ora che vivi anche altrove?
Nel lavoro mescolo la disciplina sudtirolese alla flessibilità italiana. Pianifico, ma non mi spaventa l’improvvisazione. Io ho passato l’infanzia tra la Val Gardena e il Veneto. Poi ho studiato a Milano e ora vivo in parte a Torino. La Val Gardena è rigore, il Veneto è goliardia, Milano è esuberante, Torino è pudica. La mia heimat oggi non è luogo, è qualcosa che mi porto appresso ogni volta che viaggio ed è una mescolanza di tutti questi luoghi e dei loro diversi modi di essere.
Cosa ami e cosa no dell’Alto Adige?
Amo intensamente il paesaggio dell’Alto Adige. Amo i knödel che fa mio padre. Stimo la serietà dell’amministrazione pubblica. Non mi piace l’autoreferenzialità, che porta a pensare che questa sia la terra migliore del mondo. Si potrebbe osare di più, avere meno paura del confronto, del nuovo e della contemporaneità.