Paola Turci il 12 al Cristallo: “Sono pessimista ma credo all’utopia del camminare”

Paola Turci il 12 al Cristallo: “Sono pessimista ma credo all’utopia del camminare”
Sarà Paola Turci con le sue “Storie degli altri” (2012) a chiudere martedì prossimo, 12 marzo alle 21 al Cristallo, la rassegna “Racconti di Musica”. Cantautrice della generazione di Silvestri e Gazzè, con la sua voce calda e le sue parole semplici ha lasciato un’impronta profonda sulla canzone italiana, creando con coerenza e passione un filo sottile tra passato e presente, tradizione e modernità. Nel 2009, con l’album “Attraversami il cuore” è iniziato il sodalizio artistico con Francesco Bianconi, leader dei Baustelle, una delle penne più originali della canzone d’autore odierna: un passo importante che ha aggiunto profondità e freschezza al repertorio. Oggi la ritroviamo a Bolzano, in chiave intimistica, chitarra e voce e poco altro. Lei e le sue canzoni, che dopo quasi trent’anni di carriera sono tante. L’ho chiamata al telefono per chiederle due cose sull’Italia, il suo lavoro e lo stato di salute della canzone italiana, e abbiamo deciso, da subito, di darci del tu.
In un’intervista su Vanity Fair di aprile, ti sei definita pessimista sul futuro del nostro paese, volevo capire come la tua visione era cambiata dopo questa stramba tornata elettorale?
(risate) Mi hai strappato una risata… perché ormai sono anni che parliamo di momenti difficili, di periodo buio, eccetera… Ma credo che non siamo mai arrivati a questo punto, non siamo mai arrivati ad un punto di spaccatura come questo, in un punto in cui la protesta si fa sentire in maniera molto forte. Mi aspettavo come molti altri l’affermazione di Grillo, che il M5S sia diventato il primo partito del paese non mi stupisce. Però certamente non mi aspettavo una rimonta così spettacolare, in soli due mesi di campagna elettorale, di Berlusconi… sono incapace di trovare un perché a tutto questo. Prevale in me un sentimento di rassegnazione, però credo che in qualche modo bisognerà risollevarsi, qualche cosa dovrà avvenire.
E in questa situazione pensi che il M5S possa aiutare il paese a trovare la rotta?
Penso che ci si possa aspettare qualcosa di nuovo. Le premesse ci sono, le proposte ci sono, bisogna vedere se seguiranno azioni coerenti. La coerenza sul lungo periodo sarà il vero metro di giudizio, un fattore che manca sempre di più in questa nostra Italia. Credo che il vecchio modo di fare politica sia morto… Non so cosa succederà, probabilmente ha ragione Grillo: se avrà la capacità, la forza e la coerenza per portare avanti le sue proposte di cambiamento, probabilmente qualcosa cambierà.
Rispetto a questa nostra Italia, il tuo ultimo lavoro “Le storie degli altri” cercava un po’ di fotografare la situazione, attraverso immagini forti e testi anche piuttosto crudi. Però nel complesso è stato definito un album di speranza. Dove possiamo e dobbiamo cercare motivi di speranza?
Nel nostro fare, nel nostro camminare. Più che speranza, la chiamerei utopia. È questa che mi dà la capacità di credere ancora in qualche cosa. La speranza ha a che fare con il nostro intimo, mentre l’utopia è quella che ci spinge a fare qualcosa, come diceva Galeano, vedendo che c’è un orizzonte: l’orizzonte si sposta sempre in avanti e tu sei costretto a fare dei passi avanti per raggiungerlo. Il senso è fare comunque qualcosa, alzarsi e camminare… questo è il senso della nostra vita, credo.
Nell’album è contenuta una cover, come accade spesso nei tuoi album. Una cover di una canzone di Giorgio Gaber “Si può”. Un inno alla libertà, alla creatività, ma quel retrogusto un po’ amaro che è tipico della poetica gaberiana. Perché ripescare oggi quella canzone?
È un brano che si è evoluto nella scrittura negli anni, Gaber e Luporini l’hanno modificata ben tre volte, l’hanno aggiornata e questo mi diverte molto. Io ho cantato quella del 2001, la più recente. La canzone è una riflessione su dove può arrivare l’essere umano, con riferimento all’America… Tutta questa libertà, ma per farne che, per arrivare dove? Forse qualche sano paletto ci vuole ogni tanto… Noi a Roma diciamo “non t’allargà”. Questo pensiero mi interessava e mi sembrava coerente con il disco, un concetto molto attuale.
In tutta la trilogia di cui fa parte “Le storie degli altri” c’è sempre la presenzadi un autore classico (Modugno, Fossati, Gaber) e di un autore moderno (Francesco Bianconi). È cose se ci fosse la voglia di annodare la canzone attuale alla grande tradizione della canzone d’autore italiana, è così?
Sì questo riflette la mia voglia di abbracciare la storia e la contemporaneità. E poi, più semplicemente, di abbracciare ciò che amo. Tutto quello che mi piace e amo lo riverso nei miei dischi. Questa è stata un po’ la metodologia che ho scelto per gli ultimi tre dischi, mettere vicini il passato e il presente, la storia della musica italiana e un autore contemporaneo, la storia che è stata scritta e la storia che c’è ancora da scrivere.
Rispetto alla canzone d’oggi, abbiamo visto anche a Sanremo come sia sempre più legata al mondo dei talent show. Come vedi questa trasformazione?
In realtà non c’è nulla di nuovo, ci sono sempre stati gli interpreti, le grandi voci, che cantano canzoni scritte da altri. Anche oggi ci sono degli interpreti che sanno fare bene il loro lavoro. Io ho iniziato molti anni fa e mi ricordo che c’erano dei cantanti che non riuscivano neanche ad essere intonati, parliamo dell’abc… Oggi invece il livello mi sembra molto alto, i ragazzi dei talent che si sono esibiti a Sanremo hanno fatto un’esibizione impeccabile. La divisione interprete-autore è sempre esistita e oggi questo modo di concepire la musica è dominante: una bella voce che si abbina a delle parole scritte da un autore. La canzone d’autore comunque c’è e sopravvive, penso ad esempio a Malika Ayane, secondo me la migliore delle cantanti emerse in questi anni, un’artista capace di creare un ponte tra passato e futuro. Oggi certo la musica italiana sottostà a regole precise, che sono quelle commerciali, radiofoniche, televisive…. A uno può stare bene, ad un altro no, sono delle scelte. Quello non è il mio modo di concepire la musica, ma lo rispetto.