Him, if the wizard is a wizard you will see… A teatro con Adolf Hitler (ma sarà veramente lui?)

“Il mio personaggio ha le fattezze di Adolf Hitler, anche se non è scontato dire che sia proprio lui. È un signore che gli somiglia molto, che ci ricorda questa emblematica figura e che si presenta in scena in una posizione particolare: in ginocchio”. Già da queste prime parole, ascoltate al telefono dalla voce di Marco Cavalcoli, l’attore che interpreta lo spettacolo “Him. If the wizard is a wizard you will see…” di Fanny & Alexander (sabato sera al Teatro alla Cartiera di Rovereto ore 20.45, per la rassegna “Altro Palco”), si può capire che lo spettacolo che vedremo non ci lascerà indifferenti. Entreremo in sala, ci siederemo comodamente sulle nostre poltrone, il palco si aprirà e ci troveremo faccia a faccia con la faccia dell’orrore. Per costruire questo personaggio – e questo spettacolo – i sempre intelligenti ragazzi di Fanny & Alexander, si sono ispirati ad una famosa opera (che ha lo stesso titolo della piéce) dell’artista Maurizio Cattelan, che tra l’altro è stata recentemente esposta nel ghetto di Varsavia, creando un certo scompiglio. “Da una parte si tratta di una piccola figura, un esserino in ginocchio, in posizione di punizione o preghiera” continua Marco. “Fa pure un po’ tenerezza, ma poi ti avvicini e rimani agghiacciato, perché ti accorgi che questa figuretta così innocente in realtà ha le fattezze del simbolo del male e dell’orrore, Adolf Hitler”.
Parole che sono un pugno nello stomaco (figurato) e che fanno presagire gli altri pugni che probabilmente ci colpiranno durante lo spettacolo. Questo, inevitabilmente, porta ad una curiosità quasi morbosa di scoprire cosa ci riserverà l’interpretazione di Marco Cavalcoli. E per soddisfare già un po’ di questa curiosità, a Marco abbiamo fatto qualche domanda. E ci siamo presi qualche atro pugno, ascoltando le risposte.
Marco, raccontami della genesi dello spettacolo. Perché e come portare Hitler, o un personaggio che gli somiglia così tanto, nel vostro spettacolo?
Abbiamo lavorato, partendo dall’opera di Cattelan, a proposito del Mago di Oz, che è il mito di riferimento di questo e di altri nostri spettacoli. Il Mago nel racconto originale è un ciarlatano, una grande delusione per Dorothy e i suoi compagni, perché non è potente in realtà, ma un impostore, che riesce però a soddisfare tutti in modo rocambolesco. Si presenta come un buon uomo che cerca di fare il suo meglio, risultando però un pasticcione. In realtà questo pasticcione non è affatto un buon uomo, ma una figura ambigua, che occupa una posizione di potere ingannando tutti, ma non solo. Spaventato di essere scoperto, la sua prima reazione è quella di mandare Dorothy ad uccidere strega: una missione suicida. Abbiamo giocato su questa ambiguità del racconto e del film, per interrogarci sulle figure di potere, che sono da un lato terribili, dall’altro seducenti, accattivanti, perfino simpatici. Nello spettacolo, semplicemente, questo personaggio ha fatto fuori tutti i personaggi della storia e decide da solo di appropriarsene. Così, fa le voci di tutti, interpreta, doppia, mentre il film scorre alle sue spalle, in un vero delirio di onnipotenza. Noi lo abbiamo chiamato un ditt-attore, che in questo delirio ottiene anche effetti grotteschi, assurdi. L’effetto è straniante, sempre in bilico tra divertimento e la strana sensazione che a farti divertire sia il simbolo dell’orrore.
Da attore e da uomo, cosa significa confrontarsi con una figura ingombrante e terribile come quella di Hitler? Come hai lavorato su questo e su te stesso per interpretare questa parte?
