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June 4, 2013
Luca Coser: un pezzo di vita (da artista)
a New York
Anna Quinz
E’ appena tornato da 2 mesi di residenza a New York, Luca Coser – artista trentino tra i più noti della “scena locale”. E subito si è ributtato nella mischia, con una toccata e fuga a Venezia, per la Biennale (dove lo incontro tra i padiglione della Francia e quello della Germania) e un passaggio a Roma.
Nella Grande Mela Luca ha vissuto per un po’, ha lavorato e ha presentato una mostra personale. Ora è di nuovo qui, ma già con valige pronte per nuove partenze e nuove avventure. Intanto però ci facciamo raccontare un po’ di impressioni a caldo della residenza newyorkese.
Luca, cosa sei andato a fare a New York?
Sono a NY perché mi è stata assegnata una artist residency da ArpNy, una organizzazione gestita da privati, collezionisti e galleristi. Qui ho portato avanti un progetto di opere su carta, piccoli e medi formati, ma anche un grande lavoro di 3,5×2,5 metri.
A NY ci sono molte di queste residenze per artisti, la più importante e conosciuta è il PS1, alcune ti forniscono studio e abitazione, altre, come nel mio caso, solo lo studio, altre ancora non ti danno nulla e le devi anche pagare. Più o meno tutte organizzano delle giornate di open studio e degli studio visit su appuntamento, dove un pubblico di addetti ai lavori vede il lavoro che stai facendo. Io ho avuto anche l’opportunità di presentare in una mostra personale il progetto portato avanti durante il periodo di residenza, con buoni risultati.
Non sei di certo nuovo ai viaggi, ma da Trento a New York, quali impressioni, sopratutto sul “sistema arte”, lì e qui?
L’impressione che ho avuto in questa occasione non ha fatto che consolidare l’idea che mi ero fatto nei miei precedenti soggiorni di lavoro a NY. Qui il “sistema”, non solo quello dell’arte, tende ad agevolare il tuo talento, e non per generosità disinteressata ma perché in fin dei conti il tuo successo individuale corrisponde al successo della città. NY non è un posto facile, tutto è molto stressante e competitivo, ma tutto è anche molto dinamico e se riesci ad infilarti in questo flusso qualcosa di buono per il tuo lavoro lo ricavi sempre. Qui avere successo non significa necessariamente essere famosi, il mercato è talmente sviluppato, ricco e curioso che spesso viene premiata la qualità anche quando questa non è griffata dalle gallerie celebri. Questo aspetto è decisivo perché ogni artista ha in ogni momento la consapevolezza che il suo lavoro può trovare in qualsiasi istante un ottimo sbocco professionale, e la sua attenzione rispetto alla ricerca non viene mai meno.
Qualcosa che ti è successo lì in questo tempo che ti ha fatto dire “resto”? ualcosa che ti ha fatto dire “torno”?
Mi ha fatto dire “resto” praticamente ogni cosa che ho fatto, ogni persona conosciuta, ogni situazione vissuta, anche se non tutto è andato liscio, anche se non essere benestante fa si che la vita a NY non sia per niente facile. Mi ha fatto dire “torno” il fatto che non sono più un ragazzino, che a casa mi aspettava una famiglia, che a Roma mi aspettava un lavoro in Accademia. Ma è stimolante sapere che esiste una via di mezzo, che è quella che frequenterò: lavoro dal 2010 con una discreta galleria di Chelsea e in questi giorni ho chiuso una collaborazione con una nuova galleria che aprirà a settembre nel quartiere più “fresco” e “osservato” per quanto riguarda l’arte contemporanea, il Lower East Side. Quindi se tutto va bene avrò l’occasione di tornare a NY molto più spesso di quanto non abbia fatto in passato. Ormai conosco bene la città e ho molti riferimenti professionali e di amicizia.
Che ne pensi del fenomeno, evidente anche nell’arte, dei cervelli in fuga (tu in fuga temporanea) dall’Italia? Perché si scappa? Perché a volte – sopratutto in Trentino Alto Adige, si torna?
Credo di averlo già detto, ma mi ripeto… A NY viene agevolato il talento, il successo del singolo ha una ricaduta sul successo dell’intera città. Questo è un principio semplice e banale che però in Italia, nemmeno nella nostra regione, viene praticato. Ho recentemente saputo da un giovane artista regionale incontrato a NY dove ha in corso una sua personale che gli è stata negata da un museo una lettera di presentazione per richiedere il visto da artista che negli USA ti permette un soggiorno di tre anni. Non gli è stata negata una mostra personale, e nemmeno una raccomandazione per farne una a NY, lo avrei capito, no, gli è stata negata una banale lettera di presentazione che certificasse il suo impegno nel fare arte, e da un’istituzione che, pagata con i soldi pubblici, dovrebbe come prima cosa “agevolare” lo sviluppo dei talenti locali. Allora ti chiedo e mi chiedo, in un sistema assurdo e autoreferenziale come questo un giovane cosa deve fare? Non faccio nomi perché ho sentito una sola campana, ma a questo giovane credo… Detto questo, in Trentino Alto Adige spesso si torna perché la qualità della vita che si trova da noi è rara, e alla fine, fatte le esperienze e allargata la conoscenza del mondo, a meno che non ci siano ragioni che ti “legano” altrove, il desiderio di tornare a casa si fa sentire, e non, come pensano i “provinciali”, per delle banali ragioni di provincialismo.
Il tuo progetto ha scatenato un grosso dibattito su Artribune, perché pensi sia successo? Cosa del tuo lavoro ha suscitato questa discussione secondo te?
