Mauro Astolfi e l’importanza dell’insegnamento della danza (non in tv)

Prodotto da Oriente Occidente, è stato presentato ieri il risultato del progetto site specific Humanology che Mauro Astolfi ha realizzato insieme a undici giovani danzatori trentini. Ieri per la prima (e in replica oggi e domani), nel foyer dell’auditorium Melotti di Rovereto si è potuto assistere al frutto del laboratorio formativo condotto dal fondatore della Spellbound di Roma.
Mauro Astolfi, ci parli del progetto «Humanology».
Ho lavorato cinque giorni interi con i giovani di età compresa tra i 18 e i 27 anni. Vorrei precisare che i partecipanti non sono professionisti e il risultato è stato davvero notevole. Il tema l’ho scelto io, mentre lo sviluppo del lavoro si è costruito strada facendo. Mi interessava affrontare il discorso che alla base di tutte le soluzioni tecnologiche vi sono delle analogie con il comportamento umano. Abbiamo creato pertanto una suggestione che parte dalla lettura di una formula, la quale provoca reazioni che si attivano nel corpo umano, finché nel finale succede che due persone si avvicinino tanto da provare un’urgenza di stare insieme che supera qualsiasi formula.
In questi giorni di festival sta tenendo anche un laboratorio coreografico, «Focus Dance – Contemporary creative labs», che vede coinvolti insieme a lei Shangchi Sun, Natalia Horecna e Allan Falieri. Come sta procedendo?
Molto bene. Non ci aspettavamo una presenza così numerosa. Io seguo oltre quaranta allievi e il numero di partecipanti è molto alto anche nelle altre classi di insegnamento. La classe è aperta a persone diverse per età e per formazione: non abbiamo voluto imporre limiti.
Qual è la sua opinione in merito ai laboratori artistici proposti in diversi contesti e in numero crescente? In cosa sono utili ai partecipanti?
Sono convinto che i workshop siano utili, quando non sono soltanto dei contenitori, ma si lavora in un rapporto diretto con danzatori e coreografi su tematiche e percorsi interessanti. In questo senso, tali esperienze possono servire a suscitare un interesse che si può trasformare in un reale percorso professionale.
Cosa pensa invece della formazione che viene offerta all’interno delle trasmissioni televisive?
La televisione è la televisione e ha le sue regole, che non sono quelle delle danza. La danza cresce e muore in teatro. Le dinamiche della danza non si possono assorbire attraverso la televisione. Trasmissioni come Amici ad esempio, alla quale ho lavorato per un anno, non fanno formazione, tutto è finalizzato alle riprese e ai tempi televisivi. Amici non è una scuola, è un talent show, che non ha nulla a che fare con il professionismo.
Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 5 settembre 2012