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February 15, 2013
Bolzano Ovest Basilico Bozen West. Come lo sguardo di Gabriele Basilico ha cambiato la città
Anna Quinz
Bolzano, è una città che è due città. C’è la Bolzano delle cartoline, la Bolzano di Walther e dei banchi ordinati e colorati di frutta e verdura, la Bolzano delle viuzze pedonali del centro storico, perfetto, impeccabile, ordinato e un po’ esotico e naiv per chi arriva da sud. E poi c’è la seconda Bolzano. La Bolzano delle periferie, dei palazzoni alti e apparentemente anonimi, la Bolzano “degli italiani”, la Bolzano che quelli della prima Bolzano hanno per lungo tempo chiamato “Shangai”.
In questi giorni, visto il lutto che ha colpito il mondo dell’arte – la scomparsa di uno dei “mostri sacri” della fotografia italiana Gabriele Basilico – mi sono ricordata di un volumetto pubblicata da Charta nel 2000, per richiesta della Provincia di Bolzano, che raccoglie una serie di scatti di Basilico fatti nella “seconda” Bolzano, denominata nel titolo del libro Bolzano Ovest-Bozen West.
Riprenderlo in mano è stato un gesto interessante e significativo, per me che ricordo perfettamente la prima volta in cui bambina – e abitante del centro di Bolzano – sono andata a trovare un’amica nell’altra città che era la mia città. Ricordo l’effetto forte, dovuto soprattutto alle mie dimensioni di allora piccola umana, che i grandi palazzoni di viale Europa (e aree limitrofe) mi hanno fatto. Per la prima volta mi sono confrontata con il concetto di “periferia”, per la prima volta ho visto e scoperto altri modi dell’abitare, del costruire, del vivere. E l’impatto è stato notevole. Ricordo anche che quei grandi strani palazzi mi sono sembrati brutti, fuori posto nella cornice magica delle montagne che circondano la città. Eppure, oggi, riguardando gli scatti di Basilico, non posso non pensare che in quella precisa e chiara estetica della periferia, si nasconda un fascino speciale che il mio inesperto occhio di bambina non aveva saputo cogliere. Le foto di Basilico raccontano una città che non è più solo Bolzano, raccontano un “essere periferia” che accomuna la nostra città alle altre città, perfino alle metropoli. Questi alti palazzi apparentemente anonimi, questi alveari di vita privati nelle foto della vita (umana) stessa, diventano simbolo urbano di un “essere città” che non può che far bene al nostro occhio e alle nostre menti così fortemente Bolzano-centriche, dove per Bolzano si intende il quadrilatero racchiuso tra ponte Talvera, la stazione dei treni e la funivia del Renon. Le foto del maestro allargano e aprono i confini della città, rendono bello ciò che fino ad un attimo prima non lo era (o non lo sembrava), rendono assoluto ciò che è profondamente connotato, ridimensionano preconcetti e distanze create più dalle persone che dalla muratura, trasformano – anche grazie al bianco e nero tipico del suo lavoro – in simbolo ciò che nella bocca di molti è stato a lungo scempio.
L’”altra” Bolzano ritratta da Basilico, dopo un abbondante decennio, non è più la stessa. La zona Europa-Don Bosco non è più “periferia”, la città è ancora e ancora cresciuta e forse oggi, se il maestro fosse ancora tra noi e venisse invitato a fotografare Bolzano, verrebbe portato nel quartiere di Firmian o in altre aree di nuovo sviluppo cittadino.
Eppure, proprio grazie a Basilico, l’area urbana raccontata in una manciata di suggestive fotografie, ha smesso già da allora di essere “altra”. Ha acquisito pari – e forse anche maggiore, proprio per il passaggio del grande fotografo – dignità della Bolzano da cartolina postale.
Quei paesaggi urbani assoluti, quelle geometrie portate all’estremo, quelle forme sottolineate da un occhio tecnico ma profondamente critico, quella statuaria e maestosa forza che esce da ogni palazzo (e che sfugge quasi sempre allo sguardo di chi osserva “dal vivo”) e che lo trasforma in un monumento abitativo alla civiltà moderna, hanno riscattato un intero quartiere spesso considerato marginale, e con esso, potere del genio, un’intera città. Che si è tolta di dosso il peso della sua naivite, divenendo, molto più semplicemente e molto più profondamente, città.
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