Vero, su Artribune si è scatenata una bufera nata dal niente, per mia fortuna. Massimiliano Tonelli, direttore di Artribune, in visita a NY è passato a trovarmi in studio e ha visto il lavoro. Forse gli è piaciuto, o forse no, fatto sta che è apparso su Artribune un articolo, non firmato da lui, che parlava della mia personale con allegate una decina di pessime immagini scattate, non da me, con un cellulare. Il primo commento all’articolo è stato denigratorio. Immagino che il nome di chi ha commentato fosse falso e che nella cattiveria del tono adottato ci fosse qualcosa di personale che andava al di là della mostra. In ogni caso questa critica maligna senza essere costruttiva ha subito innescato una serie di commenti a mio favore, molti, al punto che l’antipatico sono diventato io, quindi sono riapparsi gli insulti e poi ancora le difese. Risultato: articolo più cliccato e letto per una intera settimana. Fenomeni del web e della comunicazione, che a me hanno fatto buon gioco perché si è parlato molto del mio lavoro ma che in generale ci fanno capire quanto spesso sia sopravalutato il circo dell’arte. In verità a NY ho lavorato su un progetto di opere su carta finalizzate a un contatto professionale con una curatrice e una gallerista newyorkesi, non era mia intenzione realizzare un’opera clamorosa, anche per il basso budget economico a mia disposizione. Sono stato criticato per il fatto che non ho osato e che mi sono limitato a realizzare dei “disegnini”. La cosa mi ha fatto sorridere, a NY ci sono importanti gallerie che trattano artisti, anche molto famosi, che lavorano su carta e su piccoli formati.
Il più grande souvenir che porterai con te a casa dalla grande mela?
Non una cosa ma due esperienze in una: le mie vicissitudini artistiche e due mesi vissuti in un quartiere nero e quasi-povero, nel “basement” di un nero quasi-povero. La propria soddisfazione professionale vissuta in mezzo ad altri che faticano a tirare avanti decentemente aiuta a tarare la propria vita, le proprie esigenze. Questa strana doppia esperienza ha generato una sorta di mostro a due teste. Possiamo chiamare souvenir questo mostro?
Cosa può insegnare a noi “provinciali” un’esperienza come la tua, e cosa una città come New York?
Credo che nè la mia esperienza ne NY abbiano nulla da insegnare alla nostra provincia. Sono realtà diverse ma non una migliore dell’altra. Di sicuro una potrebbe apportare “insegnamenti” all’altra in una logica di reciproco scambio, ma senza sentimenti di superiorità o al contrario di inferiorità. Forse ci sono dei momenti a NY in cui avverti una libertà che in “provincia” non vivi, nel presentarsi, nel vestirsi, nell’essere effettivamente quello che sei senza costrizioni o falsi atteggiamenti, e questo perché il numero delle persone, delle abitudini e stili di vita è così enorme che prevale la noncuranza rispetto alla diversità, anzi, la diversità diventa un fattore molto interessante, intrigante, ricercato. Ma anche questa impressione va a calare quando dal “mucchio” entri nei piccoli giri, allora anche a NY sei portato a conformarti al contesto dominante. Parlo in genere della vita delle persone comuni, ma a ben guardare anche la vita delle persone famose, che sembrerebbero superiori e indifferenti, è dominata da cliché e conformismi. Il fatto poi che NY tenda ad agevolare i talenti non è tanto un insegnamento per la nostra provincia ma per l’Italia intera, per un modello culturale che se non si decide a cambiare potrà solo peggiorare una situazione già grave.
Prossimi progetti?
Mentre ero a Ny, nello stesso periodo della mia personale, ho partecipato a un paio di collettive qui in Italia, una particolarmente interessante a Bologna. In autunno mi aspetta una collettiva newyorkese, mostra che dovrebbe inaugurare la nuova galleria di cui ho accennato prima. Poi una collettiva al MAG, Museo dell’Alto Garda, con nomi davvero interessanti. Una mostra personale in una galleria toscana. Un’altra personale a Berlino, ancora in fase di definizione. All’inizio dell’anno prossimo, su progetto di una curatrice newyorkese, una mostra a quattro in tre tappe: NY, Berlino e Venezia. In autunno con Kips Gallery, mia attuale galleria di NY, sarò al KIAF Art Fair Seul. Poi altre piccole ma interessanti partecipazioni. Credo sia davvero importante mostrare dignitosamente un lavoro che per l’artista è “necessario”, e se qualcosa deve succedere succederà. Quello che ho capito in questi anni è che il “clamore”, in un mondo come quello dell’arte che si è ormai plasmato a somiglianza di quello dello spettacolo, è molto utile come cassa di risonanza ma non essenziale rispetto alla qualità, all’attualità e al senso profondo dell’opera; sono questi elementi che negli anni definiscono il posto di una vita artistica dentro il mondo dell’arte. E questi non sempre ma molto spesso sono il frutto di un lento e concentrato lavoro di cesellatura che poco ha a che fare col clamore. Mi preme dire questo perché il mondo dell’arte blasonata è troppo spesso fatto di pedofilia critica da una parte, dove se non sei una velina alle prime armi sei poco interessante, e di esaltazione del genio assoluto dall’altra, dove esistono unicamente le Star. In realtà sopravvive, e bene, una ricca realtà di sfumature del mercato e del collezionismo, più nascosta ma non meno importante, che senza averne la presunzione produce modelli di cultura e di comportamento. Gi artisti che riescono col loro lavoro fare parte di questi processi significativi sono molto più numerosi di quanto si possa pensare, ed è questo il mio territorio di riferimento.
www.lucacoser.com
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