Diario semiserio di un musicista fuori sede #05. Il musicista errante

Il destino di uno studente universitario è il movimento. In tutti i sensi possibili. Prima di tutto egli si trova in una condizione di mezzo, in quanto ha raggiunto le ultime battute della sua preparazione alla vita professionale, dunque la sua condizione è tanto di studio obbligato quanto di ricerca lavorativa. Inoltre deve essere flessibile, in modo da adattarsi a tutto (o quasi) ciò che gli viene offerto, perché ogni esperienza sarà una pietra fondamentale del suo curriculum, con cui poi si presenterà quando finalmente smetterà di pagare per fare fatica e inizieranno a pagarlo (o almeno, mi piace vivere con questa illusione). E infine, lo studente universitario deve muoversi (fisicamente). La sua vita è sui mezzi di trasporto per raggiungere le sedi in cui si tengono le lezioni e gli esami, sulle bici scassate che più brutte sono meglio è perché così non le rubano (altra illusione), sui treni per andare e tornare da casa o fare il pendolare, a piedi perché alla fine quella bici orribile te l’hanno fregata comunque.
Il musicista è peggio.
Memore dell’antica romantica figura del Wanderer, il viandante, il musicista vaga. Oh certo, abbiamo le nostre sedi, i nostri punti fissi, quanto meno una casa, un giaciglio, un frigo mezzo vuoto, qualche conoscenza che ci azzardiamo a chiamare “amico”. Ma fondamentalmente, soprattutto quando ormai ti sei diplomato, il mondo ti chiama altrove.
E non ho sbagliato termine, intendo proprio “chiama”, perché se arriva la chiamata al cellulare “Ascolta, domani abbiamo un buco di un’ora e mezza al Festivaldiqualchesperdutopaesinoinmontagna, puoi riempirlo tu? Ti paghiamo con aria, pacche sulla spalla e un complimento, ma quello solo se te lo meriti” tu, musicista, non puoi che scattare sull’attenti e partire verso l’ignoto. Questo nel migliore dei casi, quando già sei così famoso o hai i contatti giusti che addirittura ti chiamano. Normalmente tu sai che dovrai vagabondare a elemosinare masterclass con importanti nomi del concertismo mondiale in modo da ottenere il loro nome sul tuo striminzito curriculum che cerchi di gonfiare con ogni parvenza di attività musicale retribuita e non.
E non esistono sacri vincoli che ti fermino: se l’audizione per diventare violino di quell’orchestra giovanile è il giorno del tuo compleanno non gliene frega niente a nessuno; se la tua ragazza si arrabbia perché ignori il vostro anniversario per poter tentare un concorso dall’altra parte del mondo, i rimproveri te li becchi tu; se per un periodo devi muoverti fra cinque città diverse perché hai lezioni ovunque, non puoi che sperare che Trenitalia butti fuori il prima possibile un abbonamento per poveri disgraziati valido tutto l’anno e su qualsiasi treno.
Ma, beh, è la vita del musicista.
Ancora non posso ritenermi così fortunato da immergermi, ma chissà che un giorno non ne possa assaporare almeno il gusto. Perché potrà essere stressante, scomodo, solitario e snervante, ma è la tua passione che ti muove, è la tua vita stessa che brama nuove avventure, nuove scoperte, nuova musica.
Dal canto mio mi accontento di sentirmi universitario facendo avanti e indietro da Bolzano quando serve, cercando di mettere a frutto ogni stralcio di capacità per scavarmi il mio posto a Padova, almeno per il momento. Ci sono tante cose che un pianista ancora non diplomato può fare per dare una mano. E chissà che proprio fra quelle non si celi il mio futuro, dopo tutto ancora, da buon semi-universitario, non ho ben chiaro come verrò scaraventato nel mondo del lavoro. Si tende a sottovalutare troppo l’importanza dell’aprire i propri orizzonti, oltre al suonare intendo. Specie se diventare solisti è la scelta sbagliata. Di un intero conservatorio non più di uno, massimo due pianisti potrà assurgere a quel ruolo, e probabilmente nemmeno quelli. Che ci siano altri campi in cui far valere la propria musicalità dunque? Che ci siano altri ruoli, altri lavori, altri ambienti? Per gli altri strumentisti è facile pensare di entrare in un’orchestra. Entrarci effettivamente poi è tutto un altro discorso ovviamente, ma per il momento possono sempre immaginarsi orchestrali, una delle professioni più belle al mondo. Ma noi pianisti dove finiremo? Noi che popoliamo le classi in numero atrocemente alto. Noi che dimostriamo così poca attitudine a comprendere che studiare e basta non è sufficiente, se non hai le capacità per diventare uno di quei pochi concertisti che hanno il grande onore (e la grande spinta da parte delle giuste conoscenze) di potersi dedicare allo strumento per vivere. Tutti insegnanti? Ma con che merito insegnerai tu, pianista dal sedere pesante, ad un eventuale aspirante concertista? Dove prenderai l’esperienza, dove l’apertura mentale, dove lo sguardo alla realtà, tu che magari finirai ad insegnare nel medesimo conservatorio in cui ti sei diplomato, senza mai muoverti, continuando a rimanere vincolato alle tue radici?
Il destino di un musicista è di vagare, di apprendere, di vedere e soprattutto di ascoltare. Il destino di un musicista è quello del viandante romantico che intraprende un viaggio, senza sapere bene dove ti porterà, senza sapere se ti garantirà una vita felice. Il destino di un musicista è quello di esperire e di comprendere quale sarà la propria strada sapientemente osservando la realtà che lo circonda, ma assecondando passionalmente il proprio più grande sogno.
Ed è questa la vita che mi si apre davanti.