Matthew Herbert torna a Transart: Gustav Mahler in versione elettronica

Nel 2010 la Deutsche Grammophon chiese all’eclettico Matthew Herbert di ricomporre la Sinfonia n. 10 di Gustav Mahler. Quest’anno Transart riporta a Bolzano il musicista britannico per un’esecuzione della versione per sola elettronica di quell’opera, sabato 22 alle 17, proprio davanti alla casetta di composizione di Dobbiaco in cui Mahler lasciò incompiuta la sinfonia. Il secondo appuntamento con Herbert è alle 21 di giovedì 27 al Rothoblaas di Cortaccia per la prima mondiale di The End of Silence, il nuovo progetto del musicista britannico che produce, con un trio jazz sul palco, un’ora di musica rielaborando un’unica fonte sonora. Abbiamo incontrato Herbert.
Per Transart eseguirà la ricomposizione de La Sinfonia n. 10 di Mahler, perché ha scelto di lavorare proprio su quella sinfonia?
L’unico modo in cui mi sentivo a mio agio a lavorare su una sinfonia, in particolare su una di uno dei migliori compositori sinfonici, era il fatto che non fosse mai stata portata a termine. E poi l’Adagio è un brano meraviglioso: possiede una ricca e “sbilenca” qualità romantica che però non lo fa riposare mai, anzi lo adombra con il suo enorme accordo di nove note.
La ricomposizone avrà luogo in un posto speciale…
Sono estremamente grato al direttore artistico del festival Peter Paul Kainrath per avermelo suggerito e per aver fatto in modo che la cosa si realizzasse. Mi sento privilegiato a poterlo fare lì, poter riportare la musica di Mahler là dove è stata composta è emozionante. Sono un po’ nervoso, ma molto curioso di sentire come i pezzi andranno al loro posto.
Qual è il suo rapporto con la classica?
Un rapporto lento, ma importante. Non è come il pop: qualcosa di facilmente consumabile come del cioccolato. Ci vuole coraggio a capire che non tutto quello che viene fatto dagli esseri umani è grandioso solo perché viene realizzato su larga scala. Anche se qualcosa richiede abilità e pratica per venire scritto e suonato non significa che sia qualcosa di grande. D’altro canto, c’è una tale complessità, densità e volume emozionale in certa classica che non è mai stata sorpassata da nessun altra forma d’arte.
Può anticiparci qualcosa su The End of Silence?
È un progetto nato attorno a un unico rumore, il suono è quello di una bomba fatta cadere su un giornalista (tra gli altri) in Libia. È un rumore terrificante quando lo si ascolta per la prima volta. La questione che volevo sollevare è: il suono è ancora terrificante un’ora dopo, quando lo si è ascoltato per cinquemila volte in tutte le sue parti? Mi piace il fatto che questo tipo di suoni ci metta costantemente alla prova e ci costringa a riesaminare il rapporto con essi e con la morale, la filosofia e la geografia e le emozioni che le accompagnano.
Non è la sua prima volta a Transart…
È un festival meraviglioso, che si svolge in luogo straordinario e fa scelte coraggiose. Apprezzo l’impegno di Peter di trovare nuove strade attraverso la confusione delle musica moderna.
Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 16 settembre 2012