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November 1, 2012

Simone Rainer: matematica e alchimia da portare in borsetta

Anna Quinz

Lo showroom milanese dello stilista Simone Rainer – nato a Vipiteno 27 anni fa – è immerso in una delle zone più “calde” del sistema moda della città. In questo spazio elegante e raffinato, Simone si muove con passi esperti e sicuri, anche se è solo da pochi anni che esiste un marchio che porta il suo nome e che produce splendide borse gioiello oggetto del desiderio per tante donne. Ma non sono solo borse belle le sue, sono anche borse con un perché profondo, fatto di numeri, formule alchemiche, calcoli matematici, frattali e altre questioni difficili per i più. Perché prima di fare lo stilista, Simone voleva studiare matematica. Ma un po’ per l’influenza della nonna sarta, per il corso di moda frequentato con successo e per un ingaggio in una delle più grandi maison della pelletteria, Simone non è più tornato allo studiolo del matematico, preferendo ad esso l’atelier dello stilista. Il primo amore però non si scorda mai, ecco perché le sue collezioni uniscono sempre un percorso non finito – la matematica – e uno iniziato – la moda. Pensieri chiari e lineari, modi gentili, gesti raffinati, occhi chiari che rivelano guardandoli attentamente, il profilo delle montagne dalle quali è partito: così si presenta Simone, giovane altoatesino di talento, che ha saputo mettere tutta la sua profondità, le sue idee, le sue passioni, le sue origini un po’ “esotiche”, la sua storia, tutto dentro una borsetta.

Simone, quale la genesi della prima borsa, dalla quale tutto è partito?

La prima borsa, è nata ispirandomi a Stromboli dove ero in residenza per un progetto specifico. La pelle scelta voleva rappresentare la terra grezza e forte del vulcano. La forma triangolare era basata su rigide e specifiche logiche numeriche. Da lì, visto che la borsa ha funzionato, è nata una prima collezione, disegnata ispirandomi a elementi alchemici: mi interessava l’oro una vera sfida, in tempi di crisi. Ora sono passato alla ricerca sul corpo umano, che ispira le nuove borse, che hanno forme nuove come il cerchio, il pentagono, che ricordano quelle degli organi interni. Anche qui, entrano in gioco logiche matematiche e numeriche, che però forse non starò a spiegare ora…

Cosa prova quando, per caso incrocia una donna che indossa un suo modello?

Quando mi capita, sono felice. Ho la sensazione concreta di aver fatto qualcosa per qualcuno. Finché le tue borse le vedi in uno scaffale o nelle vetrine di una boutique, sembrano oggetti di nessuno. È quando le scopri abbinate a una persona che non conosci, che prendono un significato nuovo. È un’emozione forte, subentra un piacere quasi voyeuristico, perché tu sai esattamente che cosa quella sconosciuta ha in mano. L’hai fatto tu, e lei non lo sa. Ed è divertente osservare da lontano, non andrei mai a dire “sai, l’ho fatta io”.

Che rapporto ha con Milano, capitale della moda? E con l’Alto Adige, terra d’origine?

Milano è una città a misura d’uomo. È un paesone, che ha velleità da grande città. Ma in sé conserva tutti i difetti del paesone. Dovrebbe essere la porta internazionale dell’Italia, ma non ce la fa a esserlo. Io ci sto bene comunque. Un po’ mi manca il senso delle stagioni perché sono  cresciuto in Alto Adige, dove si sente forte e chiaro il passaggio naturale da una stagione all’altra, con le prime foglie che cadono, la prima neve, i primi boccioli… All’inizio poi avevo un po’ di “mal da Heidi”. Il non vedere le montagne mi faceva male. In fondo – lo dice la parte scientifica di me – le montagne sono grosse masse di materia, che esercitano una pressione forte sulle persone. Se sei abituato a questa pressione, poi ti manca. E poi – qui è l’esteta che parla – un orizzonte piatto, è noioso.

La sua “altoatesinità” la influenza nella sua vita e nel suo lavoro?

Sono felice di essere cresciuto lì, di essere bilingue e di sapere per esperienza diretta che cos’è un animale (molti milanesi sanno com’è fatta una mucca, ma dal vivo non l’hanno mai vista). Qui il mio cognome tedesco è esotico, soprattutto per esterofili come gli italiani. Questo funziona e aiuta. Però se tutto fosse “alla tedesca”, Simone dovrebbe essere nome femminile, e questo un po’ spiazza quando le persone mi incontrano. Queste particolarità tutte altoatesine, sono di certo vincenti. Spesso c’è un immaginario molto romantico dell’Alto Adige, e un po’ mi spiace doverlo spezzare, comunque tutti percepiscono che arrivi da un posto bello e questo predispone positivamente.

In un mondo creativo e un po’ “pazzo”, come quello della moda, come si posiziona un “matematico”? Perché poi, le piace questa disciplina così complessa?

La matematica mi piace perché è chiara. È un lavoro pulito. Ha comunque degli inghippi, non è perfetta (e la mia collezione, è proprio sui numeri irrazionali, che poi si basa). I numeri però sono dei veri e propri linguaggi. Tutto è fatto di numeri. Anche ciò che è creativo, ha delle dimensioni, delle proporzioni. E queste, per folli che possano sembrare, sono decise dalla matematica. La creatività più pura si regge sui numeri. I creativi si mettano l’anima in pace.

 Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 28 ottobre 2012

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