È impegnativo, anche perché non devi farti vincere dal dubbio che sia una cosa che non si può fare. Se cadi nel tabù, dai potere a questa figura storica che ci portiamo tutti dentro. Poi devi giocare in modo ambiguo tra le vicende giocose e fiabesche (ma con un forte tasso di dramma) che accadono nel film, inserendo sottotraccia qualche spia di questo male incombente. Nello spettacolo lavoro con un meccanismo di eterodirezione. Nelle orecchie ho la colonna sonora del film e vengo trascinato in questo doppiaggio strano. Normalmente, quando l’attore entra in scena, fa il mattatore, con i suoi tempi, le sue pause. Volevamo evitare questo e lavorare sul come la persona – spettatore, attore e personaggio – sia trascinata dagli eventi, dalla partitura, dal quadro che gli viene costruita intorno. Il personaggio diventa così una figura vuota, una marionetta. Io allora vengo trascinato in questa natura di marionetta, tenendo sempre presente il fondo di odio e cattiveria che traspare, e colora di nero anche la risata più squillante.
Mi viene in mente, sentendoti parlare, il vostro spettacolo “West” con Francesca Mazza (visto a Bolzano durante la stagione 2012 degli “Altri Percorsi” del Teatro Stabile), dove la non più giovane Dorothy veniva guidata in ogni sua mossa in scena da una voce “da fuori” che sentiva solo lei, in cuffia. Anche tu, in “Him” sei controllato dall’esterno, ma quanta disciplina, rigore, controllo e anche umiltà, servono a un attore per fare questo, per lasciarsi muovere da altri?
In realtà è un lavoro che richiede molta concentrazione e che all’inizio può spaventare perché ci si sente poco liberi, dovendo seguire degli ordini. La cosa strana è che quando inizi a prendere familiarità con questi ordini e impari il gioco, puoi abbandonarti a quello che succede in modo sorprendente, anche più di una “normale” presenza in scena. Il fatto di essere sostenuti da un comando esterno che ti dice cosa fare, ti porta a muoverti in automatico come una marionetta, e questo ti permette di concentrarti su cose più sottili: come puoi dare senso e cuore alla tua prova di attore? Abbiamo provato questo meccanismo anche con altri attori o con non professionisti durante alcuni laboratori e l’effetto è sempre lo stesso: a un certo punto, essere diretti dall’esterno, diventa una specie di droga. È anche un esperimento sociale e politico interessante: il piacere di abbandonarsi all’ordine di qualcun altro, la perdita di responsabilità. La differenza con “West” è che qui il ditt-attore si abbandona alla direzione, la condivide, è il suo strumento di seduzione dell’uditorio. In “West” Francesca segue totalmente gli ordini, ma umanamente si ribella, mantiene quel briciolo di umanità che permette di resistere alle peggiori situazioni di coercizione. In “Him” invece si vede l’incantatore di serpenti in azione, qualcuno che si abbandona, per far perdere gli altri.
Vi siete ispirati a un lavoro di un’artista – Maurizio Cattelan, ma poi ne avete fatto altro. Dove resta l’arte, in tutto questo?
L’arte centra a partire dalla figura stessa del Mago di Oz. Che è un’illusionista, un incantatore. Fondamentalmente è un attore, pure lui. Abbiamo voluto lavorare sulla qualità attoriale di una persona come Hitler. È anche una cosa molto attuale nella politica che stiamo vivendo, sempre più spettacolarizzata. Chi si propone alla guida di un paese, come l’Italia ma non solo, normalmente incarna un personaggio. La cosa straordinaria di Hitler è che non solo aveva preso lezioni di recitazione, ma provava i suoi discorsi. Ci sono, a testimoniarlo, le foto bellissime e inquietanti di Heinrich Hoffman dove si vede un dittatore che ascolta i vinili dei suoi discorsi e allo specchio prova i gesti. Questa qualità, questo attore al potere, è una piccola dinamite nei meccanismi politici di comunicazione di massa. Abbiamo pensato a questo, a quanto sia pericolosa e affascinante questa dinamite e soprattutto quanto sia importante rifletterci sopra e conoscerla.