Music
October 7, 2013
Elettronica di ricerca a The Hub, intervista a Lawrence English e Alberto Boccardi
Marco Bassetti
Quello della musica elettronica di ricerca è un piccolo mondo incantato, di cui pochi possiedono la chiave di accesso. Se non è necessaria una vera e propria iniziazione per entrarvi, certamente sono necessari coraggio, pazienza, concentrazione, una spiccata capacità di comprensione. Saper tenere l’orecchio dentro al suono, per apprezzarne gli aspetti più oscuri e misteriosi e laceranti, richiede tenacia e spirito d’avventura. È spesso un’esperienza di confine, anche dolorosa, che può però riservare notevoli scoperte. Per chi vuole avvicinarsi a questo ambito, “Live at The Hub – No Music in The Office” (rassegna organizzata da The Hub Rovereto in collaborazione con Marco Segabinazzi e Assessorato alla Contemporaneità del Comune di Rovereto) offre una ghiotta occasione: due dei massimi artisti attivi a livello internazionale, Lawrence English e Alberto Boccardi, all’opera insieme, per presentare il loro ultimo lavoro: “Split – LP 12”. Siamo riusciti a organizzare al volo un’intervista doppia.
Chi è Lawrence English?
Alberto Boccardi Lawrence è un musicista, sound artist e produttore australiano. Ho amato molto i suoi dischi, è stato ed è uno dei miei artisti di riferimento per un certo tipo di suono. Quando mi è venuta l’idea dello split è stato naturale contattarlo. Già alcuni amici mi avevano detto che era una persona molto accessibile, mi sono trovato in sintonia da subito.
Chi è Alberto Boccardi?
Lawrence English Un maestro delle qualità illusorie del suono. Un compositore che capisce la natura fondamentale dell’abilità trasformativa delle musica ed è disposto a lavorarci per creare una esperienza sonora profonda.
Qual è la qualità che apprezzi maggiormente del tuo collega?
A.B. La componente fisica della sua musica, la densità dell’elemento sonoro. Ascoltandolo percepisco come il suono possa diventare materia, nel senso che acquisisce una componente solida, quasi tattile. il suo approccio è molto immersivo, riesce a costruire paesaggi sonori con dettagli ed elementi che ad occhi chiusi hai la percezione di vedere distintamente.
L.E. Potrei dire il suo orecchio. Possiede un ottimo senso delle profondità con il quale sente la musica e questo diventa evidente della sua musica.
“Split – LP 12”, come è nato questo progetto e come si è evoluto?
A.B. L’anno scorso ho lavorato con un coro di musica classica della mia terra, la Valtellina, registrando parecchio materiale. Dopo una prima selezione, con il supporto dell’etichetta fratto9, ho contattato Lawrence chiedendogli se fosse interessato a condividere un 12″, un lato ciascuno. Lui avrebbe avuto piena libertà di manipolare e modificare il materiale sonoro, ma anche di aggiungere elementi esterni. La lavorazione ha richiesto un po’ di tempo (nel frattempo io avevo già chiuso il mio materiale) ma ne è valsa la pena. A giugno abbiamo pubblicato “Split”: lo immaginavo senza titolo, ma solo con quella straordinaria immagine di uccelli in copertina, un frame di corvi migratori che un amico ha raccolto in Kazakhstan.
L.E. Alberto mi ha gentilmente invitato a uninirmi a lui per un lato del disco. Mi piacque l’idea di condividere uno stesso materiale come fonte. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire come usare quel materiale. Alla fine ho ristretto del tutto la mia paletta alla sua fonte registrata. Attraverso questo framework sono stato in grado di perforare la materia stessa del suono, trovando gli aspetti elementari e trascendendo la musica in puri termini sonori.
In che modo il titolo si lega al tuo brano?
A.B. “Drops, Salt, Ask Me Next Life” è diviso in 3 movimenti: le gocce, il sale, mentre il terzo è la conclusione ed è un riferimento personale ad un evento che mi è capitato mentre chiudevo il disco. Mi piace moltissimo giocare con le parole, sviluppare rimandi ad altri eventi, citare musicisti e cercare di portare tutto ad un unico comune denominatore. È molto importante anche l’aspetto sonoro del titolo. Complessivamente tutto quello che suono è legato: in tutte le mie produzioni esistono numerosi elementi ricorrenti, spesso legati alla terra.
L.E. Il mio brano s’intitola “The Rocks That Tear The Ocean”. Vengo spesso affascinato dal modo in cui le rocce sembrano lacerare il mare o l’oceano e forzano l’acqua a trasformarsi da un blu elegante ad un bianco spettrale. Volevo in qualche modo portate in questo lavoro un po’ di questa idea perturbante e trasformativa.
Entrambi i lavori che compongono l’album hanno una forte componente visiva/visionaria. Chiedo a ciascuno di voi di descrivere la propria composizione attraverso forme, colori, immagini.
A.B. C’è una traiettoria che cerca di disegnare il brano, che è unico ma è come se fossero tre diversi. C’è una persistente condizione d’attesa che non si risolve mai, o forse arriva da qualche parte, ma questo è un luogo imprevedibile, uno spazio che non conosco ma che mi è in qualche modo familiare: come quando sei sicuro di essere già passato da un luogo ma non ti ricordi né quando né come. La terza parte è la risoluzione, un attimo molto breve ed effimero per identificare qualcosa che definirei pace.
L.E. Mi piace pensare a questo mio lavoro come all’erosione del paesaggio, condensato in 18 minuti di musica. Un timelapse di suono. Le valli sono i processi degli elementi che vengono ridotti e rimossi, spostati e sostituiti. Ero interessato a utilizzare questo tipo di metafora con i materiali sonori.
La scena elettronica/elettroacustica italiana ha acquisito un certo peso anche nel panorama internazionale, è così?
A.B. La scena italiana è molto viva e dinamica, tanti musicisti hanno base all’estero da molti anni ed anche viaggiando ti rendi conto di quanto siamo considerati, poi al giorno d’oggi non conta moltissimo dove risiedi fisicamente. Le realtà che con pochi soldi supportano la scena sono molte, non parlo solo di locali, ma anche etichette, fanzine, giornali. Forse qualcosa manca ancora come sistema, nel senso che alcune realtà sono ancora un po’ chiuse su alcuni generi, oppure raggiungibili solo attraverso contatti personali. Comunque se dai una letta al catalogo di etichette come Mego, 12k, Denovali, trovi parecchi nomi italiani.
L.E. Penso che nell’età moderna tutto sia accessibile, quindi è una semplice questione di essere interessato a qualcosa. Personalmente sono un grande fan di molti artisti che provengono dall’Italia, nomi importanti come Mike Cooper o Alvin Curran, ma anche di artisti residenti in Italia come Alberto Boccardi, Domenico Sciajno, Giuseppe Ielasi e naturalmente il meraviglioso Valerio Tricoli. Vorrei poter fare un “revox sound” bene come lui!
Comments