Diario semiserio del musicista fuori sede #01. Da una sedia estremamente comoda in una serata allegra

Diario semiserio del musicista fuori sede #01. Da una sedia estremamente comoda in una serata allegra

Quando Anna (la nostra cara caporedattrice) mi ha proposto di iniziare una rubrica su Franz a tema “studente fuori sede”, ero alquanto dubbioso. Avrei dovuto tenere una sorta di diario delle mie esperienze di vita e di studio a Padova. Ma a chi poteva mai interessare una cosa simile?

In risposta alle mie perplessità, mi è arrivata via mail (sempre da Anna) un elenco di temi riguardanti questa condizione particolare che possono rievocare memorie in chi c’è passato e incuriosire chi non ha mai avuto l’onore (o onere) di trovarsi in tale situazione. Che dire? Cercherò di essere all’altezza della situazione!

Innanzi tutto devo presentarmi.

Penso che ben pochi avranno una vaga idea di chi io sia, dalla manciata di articoli su Franz quest’estate, riguardo al Festival Busoni 2012.

Per coloro che si ricordano la mia facciona come immagine profilo in basso, ben ritrovati! Per tutti gli altri piacere, Alessandro, studente di pianoforte al Conservatorio. A ben pensarci è ora di modificare la mia descrizione da “Conservatorio Claudio Monteverdi di Bolzano” in “Conservatorio Cesare Pollini di Padova”.

Ora vivo in una città che avevo visto qualche volta di sfuggita perché ci studia mia sorella, dove studio musica tutto il giorno, dalle 9 di mattina alle 18.30 di sera e continuo anche dopo, tornato a casa, quando devo mettermi a studiare le altre materie. Senza tediarvi con tutte le ragioni che hanno motivato il mio trasloco, mi soffermo su quella che risulta più importante ora: cambiare aria.

Un anno fa un mio amico mi disse “bisogna andarsene da Bolzano”. Poi eventualmente tornarci, ma prima bisogna essersene andati. Questo diede davvero moltissimo su cui riflettere e mise per la prima volta in crisi la mia ferrea risoluzione di finire il Conservatorio nella mia città, nel mio ambiente, nella mia casa. E vedere tutti i miei amici, i miei compagni di classe, le mie conoscenze andarsene verso altre città, altri stati, per me proprio altri mondi, mi fece ancora più dubitare. La mia idea di prendere e andarmene, diventava sempre più forte. Sono miseramente crollato quando una mia amica se ne uscì dicendomi che cercava due coinquilini per il suo nuovo appartamento.

Non avevo più scuse.

Dunque eccomi qui, comodamente seduto su una morbida sedia dell’Ikea di un mio coinquilino, finita per qualche misterioso motivo in camera mia, a scrivere la prima pagina di un bislacco diario in cui riversare ogni due settimane tutte l’onda impetuosa di sensazioni e riflessioni da cui vengo costantemente investito in questa terra patavina, dove ogni cosa è nuova e sensazionale.

La prima e forse più importante, riguarda proprio la casa e, riducendo ancora, la mia stanza. O per meglio dire il mio riquadro di stanza. Era dai tempi delle medie che non dovevo dividere la stanza da letto e ora mi ritrovo a farlo, con un fisico, per giunta. Per me che vengo dal Liceo classico e – oltre alle nozioni basilari – in fisica sono una benemerita capra, questo ha rappresentato un’ulteriore fonte di shock.

Ora devo regolare i miei orari di sonno su quelli di studio del mio compagno di stanza, fare attenzione quando mi sveglio presto e lui dorme di più, per non disturbarlo oppure al contrario accendergli la luce se deve alzarsi anche lui (anche se con la luce torna puntualmente a riappisolarsi, anziché destarsi, strane creature, i fisici) oppure al contrario ignorarlo e girarmi dall’altra quando è lui ad alzarsi per primo. Quando lui studia devo fare molta attenzione a entrare in camera di soppiatto, cercando di non farmi notare, schivare le mie scarpe che giacciono disordinatamente ai piedi del letto, oltrepassare la lavagna a forma di lumaca extraterrestre su cui lui appunta le formule (e con scarso successo anche i messaggi al resto della casa [ovviamente non li notiamo mai in mezzo alle formule]), scalare la Sacra Montagna dei Vestiti Sporchi per giungere al mio armadio in cui depositare le vesti, prima di buttarmi esanime sul letto a cercare la voglia di studiare armonia tra le pieghe della coperta e la morbidezza del cuscino. Ma più di ogni cosa, sonno, armadi e studio, ciò che mi ha scosso è stato l’essere privato della mia tana. La stanza (singola) di un adolescente è il suo nido, il suo luogo intoccabile da tenere in disordine secondo misura e in cui rifugiarsi qualsiasi cosa sia accaduta durante il giorno. E’ un posto in cui poter stare appartati, da soli o con altre persone, il proprio regno su cui, pulizie a parte, governare come despota illuminato.

Ma ora non più!

Convivere con quattro coinquilini e dividere con uno di loro la camera da letto è straniante. Ti catapulta fuori dalla routine, dalla sicurezza, dall’avere un posto in cui poter star soli e non parlare, in cui poter gestire sé stesso, ignorando tutto e tutti. Di colpo, lì dove badavo ai miei comodi (ore in cui dormire, luci accese a piacimento, disturbi ossessivi compulsivi sull’ordine simmetrico della stanza, momenti in cui studiare e pieno possesso di ogni centimetro dello spazio), ora devo tenere conto di un altro individuo, che fa studi completamente diversi dai miei, ha orari diversi, abitudini diverse e esigenze diverse.

Questa è stata la prima grande lezione di Padova: adattarsi. In una doppia (in cui ricordo ai lettori che si paga di meno che non in singola) o ti abitui o ti abitui, non ci sono alternative, se vuoi sopravvivere. E crescere, maturare, evolverti, imparando a rispettare e ad essere flessibile. Con questo meccanismo spietatamente darwiniano chiudo questa prima pagina di diario, un po’ troppo seria per i miei gusti, ma suvvia, dovevo pur cominciare in qualche maniera!

Se avrete piacere di seguire le innumerevoli piccole avventure (e disavventure) di un musicista fuori sede, vi rimando a fra due settimane, magari con qualcosa di più di una semplice stanza. Almeno l’intera casa!

fotografia di Chiara Esposito

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