Teatro degli Orrori a SotAlaZopa,Trento. L’intervista a Gionata Mirai

15.09.2012
Teatro degli Orrori a SotAlaZopa,Trento. L’intervista a Gionata Mirai

Se mi chiedessero qual è la rock band italiana più travolgente degli ultimi dieci anni, non avrei alcun tentennamento. La mia mente sarebbe immediatamente marchiata da tre tenebrose parole: Teatro degli Orrori. Ma anche se mi chiedessero qual è la rock band italiana di migliore qualità artistica degli ultimi dieci anni, risponderei senza troppo pensarci su Teatro degli Orrori. Sì, perché la scommessa di Capovilla e soci è stata quella di portare avanti un discorso artistico radicale, profondo, granitico, che coinvolge allo stesso modo musica e parole: parole figlie degeneri della più nobile tradizione cantautorale nostrana incastonate dentro irsute forme rock della matrice più rumorosa. Scommessa, per bacco, clamorosamente vinta. Poche delle nostre band possono dire di avere raggiunto simili vette, all’incrocio tra rock e poesia, con tale evidenza e continuità, vengono in mente giusto alcuni nomi: CCCP-CSI, Afterhours, Marlene Kuntz, Bachi da pietra… Con il loro ultimo lavoro, Il mondo nuovo (2012), il Teatro ha aggiunto un nuovo, sorprendente tassello alla propria “drammaturgia della crudeltà” versione Terzo millennio. Nientemeno che un concept album incentrato sul tema dell’immigrazione: un disco di lotta, di denuncia, di disperazione e di speranza. Al festival SotAlaZopa, a Tonadico (Tn), lo spettacolo andrà in scena il 15 settembre. Ne abbiamo parlato con Gionata Mirai, incendiario chitarrista della band.

La scelta di un concept album, in un’epoca abitata da identità provvisorie e frammentate, percorsa da narrazioni esili e superficiali, è splendidamente inattuale. Come siete arrivati a questa scelta?
Avevamo voglia di fare un disco a concetto, perché ci sono sempre piaciuti i concept degli anni Sessanta/Settanta. Ci siamo detti perché no? In un’epoca di grande superficialità e frammentazione, ci interessava presentarci con qualcosa che è il contrario della superficialità e della frammentazione. Volevamo prendere un tema e approfondirlo in tutti i suoi aspetti, analizzarlo, espanderlo e usarlo anche come pretesto per un discorso più generale. È uscito un disco stratificato, un disco lungo e impegnativo, pensato per metterci alla prova come musicisti e per mettere alla prova anche il nostro pubblico.

Il tema portante del disco è quello dell’immigrazione, affrontato in 16 istantanee che sono piccole biografie. Perché la scelta di questo tema, così spinoso anche e soprattutto in Italia?
Pierpaolo quando ha cominciato a scrivere vedeva che le sue cose vertevano sul tema dell’immigrazione, del viaggio, dell’incontro, dello spaesamento. Quindi è avvenuto tutto in maniera abbastanza naturale. È uno dei temi cruciale del nostro tempo. In un mondo globale, dove tutti siamo a portata di clic, sembra assurdo spaventarsi davanti a uno straniero. Il mondo è fatto di persone, non di paesini e di vicini di casa stronzi. In un periodo di crisi prendersela con il proprio vicino appare normale soprattutto se è straniero. Appare normale ma è assurdo, ed è bene metterlo in evidenza.

Il vostro è inevitabilmente un disco politico, direi il più politico del Teatro degli Orrori. Sullo sfondo emerge una critica feroce alla società italiana. Cosa è successo al nostro paese negli ultimi anni?
Ha avuto la sfiga di trovare uno come Berlusconi che gli ha tarpato le anni e ha assopito le coscienze per vent’anni. Berlusconi, a differenza di Mussolini, non ha fatto la guerra, ma i danni che ha provocato sono comunque molto gravi. E non è difficile capire come in un contesto di questo tipo certi fenomeni, come il razzismo, possano trovare terreno fertile per manifestarsi. L’impoverimento dell’Italia è profondo, in un mondo che si sta impoverendo. Siamo un minuscolo paese in mezzo agli effetti della crisi globale, che da noi si sente di più perché siamo più piccoli, più sfigati e abbiamo avuto Berlusconi che ci ha massacrato per anni. E non ce ne siamo nemmeno accorti, gran parte degli italiani non se n’è accorta. Che sono convinto sia la stessa parte di italiani che ha votato Democrazia Cristiana per cinquant’anni. Ora siamo qui a pagarne le conseguenze.

E le vie d’uscita non sembrano molte… Sembra, però, che ne Il mondo nuovo, pur sempre all’interno dell’immaginario crudo che è tipico delle vostra estetica, s’intravveda uno spiraglio, un briciolo di speranza. È così?
Sì, perché la realtà per quanto brutta possa essere offre sempre una via d’uscita. Paradossalmente, anche per le cose più gravi che possano succedere, la via d’uscita è quella di ritrovare i rapporti interpersonali più veri e reali, quelli che ti aiutano a vedere un senso positivo nelle cose che fai, tenendo la serenità come obiettivo. L’ottimismo è un sentimento vuoto se non viene coltivato, giorno per giorno, per renderlo verosimile.

Se il disco mette a dura prova l’ascoltatore per le tematiche affrontate e la crudezza delle liriche, lo stesso si può dire anche per l’aspetto strettamente musicale. Si scorge ancora una volta un tentativo di andare oltre il già detto e il già fatto, verso territori ancora inesplorati…
Sì, volevamo vedere cosa succedeva facendo cose che non avevamo mai fatto. Ci siamo liberati di un po’ di riferimenti che ci impedivano di andare verso nuovi ambiti… Penso ad esempio ad un pezzo come “Ion”, molto difficile da immaginare nel nostro primo disco. Siamo ad un punto in cui possiamo cercare di vedere dove una situazione come quella ci può portare, perché ogni pezzo delle vecchie produzioni ha in sé una credibilità e un’organicità tali da permetterci di provare nuove soluzioni. Quindi evviva la sperimentazione.

Be’ se questi sono i risultati, certo, evviva! Un tuo ascolto ricorrente in questo ultimo periodo?
Questa è una domanda che mi mette sempre in difficoltà. Forse perché è più la musica che faccio di quella che ascolto. Ascolto cose ma non mi innamoro più. È da tanto tempo che non mi capita di fondere un cd dentro il lettore.

www.ilteatrodegliorrori.com

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