Aakash Odedra torna a Bolzano: “Dancers use their bodies to say things”

Aakash Odedra torna a Bolzano: “Dancers use their bodies to say things”
Aakash Odedra non è nuovo a Bolzano. Già l’estate scorsa è stato ospite del festival Bolzano Danza, dove con lo spettacolo “Rising” ha incantato il pubblico. Ma – ahimè – la sala dove il danzatore anglo-indiano si è esibito era quella piccola e intima del Teatro Studio. Dunque, a godere della sua impeccabile interpretazione, sono stati in pochi. Ecco perché per la stagione di opera e danza “13” , la Fondazione Teatro di Bolzano ha deciso di riportare in città lo stesso performer con lo stesso programma. In sala grande. Domani sera dunque (mercoledì 13 febbraio alle 20.00), Odedra tornerà a calcare le scene bolzanine, affrontando 4 brani coreografici, uno suo e gli altri di grandi nomi della danza di oggi: Akram Kahn, Russell Maliphant e Sidi Larbi Cherkaoui. Con la sua tecnica forte e perfetta, le influenze della danza indiana Kathak e l’intensità interpretativa, di certo Odedra riuscirà a conquistare anche i numerosi spettatori della sala più grande del teatro bolzanino. Noi, intanto, lo abbiamo intervistato, per conoscere meglio il suo lavoro e la sua personalità. Anche fuori dal palcoscenico.
Cosa significa per lei, a livello personale e umano, essere considerato uno dei migliori giovani interpreti di oggi?
La prima reazione è wow! I danzatori lavorano molto, fin da molto giovani. Per diventare un professionista di buon livello devi dedicare a questo molto del tuo tempo e sacrificare molte cose. Quindi, ricevere qualche riconoscimento, ricompensa della fatica del viaggio.
Tre dei quattro brani che interpreta sono di altri coreografi, uno è suo. Quali differenze di approccio tra il suo lavoro interpretativo e quello coreografico? E dei 3 coreografi quale ama di più? Quale sente più suo?
Quando ho creato questo lavoro, l’ho creato con il linguaggio del Kathak. Si tratta di un pezzo tecnico, che presenta se stesso come pura danza. Gli altri tre pezzi invece approcciano il lavoro in modo molto differente. Akram (Kahn) ha deliberatamente fatto in modo che io mi muovessi in modo molto diverso dal mio solito; Russel (Maliphant) è rimasto all’interno del mio vocabolario, ma ha lavorato su luce e musica in un modo totalmente nuovo; infine, i processi interni al movimento disegnato da Sidi (Larbi Cherkaoui), mi hanno portato pensare molto. Io non penso di “preferire” un coreografo rispetto agli altri. Ognuno ha dato un valido contributo alla mia formazione e al mio apprendimento, e ciascuno di loro lo ha fatto in un modo molto diverso.
Quali gli elementi che la fanno sentire “dentro” a un pezzo, soprattutto in questo caso dove si confronta, appunto, con linguaggi così diversi?
Quello che mi fa sentire davvero “dentro” ciascuno dei tre pezzi è il pensare alle intenzioni che ci stanno dentro e dietro. Come ballerino interpreto i lavori dei coreografi, e sono pertanto responsabile per la loro presentazione.
Quanto conta nel suo lavoro, la sua origine mista, il suo essere anglo-indiano e cosa significa per lei nella danza fondere stili contemporanei e danze tradizionali?
Significa avere a disposizione un linguaggio extra. I danzatori usano il corpo per dire delle cose. I coreografi usano il corpo dei danzatori per dire delle cose. Se parli due lingue diverse, vuol dire che puoi essere più creativo nel tuo modo di dire le cose, e raggiungere così più persone. Inoltre questo mi aiuta nel prendere alcuni concetti da altre culture per poi presentarli agli altri e mi dà la possibilità di sperimentare molto.
Rising è un “one man show”. Preferisce esibirsi da solo? Che emozioni prova, quando si alza il sipario e lei è lì da solo davanti alla platea?
Il Kathak è di solito eseguito in solo, quindi è questo quello che so. Ed è proprio questa provenienza dal Kathak a rendere il mio movimento “contemporaneo” diverso. Probabilmente darei molto nell’occhio, in un pezzo contemporaneo. Non è che preferisco danzare da solo, è che è pratico per quello che faccio. Se sei sul palco da solo, sai che tutti gli occhi sono su di te. Così è possibile nascondere un errore di interpretazione, dato che il pubblico non è a conoscenza dei dettagli coreografici. Ma non si può nascondere l’esecutore. Sanno se stai dando il tuo meglio.
Lo spettacolo è già stato a Bolzano, e visto il successo si è deciso di riproporlo a un pubblico più ampio. Come aveva vissuto la sua prima volta qui? Cosa si aspetta dalla seconda?
Bolzano è stata una meravigliosa esperienza. Già solo la sua collocazione geografica mi ha permesso di inserirmi subito. Mi piace essere in mezzo alla natura, e Bolzano permette esattamente questo. C’è un’energia che mi permette di rimanere creativo e rilassato. Questa volta, in scena, mi aspetto di dare ancora di più visto che Bolzano è stata così gentile da invitarmi di nuovo.
Quando non danza, che cosa fa nella vita? Le sue passioni, i suoi hobby?
Ho due bambini, cosi quando non sono in tour – che significa stare via a lungo, settimane o mesi – mi piace trascorrere quanto più tempo possibile con loro. La famiglia è molto importante per me. Quando sono in tour, mi piace visitare la città nella quale mi trovo e incontrare le persone, per capire cosa le rende così come sono.
Una volta, quando ho intervistato Akram Kahn, mi ha detto che per lui la casa è il suo corpo. Per lei invece cosa o dove è “casa”?
Akram ha ragione. La casa è il corpo. Come danzatore è lo strumento più importante. Come cittadino, è il mezzo che ti permette di sentirti a casa ovunque tu sia.