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October 18, 2012
Touriseum: in Alto Adige, turisti non per caso
Anna Quinz
Arrivando in auto a Castel Trauttmansdorf sono prima di tutto colpita dall’effetto “hollywoodiano” del complesso. Il castello dominante sulla collina, gli interventi architettonici contemporanei, i favolosi giardini e l’enorme parcheggio (vuoto al mio arrivo alle 9.00, già molto affollato alla mia partenza alle 10.30), concorrono a dare quel senso di “grandeur” che – anche se allora le modernità non c’erano – mi fa capire perché un’imperatrice come Sissi, a Merano nel 1870 e 1889, abbia scelto di alloggiare proprio qui nei suoi viaggi altoatesini.
Il castello è imponente e bellissimo, e accoglie il visitatore con alcuni segni che già fanno presagire di cosa si “parlerà” al suo interno. Prima di tutto, valige. Perché se si parla di viaggio, e poi conseguentemente di turismo, la valigia diviene simbolo perenne di mobilità, di scoperta, di piccolo tesoro domestico che segue e accompagna il viaggiatore nel suo andare nel mondo. E così, tante valige blu mi accolgono raccontando i personaggi noti che hanno visitato nei secoli le nostre terre, o citando frasi e pensieri celebri sul tema, appunto, del viaggio.
Superate le valige e le scale impervie (ma, da sottolineare, la perfetta efficienza del museo in termini di accessibilità: ogni angolo è raggiungibile con ascensori abolendo le barriere architettoniche che spesso frenano i visitatori disabili o con problemi motori) entro nel museo vero e proprio e inizio un percorso nella storia del turismo in Alto Adige, che è poi un altro modo di vedere, conoscere e capire, la Storia con la S maiuscola della nostra provincia.
Il viaggio a ritroso, parte nel lontano 1700, quando le montagne, più che meta ambita erano fonte di terrore e disagio per i viaggiatori obbligati a passare di qua. Luogo da sempre di scambio e commercio tra Nord e Sud, l’Alto Adige ha costretto in molti – quando si viaggiava in carrozza, o con mezzi che a noi moderni viaggiatori sembrano pura follia – a confrontarsi con una natura ostile, con climi rigidi, con strade di certo non di facile percorrenza. Man mano però che passano gli anni (e le sale del museo), scopro come grazie a vari fattori (le stazioni postali come luogo di sosta, Andreas Hofer e l’ammirazione europea che la sua impresa porta con sé, il Romanticismo e la sua fascinazione per la natura selvaggia, ecc) l’allora Tirolo diventa sempre più meta ambita per ricchi, nobili e notabili, che qui venivano a ristorare mente, corpo e spirito.
La visita si snoda tra cimeli antichi, borse da viaggio, vecchi poster, guide turistiche… Oggetti pieni di fascino, soprattutto per un’amante del “vintage” e “retrò” come me, e di storia, che si vorrebbe poter tenere in mano un momento, per risalire, ad occhi chiusi, indietro nel tempo e nella memoria, personale e collettiva. E poi, visita nella visita, scoperta nella scoperta, mentre ci si muove tra questi oggetti e le stazioni interattive del museo, si è rapiti anche dalla bellezza del castello – originariamente di proprietà del soldato di ventura Nikolaus Trauttmansdorf – che lo ospita, con le sue sale finemente affrescate, con le sue atmosfere nobiliari e magiche dei tempi che furono.
Pian piano, muovendosi tra le stanze, si arriva al ‘900, secolo in cui il turismo acquisisce le caratteristiche che ha oggi e la vacanza diventa ciò che tutti noi, dalle nostre scrivanie agogniamo come piccolo momento di pace e relax, estiva o invernale che sia. E così, scopro i magnifici poster di Lenhart, i primi souvenir “aus Südtirol”, le cartoline illustrate, gli Heimatfilme di Luis Trenker, il progetto avveniristico di Giò Ponti per un angolo di paradiso turistico, ahimè mai realizzato, e tante altre curiosità, in cui mi riconosco o che scopro per la prima volta.
Mi colpisce un video del regista Karl Prossliner, dove una bambina altoatesina racconta: “a me piace il turismo, se non ci fosse, saremmo ancora dei poveri contadini”. E credo che questa perla di ingenuità e saggezza infantile, racchiuda in sé il senso dell’Alto Adige turistico e del museo che lo racconta. Senza i turisti, italiani, tedeschi, americani o francesi che siano, oggi non vivremmo nell’Alto Adige in cui viviamo. Che tutti, o almeno tanti, ci invidiano. Che è fatto certamente dalla bellezza mozzafiato dei paesaggi, ma anche e soprattutto da un saper fare e da un voler fare, tutto altoatesino.
Il Touriseum racconta molto bene questa storia, fatta di natura e di persone, di lavoro e di amore per la terra, di lusso e di difficoltà (come gli anni duri dei conflitti mondiali), di competenze manageriali e di gusto per le cose belle.
E così, i 2.000.000 di visitatori arrivati nei 10 anni di vita del museo – che per la maggior parte, ça va sans dire, sono turisti – anche grazie a questo luogo possono capire il “loro perché”: perché oggi sono qui per le vacanze e non altrove, perché si trovano così bene e sono così ben accolti, perché oltre che essere bello, l’Alto Adige, sa voler bene a se stesso a chi viene a visitarlo.
In fondo, fa un po’ questo, il Touriseum: celebra una storia, che è la nostra storia di altoatesini. Capaci di aprire le porte della nostra “Stube” per accogliere chi viene da altrove, e condividere con lui tutta la bellezza che abbiamo avuto in dono.
* La visita al Touriseum è abbinabile a quella dei giardini di Castel Trauttmansdorf, da non perdere soprattutto in primavera/estate, momento in cui la natura è rigogliosa e meravigliosa. Attualmente è in corso una curiosa mostra temporanea dedicata al “wc in viaggio”, inedita esposizione di servizi igienici portatili per viaggiatori. Da vedere e “provare” anche i bagni (non portatili) del museo, allestiti per l’occasione dall’artista Matthias Schönweger.
Il museo è anche particolarmente adatto ai bambini, che trovano qui stimoli, giochi (come l’enorme flipper dell’Alto Adige) e tante attività didattiche. Mentre i grandi possono godersi questo viaggio nella storia. Basta portare con sé una valigia, piena di curiosità.
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