Kareen De Martin Pinter e il suo romanzo, “L’animo leggero”, appena uscito per Mondadori. Che parla anche un po’ di noi

15.03.2013
Kareen De Martin Pinter e il suo romanzo, “L’animo leggero”, appena uscito per Mondadori. Che parla anche un po’ di noi

L’animo leggero” è il primo romanzo di Kareen De Martin Pinter, uscito il 12 marzo per Mondadori. Kareen è una scrittrice bolzanina classe 1975, che in questo libro racconta la storia della piccola Marta, bimba di 10 anni che vive a Bolzano.

È sempre emozionante, almeno per me, scoprire tra gli scaffali delle librerie, tra i libri delle “grosse” case editrici, un testo scritto da un concittadino, che sceglie in più di raccontare nella sua storia la storia complessa della nostra terra. Dunque, appena scoperto dell’uscita di questo nuovo libro, sono corsa all’inseguimento (riuscito con successo, vista la disponibilità subito dimostrata dall’autrice bolzanina ora basata in Francia) dell’intervista, per capire chi è Kareen, come è nata la sua storia, come è passata dalla testa alla tastiera del suo computer, dalla tastiera a Mondadori e da Mondadori alle librerie di tutta Italia.121Ecco quel che le ho chiesto, ecco quel che mi ha risposto. Ecco Kareen e la sua piccola Marta, bimba di 10 anni che vive a Bolzano.

Kareen, da dove arriva “L’animo leggero”?

È un libro che avevo dentro da una decina d’anni. È stata una lunga maturazione. 3 anni fa ho iniziato a scrivere testi sotto forma racconti e ho visto che convergevano tutti sullo stesso tema. Così ho iniziato un’opera sartoriale, a cucirli insieme. Pian piano ho dato forma al romanzo. Il processo è stato uno scavare dal basso verso l’alto, cercando di capire cosa saliva dalle viscere fino su, al cielo.

Sei altoatesina, ma non era mica scontato che il tuo romanzo dovesse ambientarsi proprio qui. Perché l’hai fatto?

È ambientato in Alto Adige, o meglio a Bolzano, perché è un romanzo di formazione, io sono nata lì e ho questo retroterra culturale nella memoria. È un libro su una bambina che si cerca, che cerca di andare oltre i conflitti, che non sono solo etnici. È vero che è cresciuta in questa realtà immersa tra italiani e tedeschi, che lei e le sue amiche chiamano K e V. È un gioco, che svuota anche di senso, e questi conflitti italiani e tedeschi potrebbero essere anche quelli di quartieri alti contro bassi, di comunisti contro fascisti, di ricchi contro poveri. Se fossi nata nei Paesi Baschi, avrei usato lo stesso linguaggio, cambiando solo gli aggettivi. In sostanza, è un libro su come si schivano i colpi e le sassate della storia e del destino. Marta è nata lì e non altrove, cresce mettendo nella sua valigia quel che può vedere intorno a sé, cercando il posto che potrà avere nella vita, usando quel che ha nel suo bagaglio.

Credi che il successo ottenuto da “Eva dorme” di Francesca Melandri abbia in qualche modo risvegliato la curiosità dei lettori verso la strana alterità dell’Alto Adige? E credi che questo interesse possa fare da traino anche al tuo libro?

Sì, sicuramente. “Eva dorme” è un romanzo che ha parlato tanto e bene dell’Alto Adige, dal punto di vista storico. Questo ha certamente creato un interesse che prima non c’era. Forse potrebbe fare da traino, ma non lo so per certo. Magari qualcuno potrebbe dire: “Basta Alto Adige!”. O magari, dopo aver capito meglio la nostra terra attraverso lo sguardo storico di Francesca, qualcuno potrebbe essere più pronto ad affrontare questa mia storia, molto personale, ambientata nello stesso territorio.

Quali sono state le tappe – parlando di lavoro, vita e scrittura – per arrivare fino questo fatidico 12 marzo 2013, giorno di uscita del libro?

