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October 9, 2013

People I Know. Sergio Aguado Hernández: costruire il nuovo tra architettura e paternità

Anna Quinz


Sergio Aguado Hernández: solo a pronunciarne il nome, si sente nell’aria un certo calore, si vedono i colori accesi e luminosi del sud, si sente sulla pelle l’abbraccio del sole di Spagna. Sì, perché è da lì che Sergio arriva, da Madrid. Da 3 anni però il 31enne madrileno vive in Alto Adige, a pochi passi da Merano e lavora a Bolzano, come architetto, nello studio monovolume. Come tanti, Sergio è qui per amore. Mentre frequentava l’anno di studi Erarmus a Roma, ha conosciuto Verena, anche lei nella capitale per motivi di studio. Nato l’amore tra il moro ragazzo del sud e la bionda ragazza del nord, i due hanno prima vissuto a Madrid e poi sono arrivati qui dove attualmente stanno costruendo una nuova vita. In senso letterale, visto che la coppia presto metterà al mondo una piccola creatura. Giovane e vitale, Sergio ha in sé tutta l’energia e la solarità della sua terra, con in più una dolcezza negli occhi che rivela tutta l’emozione del sapere che presto sarà papà. Architetto per professione e per passione, Sergio ha tanti progetti e sogni per il futuro, a Bolzano, o dove la vita e il destino porterà lui e la sua giovane, bella, nascente famiglia.

Sergio, la crisi sta mettendo in ginocchio tutti gli aspetti della vita. Nel tuo settore – tra Spagna e Italia – come vanno le cose? E tu, personalmente, che esperienza hai vissuto?

In Spagna il mio settore ha sofferto della crisi dura che ha colpito il paese. Quando la bolla dell’economia è esplosa è arrivato il crush che lì era molto centrato sull’immobiliare e una volta finiti i soldi il primo settore a saltate è stato l’edilizia. Di conseguenza ne ha risentito molto anche l’architettura. Trovare lavoro in Spagna era ed è – anche per me – difficile e poi le persone che gestiscono gli studi non sono sceme, conoscono la situazione e ne approfittano, sfruttando i lavoratori. Quando sono arrivato qui sembrava non essere ancora arrivato il nucleo duro della crisi, ho fatto diversi colloqui e tutto è andato bene. Certo anche qui si sente parlare sempre di più di crisi ma per fortuna il nostro studio avanza bene, ed essendo formato da un team giovane, cresce ogni giorno.

Inevitabile chiedere se hai vissuto shock culturali nel passare dalla caliente Spagna al montano Alto Adige.

Le differenze tra i due luoghi, innegabilmente, ci sono. I ritmi variano molto. Si dice che in Spagna si faccia tutto più tardi, ma non è solo un luogo comune, è vero. Non è pigrizia, dipende dal ritmo solare. Madrid è una grande città, lì la vita sociale e culturale è molto sentita e vissuta, se vuoi puoi girare da un evento all’altro senza finire mai.. Questo mi manca, anche se si può fare molto anche qui (manca forse un po’ più di cinema…), magari non fino così tardi o così spesso. Più di tutto però mancano gli amici, la mia gente. Le cose positive di questo posto sono tante, per esempio la natura e la possibilità di fare qualsiasi sport cosa che a Madrid era impossibile.

Torniamo all’architettura. Miti? Esempi da seguire?

Non mi sono mai creato un mito o un eroe architettonico. Ci sono tanti architetti del passato che mi piacciono, ma non ho un riferimento particolare in cui specchiarmi o da seguire. Come architetto mi piace tenere sempre in considerazione tutto quel che ha a che fare con la progettazione, non solo gli aspetti architettonici, ma anche gli impianti. Una casa è un insieme di elementi e se ci si cura solo dell’estetica, la struttura passa in secondo piano, e questo può creare problemi. Serve coinvolgere tutto in un’unica idea. Dunque sostengo l’importanza dell’architetto, ma in squadra con altri tecnici.

Quale il progetto architettonico dei tuoi sogni?

A dire il vero mi piace molto l’architettura di emergenza, quella che serve sviluppare in situazioni di catastrofe come terremoti o tsunami. Tanta gente in queste tragedie perde la casa e serve progettare velocemente luoghi in cui queste persone si possano rifugiare temporalmente o a più a lungo termine. È interessante perché bisogna capire e conciliare tante cose: c’è poco spazio, un budget ridotto, si deve costruire qualcosa di facilmente trasportabile e smontabile, che dia però anche il senso di “casa” per chi deve abitarci. Non è un grande progetto, come il mega aeroporto in tale città o il gigantesco teatro in tal’altra. Ma a me questo tipo di lavoro interessa molto.

Che ne pensi del tanto discusso fenomeno delle “archistar”, spesso preferite agli studi locali per costruire grandi opere?

Ormai la vita è così, ci sono star dappertutto. In tv è pieno di cafoni che diventano star, dunque perché non possono esserci star anche in architettura? In generale penso che sarebbe meglio e più sostenibile puntare su studi locali, ma la scelta – si sa – dipende da enti pubblici e da intenti politici. È certo comunque che l’archistar è diventata archistar perché fa buoni progetti, e alla fine è di certo rassicurante per chi ci mette i soldi perché sa che di certo quell’edificio attirerà tanta gente.

  

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