Giovedì grasso sul treno verso Trento, tra contadine, chef e minigonne inguinali

07.02.2013
Giovedì grasso sul treno verso Trento, tra contadine, chef e minigonne inguinali

È curioso osservare nel giorno di giovedì grasso come le persone – sopratutto gli adolescenti – si mascherano per carnevale. È un buon esercizio per meglio capire lo status quo della società e dell’essere giovani oggi.

Carnevale è una fesa strana, spesso sottovalutata. È una festa che rivela, per il fatto di mascherare, desideri nascosti, sogni e aspirazioni inespresse nei restanti 360 giorni dell’anno. A carnevale per qualche giorno posso essere chi desidero essere, posso fare ciò che desidero fare, posso per un attimo mettermi addosso il mio sogno e farlo diventare realtà. Oltre al non trascurabile effetto della trasgressione possibile, che va al di là delle maschere e ha più a che fare con reconditi lasciti di tempi in cui costrizioni forti limitavano la libertà personale: solo i giorni della festa restavano spiraglio per andare oltre il limite del concesso. Oggi la libertà e il libero arbitrio sono – o dovrebbero essere – dati di fatto. Ma il bisogno di trasgredire, di oltrepassare il confine, di lasciarsi andare, rimane forte e in questi giorni di coriandoli e stelle filanti si esprime al suo meglio.

Ma tornando alle maschere degli adolescenti, osservo, mentre in treno mi sposto da Bolzano a Trento, i ragazzi che mi circondano e faccio qualche pensiero sparso. Essere chi si desidera essere e non si è, dicevo. Dietro di me ho due ragazze felicemente travestite da chef. Grembiuli e cappelli inamidati, cestino per i cibi, sorriso sul volto (chissà perché dipinto di nero). Chissà se sono anche loro fan dei food show che spolpano al momento, chissà se sognano anche loro di diventare le nuove rockstar dei nostri giorni, chef stellati belli ricchi e famosi che con un paio di sapienti gesti mettono sul piatto e in bocca la felicità fatta Cibo.

Accanto a me invece una ragazzina bionda con treccine alla Heidi, guanciotte marcatamente rosse, dirndl, sarner e calzettoni di lana. E non è la prima che incontro travestita da “contadina”. Curioso pensare che in una terra agricola come la nostra, in un giorno in cui puoi essere una regina, Wonder Woman o Alice nel paese delle meraviglie, una ragazza decida di trasformarsi in un personaggio del suo quotidiano, nell’alter ego della nonna forse o della contadina che quando era bimba le portava le mele buone da sgranocchiare. Curioso pensare che si senta il desiderio – sempre molto comune nei carnevali bolzanini – di vivere sulla propria pelle una tradizione e un mestiere così profondamente radicati nel mostro sangue di montagna. Curioso ma affascinante fenomeno perché dà la cifra dell’attaccamento alla terra, forse il segnale di un trend di ritorno ai mestieri antichi, o forse solo una dichiarazione d’amore ingenua e spontanea verso le proprie origini?

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Altra cosa le maschere che ho davanti a me. Questa volta due ragazzi, bardati anch’essi con abiti della tradizione locale, ma con volto dipinto di nero, zaino in legno stipato di oggetti al limite del film horror (bambole mozzate, barattoli che sbattono con rumori inquietanti e simili amenità), paglia ai piedi e bastoni di osso corredati da inquietante pelo scuro. Non so se questo travestimento esprima un sogno recondito, di certo lascia trasparire quel bisogno di trasgressione di cui sopra. Il bisogno – esternato anche dai visi seri e impassibili – di fare i duri, ma di farlo all’altoatesina. Un mix tra krampus e contadino cattivo, tra vendicatore delle vigne e mostro degli incubi di tanti bambini. Chissà quando scenderanno da questo treno dove andranno a far paura ai propri coetanei. E chissà se domani, abbandonata la maschera, saranno ancora dei duri o torneranno a essere magari ragazzini timidi, impacciati e brufolosi.

Altra maschera che incontro, in questo pomeriggio soleggiato, è quella dell’operaio. Tuta da lavoro, elmetto, un po’ di calce qua e là, e via, la maschera è pronta. Scelta dettata forse da pigrizia (poco ci vuole per costruire il tutto) che potrebbe però nascondere altri significati. Certo non è il sogno della vita di un ragazzino quello di fare l’operaio, ma allora quale immaginario si nasconde dietro questa figura professionale agli occhi di un 16enne? Certo è che, di questi tempi, la cosa dà da pensare e fa anche sperare in una capacità dei giovani di oggi di non essere poi così choosy come qualcuno pretendeva.

Ultima maschera, più gettonata tra quelle incontrate, è quella indefinita e indefinibile scelta da molte ragazzine che, nell’intento di trasgredite ai costumi quotidiani, decidono a carnevale di lasciare a casa il “buon costume”. Tante, troppe le ragazze che incontro con minigonne inguinali, calze a rete e trucco sgargiante. E mi chiedo inevitabilmente da donnachequasipotrebbersseretuamadre quale sia il messaggio sotteso che cercano di trasmettere. Svestirsi per sentirsi cosa per un giorno? Mostrare per raccontare quale aspetto normalmente nascosto di sé? Non so se l’idea che sta dietro a questa scelta sia quella di “mi vesto da quella che fa il più antico mestiere del mondo”, eppure, i miei occhi forse bacchettoni, questo è quello che vedono. E la cosa – ammetto – un po’ mi lascia perplessa. Avevo notato questo fenomeno già un anno fa e già allora mi aveva incuriosito, ma un secondo anno dà il segnale di un trend radicato che racconta le giovani donne ancora incerte forse sulla loro femminilità e sulla loro posizione nella società (e lo dice una non femminista). Giovani donne che preferiscono alla buona vecchia maschera da gattina (molto più sexy a ben guardare) quella indefinita da velina, da svestita showgirl televisiva. E questo dà da pensare, senza entrare ora nel dibattito su quelli che sono i miti delle nuove generazioni… Io comunque, come maschera, preferisco quella da cara vecchia, rassicurante contadina Heidi.

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