È stato un percorso lungo e tormentato. Ho frequentato il liceo linguistico Rainerum a Bolzano, poi ho studiato lettere moderne a Trento e a Torino ho frequentato la scuola di scrittura Holden (quella di Alessandro Baricco ndr). Ho sempre avuto voglia di provare a scrivere, ho partecipato anche concorsi, alcuni vinti altri no. Dopo la Holden però, non ho più scritto per molti anni, fino a 3 anni fa, quando ho anche sentito il bisogno di tornare in Alto Adige. Non credo sia una coincidenza che il libro sia nato quando sono tornata qui, e quando è nata mia figlia. Sono due episodi che hanno avuto un grande impatto sul libro.

Ma nel tempo in cui non scrivevi, in Francia, cosa facevi?

A Parigi lavoravo tra musei (come il Musee D’Orsay) e gallerie d’arte. Mi è sempre piaciuto ciò che ha a che fare con arte e fotografia. E poi anche in qualche casa editrice come lettrice di libri per l’infanzia. Ho fatto anche traduzioni e lavorato per qualche ufficio stampa. Il settore, in pratica, è un po’ stato sempre quello.

E Mondadori, invece, come e quando è arrivata sul tuo cammino? Mica facile per un esordiente arrivare alla pubblicazione con una casa editrice grande e grossa, no?

Mondadori è arrivata dopo aver spedito, come sempre si fa, il testo a molte case editrici. All’inizio è stato rifiutato, anche da Mondadori, che però è stata l’unica a sentire che c’era qualcosa di forte nel romanzo, che c’era del potenziale. Il lavoro però non era ancora maturo. Mancava di una struttura forte che lo portasse dall’inizio alla fine, era un po’ scucito. In fondo il tempo che ci avevo dedicato era poco, era ancora una stesura da “ritaglio di tempo”. In quel periodo lavoravo nell’ufficio stampa del Tis, avevo una bambina e scrivevo durante la pausa pranzo prima che la piccola si svegliasse dal riposino. Una casa editrice non riesce a lavorare con materiale di questo tipo e alla Mondadori mi hanno chiesto di lavorarci ancora, senza contratto, per conto mio. Mi hanno dato delle indicazioni che ho seguito, ho ribaltato il libro dal profondo e dopo circa 6 mesi di lavoro e c’è stato da parte loro un interesse maggiore. Il romanzo era pronto e così con la bravissima redattrice della casa editrice è iniziato il lavoro per arrivare alla pubblicazione. Ho tolto aggiunto spostato, per arrivare al giorno della stampa.

Cosa hai provato quando ti è arrivato a casa il pacco che conteneva la prima copia del tuo primo libro, fresco di stampa?

La prima sensazione è stata di terrore. Non avrei voluto aprirlo, credo sia normale, temevo ci fossero errori. Quando lavori così tanto su un testo, perde un po’ di magia, ma poi la recupera. Avevo paura di rileggere certe frasi. Così non l’ho nemmeno sfogliato. Mio marito però lo leggeva la sera prima di dormire e questo mi ha dato una grande emozione.

Chi è, o potrebbe essere, il tuo lettore ideale? Chi vorresti leggesse questo libro?

Non sono ancora in grado di avere pubblico ideale. Vorrei lo leggessero persone che abbiamo voglia di entrare in un universo ricco di immaginazione. Vorrei parlare a chi ha ancora voglia di toccare un mondo appeso tra infanzia ed età adulta. Il mondo adulto, nel romanzo, si può rivedere in ciò che vive la piccola Marta, ed è un modo per guardarsi attraverso gli occhi di una bimba che cerca di decifrare il mondo che la circonda.

Libri di carta o e-book?

Carta. Non perché snobbo la tecnologia, l’e-book è fantastico, ma io sono una di quelle che se non vede una cosa, non la tocca, non sente che questa cosa esiste realmente. Faccio fatica a muovermi io con questi formati, ma conosco ottimi lettori di e-book. E poi, finché si legge…

Un’ultima domanda. Kareen da grande, farà la scrittrice?

Sì. Mi sento già grande, perché sono arrivata a fare quello che volevo fare da piccola. Spero di continuare. C’è sempre un burrone dopo il libro esordio, se si guardano le statistiche, molti dopo il primo si fermano. Ma io ho ancora qualche storia da raccontare. Spero di riuscire a farlo, e a farlo bene.

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